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lunedì 25 luglio 2016

Il Grande Nord e i i ricordi che ci guardano

Pensare che sono ricordi di infanzia, raccontati senza sprechi ed effetti speciali, con quella limpidità che volentieri attribuiamo ai cieli del grande Nord.

Pagine semplici, essenziali, pulite. Eppure quante questioni potrebbero porre.

Per esempio se è utile conoscere la vita di un poeta per comprenderne la poesia. Oppure, come ci suggerisce Fulvio Ferrari nella sua nota conclusiva in questa edizione di Iperborea, se non sia piuttosto utile la poesia per comprendere l'autobiografia di un poeta.

Nel caso di Tomas Transtromer - perdonate la dieresi che manca perché non la trovo sulla tastiera - forse è proprio così. E non solo perchè in Italia presumibilmente nessuno aveva mai sentito parlare di colui che è il più grande poeta svedese vivente, almeno fino al conferimento del Nobel per la letteratura.

E' che in Tomas Transtromer c'è una corripondenza potente tra i versi e le esperienze della vita. Anche prima della vita da adulto che per anni ha diviso i suoi giorni tra il lavoro di psicologo e la scrittura.

La vita, soprattutto la vita di un poeta, può essere davvero una scia di luce. Come una cometa che solca il cielo. E di quella cometa la testa non può che essere l'infanzia e poi l'adolescenza.

Gli anni in cui le possibilità emergono e prendono forma, compresa la possibilità della poesia.

E come nel titolo - conciso e bellissimo: I ricordi mi guardano - sono gli anni che guardano il poeta e il suo cammino nella vita.

Che lo guardano e ne svelano il commovente mistero.

mercoledì 25 settembre 2013

Tra Fellini e Charlie Chaplin, ai tempi del circo

Sapete, stamattina lo sguardo mi è cascato su un libriccino che raccontava  la storia del Gratta, al secolo Evaristo Caroli. Del Gratta e del suo piccolo circo fatto di niente che per i fiorentini era sinonimo di spensieratezza. 

Erano gli stessi anni in cui Cicoria era in circolazione. Il Gratta faceva il clown e introduceva i vari numeri sotto il tendone che d'inverno prendeva posto in via Pietrapiana, dove in seguito saranno costruiti gli uffici postali. Non c'era la televisione e un'arena improvvisata poteva regalare il giorno più bello della vita, qualcosa di simile a un sogno.

 Quante risate con il Gratta, sotto quel tendone, quanti amori sbocciati in quelle serate in cui finalmente non c'era da avere paura della guerra. Quanti bambini capaci di toccare il cielo con il dito.

E io mi immagino questa scena, mi immagino il babbo che questa volta c'è e che ha deciso di regalare un'emozione speciale ai suoi bambini. A tutti e tre, insieme. Me li vedo sbucare sotto il tendone, la meraviglia negli occhi e magari una nuvola di zucchero filato a testa, perché se è festa lo sia in tutto e per tutto. 

E suvvia inizia lo spettacolo. Gli acrobati, il lancio dei coltelli, le enormi scarpe da pagliaccio. La torre umana e la piramide dei bicchieri. Il trapezio, con quei corpi morbidi che si librano in aria. La mimica facciale, i giochi di parole. La ragazza che si contorce come un'anaconda, mantenendo in perfetto equilibrio un bicchiere sulla fronte e uno sul mento. E lo sguardo del babbo che si fa particolarmente attento, non per le contorsioni, ma per le gambe, perché in quale altro posto in Italia si può vedere una bella ragazza così, con le calze a rete.

Che giorno è quello: e sono tutti e tre insieme.

Così li vorrei vedere. E vorrei che fossero queste le immagini che nell'avvenire si porteranno dietro. Allo stesso modo dei film muti di Charlie Chaplin, che non ci si stanca di rivedere.

Se mi scuoto, certo, svaniscono queste immagini, fatte dello stesso tessuto del sogno. Però arrivato a questo punto penso che tra il sogno e il ricordo non ci sia poi tutta quella differenza. Entrambi sono impalpabili ed evanescenti. Entrambi durano solo nella misura in cui ci ostiniamo a trattenerli.

E vale per il sogno quello che per il ricordo affermava Khalil Gibran, un grande poeta le cui parole sanno di mare e di lontananza:

Il ricordo è un modo di incontrarsi. 

(Paolo Ciampi, da Il babbo era un ladro, Romano editore)

domenica 11 marzo 2012

Se serve trasformarsi in uno straccio senza vita

Hasse, un ragazzo scuro e alto che era cinque volte più forte di me, aveva l'abitudine di buttarmi a terra a ogni intervallo, il primo anno di scuola.


All'inizio opponevo una fiera resistenza, ma non serviva a niente, lui mi atterrava comunque e trionfava.


Alla fine trovai il modo di frustrarlo: una totale rilassatezza.

Quando si avvicinava, fingevo che il mio io se ne fosse volato via e avesse lasciato soltanto un cadavere, uno straccio senza vita che lui poteva calpestare quanto voleva. Si stufò.



Penso a quanto possa avere significato per me, più avanti nella vita, il metodo di trasformarsi in uno straccio senza vita.


L'arte di lasciarsi calpestare senza perdere l'autostima.

(Tomas Transtromer, I ricordi mi guardano, Iperborea)

sabato 3 marzo 2012

Se i nostri maestri non erano poi così vecchi

Ma i miei anziani insegnanti, "i vecchi" come venivano chiamati tutti quanti, rimangono vecchi nella memoria, anche se i più anziani di loro avevano l'età che ho io adesso mentre scrivo queste righe.


Ci si sente sempre più giovani di quanto non si è.


Dentro di me porto tutti i miei volti passati come un albero i suoi cerchi. La loro somma sono "io". 


Lo specchio vede solo il mio ultimo volto, io sento tutti i miei precedenti. 

(Tomas Transtrommer, I ricordi mi guardano, Iperborea)

martedì 21 febbraio 2012

Il poeta che divenne tale grazie agli insetti

Un giorno mi imbattei in un mio simile. No, non un visitatore, un professore o qualcosa del genere, lavorava al museo.... Era così distratto o privo di pregiudizi che mi trattava come un adulto. Era uno di quegli angeli custodi che ogni tanto apparivano nella mia infanzia e mi sfioravano le ali.


Così racconta Tomas Transtromer, il più grande poeta vivente scandinavo e Nobel per la letteratura 2011, in I ricordi mi guardano (Iperborea), piccolo delizioso libretto in prosa in cui racconta della sua adolescenza.

Pagine in cui scopriamo che il grande poeta non è nato con la poesia, no. O che almeno non è diventato tale grazie a quello che consideriamo poesia.

Non le letture di Ovidio, Shