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lunedì 10 settembre 2018

In treno per scoprire un'isola come un continente

E' vero, tutti i libri sono viaggi, ma ci sono libri che sono più viaggi degli altri. Colgono l'anima della terra che si attraversa e regalano un altro tempo. Sono odori, sapori, voci. Sono come la brezza che viene incontro quando ci si comincia a muovere. 

Poi ci sono anche libri che, oltre a essere più viaggi degli altri, destano un genuino sentimento di invidia: perché sì, sulle pagine si viaggia, però non scherziamo, sarebbe bello essere al posto degli autori, ancora di più essere al loro fianco. E questo è ciò che provo quando torno a leggere due terranauti come Paolo Merlini e Maurizio Silvestri, che come pochi in Italia sanno interpretare il senso del viaggio lento e tradurlo in buone parole.

Con le loro parole sono finito nelle Marche e nell'Abruzzo, ho abitato città di mare vicine e lontane, come Livorno, Trieste, Taranto. E ora ecco il nuovo viaggio, sempre per la collana I viaggi senz'auto di una casa editrice, Exòrma, che per quanto mi riguarda se non ci fosse bisognerebbe inventarla. 

Con Sicilia Express si va da un capo all'altro di una regione - o di un'isola - che è come un continente. Senza auto, appunto, ma con il treno: servizio pubblico che a volte è da mettersi le mani nei capelli e a volte funziona sorprendentemente bene, ma che comunque regala un altro viaggio. L'inferno delle coincidenze ma anche la bellezza dell'ascesa sull'Etna. 

Depositi ferroviari, musei a tema, convogli storici. Più tutto ciò che ci sta intorno. Gli scrittori di Sicilia - da Sciasca a Bufalino, da Verga a Camilleri - ma anche le città del barocco, gli scenari naturali salvati dalle speculazioni, il pistacchio coltivato sulla lava e il cioccolato di Modica. I nomi anche, come quello di Caltanisetta, che discende dall'arabo Qalat An- Nisa, la città delle donne, incredibile.

E quante cose ancora, frammenti di sapere, sorprese come lampi. Un'esortazione di Agrigento che non ti lascia più - Muoviti fermo! E l'idea che in fondo avesse proprio ragione Goethe quando affermava: E' in Sicilia che si trova la chiave di tutto.

Che forse è dir troppo. O forse no, è proprio quanto ti scopri a pensare, una volta che ti sei affidato ai due terranauti e alla loro splendida curiosità. 

lunedì 28 aprile 2014

Camilleri e quel "ma" che spiega tutto

Ma c'era la mafia.

Già, perchè cercare spiegazioni più complicate? Ci sono storie così aggrovigliate che pare di non poterne mai venire a capo, tante sono le forze in gioco, le questioni irrisolte, le evenienze e gli imprevisti. E ci sono storie così semplici, che per dipanarle basta un'avversativa. Per dipanarle e prima ancora per darle un verso una volta per tutte. Un "ma" che anche i bambini: una sillaba e poi quella parola che spiega anche troppo. C'era la mafia, come no. Eccome, se c'era.

Ruota intorno a questa sillaba, La banda Sacco, piccolo grande libro con cui Andrea Camilleri lascia a riposo il suo commissario per addentrarsi in una pagina di storia della sua Sicilia. Per raccontarci di come l'impossibile possa diventare possibile, in terra di mafia. Perfino che una famiglia di onesti lavoratori, capaci di costruire una bella impresa con la forza della fatica e dell'ingegno,finisca per diventare una banda da far fuori a ogni costo, da seppellire col piombo e gli anni di galera.

Storia di mafia, certo. Però intorno a quel "ma" girano un bel po' di altre cose. Mica solo che la mafia vive di vendette, questo è risaputo. Ma che i nemici di mafia diventino nemici dello Stato, questo è un po' meno scontato. Eppure quale rete di complicità, connivenze, silenzi interessati in questa storia...

Storia vera, storia desolante. Storia raccontata in un impasto di italiano e di dialetto che arriva dritto al cuore. Storia che basta a se stessa, non ha bisogni di ricami sopra, come nei libri di Leonardo Sciascia. Storia che riguarda tutti, come no. Sicilia metafora dell'Italia, diceva Sciascia, appunto....




sabato 5 aprile 2014

Liberi e schiavi nella storia dell'atomica

Chi, sia pure sommariamente (come noi: tanto per mettere le mani avanti), conosce la storia dell'atomica, della bomba atomica, è in grado di fare questa semplice e penosa constatazione: che si comportarono liberamente, cioé da uomini liberi, gli scienziati che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, e furono schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di libertà.

Furono liberi coloro che non la fecero. Schiavi coloro che la fecero. 

E non per il fatto che rispettivamente non la fecero o la fecero - il che verrebbe a limitare la questione alle possibilità pratiche di farla che quelli non avevano e questi invece avevano - ma precipuamente perché gli schiavi ne ebbero preoccupazione, paura, angonscia; mentre i liberi senza alcuna remora, e persino con punte di allegria, la proposero, vi lavorarono, la misero a punto e, senza porre condizioni o chiedere impegni, la consegnarono ai politici e ai militari.

(Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana, Einaudi)

giovedì 3 aprile 2014

Parla a tutti noi la scomparsa di Majorana

Un mistero, certo, ma che se mai si risolverà non lo sarà sciogliendolo dalla fine, dalla scomparsa del titolo. Perché non è una questione di indizi e nemmeno di testimonianze meno evanescenti. Parole scritte, voci che si rincorrono, ombre che appaiono e scompaiono come mosse dal vento. Figurarsi se è così che si saprà qualcosa di più di Ettore Majorana e del mistero che ormai la accompagna da più di tre quarti di secolo. Meglio indagare sulle profondità della sua persona. Meglio esplorare il suo rapporto con la scienza, con quella scienza che sta per superare il più terribile dei limiti.

Mi era sfuggito, ai tempi, La scomparsa di Majorana, uno dei pochi titoli di Leonardo Sciascia assenti dalla mia libreria. Sarà che su di esso mi ero fatto un'idea sbagliata. Fortuna che l'altro giorno l'ho trovato su uno scaffale di book crossing. Visto e preso: dimensioni ideali per un viaggio in treno.

E così mi sono avventurato sul mistero di questo giovane scienziato, così diverso da Enrico Fermi e dagli altri ragazzi di via Panisperna, perché Fermi e i "ragazzi" cercavano, mentre lui semplicemente trovava. Talento enorme, Majorana, capace più di tutti di varcare soglie verso l'ignoto. E di comprendere per tempo cosa questo avrebbe comportato.

Scontroso lo era sempre stato. E pure allergico a ogni cono di luce. Gli altri lo esortavano a pubblicare le sue scoperte e lui farfugliava che era roba da bambini. Certe idee di genio, per cui avrebbero penato interi centri di ricerca, lui le mise nero su bianco su qualche foglio sparso, per poi dimenticarsele nei pantaloni e gettarle via. Forse se la intese solo con il grande Werner Heisenberg, anche se non sapeva spiccicare parola nella sua lingua. Entrambi avevano capito a cosa si andava incontro. Entrambi avevavo intuito che, al cospetto di quel limite, ci si doveva solo fermare.

Dice Sciascia che nella storia della bomba atomica gli scienziati che dovevano essere schiavi si comportarono da uomini liberi. A differenza degli scienziati che potevano essere liberi.

Majorana forse la libertà se la conquistò solo scomparendo. E il suo mistero - il mistero di una scelta di fronte all'orrore - ancora oggi affascina e inquieta.

mercoledì 24 luglio 2013

Cosa si legge sotto l'ombrellone

E' davvero curioso che sotto il sole di luglio non si vedano circolare altro che megaseller. E gli altri?

Le eccezioni sono i tascabili abbandonati sulle sdraio o sugli asciugamano degli adolescenti: sono in tutta evidenza quei romanzi inseriti nelle liste che i prof al termine della scuola decidono di infliggere ai poveri allievi per le ferie.

Sempre gli stessi autori, del resto, da decenni: Calvino, Pavese, Primo Levi, Fenoglio, Il gattopardo, Sciascia, Morante... 

Tutti capolavori benemeriti, intendiamoci: il cosiddetto usato sicuro. Ma è lecito chiedersi: possibile che da quarant'anni a questa parte la letteratura italiana non abbia prodotto niente di nuovo degno di essere consigliato come lettura o passatempo (intelligente) agli studenti?

(da Paolo Di Stefano, Sbagliato far leggere solo l'"usato sicuro", Corriere della Sera del 16 luglio 2013)

sabato 27 aprile 2013

Sciascia: da noi non si scherza coi santi e coi fanti

«Scusate la lunghezza di questa lettera - scriveva un francese (o una francese) del gran settecento - poiché non ho avuto tempo di farla più corta».

Ora io, per quanto riguarda l'osservanza di quella che è la buona regola di far corto anche un racconto, non posso dire mi sia mancato il tempo: ho impiegato addirittura un anno, da una estate all'altra, per far più corto questo racconto; non intensamente, si capisce, ma in margine ad altri lavori e a ben altre preoccupazioni.

Ma il risultato cui questo mio lavoro di cavare voleva giungere era rivolto più che a dare misura, essenzialità e ritmo, al racconto, a parare le eventuali e possibili intolleranze di coloro che dalla mia rappresentazione potessero ritenersi, più o meno direttamente, colpiti.

Perché in Italia, si sa, non si può scherzare né coi santi né coi fanti: e figuriamoci se, invece che scherzare, si vuol fare sul serio.

Gli Stati Uniti d'America possono avere, nella narrativa e nei films, generali imbecilli, giudici corrotti e poliziotti farabutti. Anche l'Inghilterra, la Francia (almeno fino ad oggi), la Svezia e cosí via.

L'Italia non né ha mai avuti, non ne ha, non ne avrà mai. Cosi è.

(da Leonardo Sciascia, nota a il Giorno della civetta, 1960)

lunedì 21 maggio 2012

Se gli odori dominano il cuore degli uomini

Colui che domina gli odori domina il cuore degli uomini.

È questa citazione, la prima cosa che mi ha riportato a galla, dopo essermi tuffato dentro le pagine di questo singolare, spiazzante, affascinante libro di Stefania Valbonesi. Una citazione, come il bordo di una vasca a cui aggrapparsi per riprendere fiato, per raccogliere i pensieri.

Parole che ho incontrato diverso tempo fa, leggendo Il Profumo di Patrick Süskind e che oggi mi viene da piegare diversamente, riflettendo su come gli odori non si lascino imbrigliare, gli odori semplicemente ci sono e condizionano le nostre vite.

Sono emozioni, gli odori. Sono onde che si agitano dentro, sono ricordi che affiorano, sono impronte che segnano le nostre relazioni.

Sono importanti gli odori, ma la letteratura poche volte ha voluto, o saputo misurarsi con essi. Come se fossero stati lasciati in deposito ai grandi  investigatori delle memorie individuali e domestiche, Marcel Proust su tutti, oppure ai poeti come Charles Baudelaire, perché si sa, i poeti sanno che è attraverso i sensi, perfino attraverso l'olfatto, che si può arrivare alle cose infinite.

Stefania Valbonesi l'odore lo mette al centro di un vero romanzo, lo usa come un'arma, un alibi, un movente. Intorno all'odore si dipana una trama dove non mancano il delitto e l'inchiesta.

Non perché oggi sia necessario, magari per catturare i lettori. Questo non è un giallo, almeno non lo è secondo le convenzioni del genere. Non lo è, anche se la terra dove si dipana questa storia non mi sembra molto lontana dalla Sicilia di Sciascia e Camilleri. Anche se le atmosfere sono quelle di certi polizieschi metafisici che in altri anni ci sono arrivati dal Sudamerica, alla Borges per intendersi.

Però se l'odore ha a che vedere con ciò che di noi è meno consapevole, e magari più animalesco, perché no, richiama anche la legge della giungla, se legge c'è. Si fiuta il pericolo, si traccia il territorio, si dipanano attrazioni e repulsioni. Ci si eccita all'odore del sangue.

E se forse può essere letto con un giallo, c'è molto di più, in questo libro. In un piacere della lettura – questa è la prima cosa – che non lascia pause.

Per questo quando sono tornato a galla, mi sono fermato. Ho raccolto le mie emozioni. E naturalmente, ho respirato a fondo.

(dalla mia prefazione a Lo strano caso del Barone Gravina di Stefania Valbonesi, Romano editore)












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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...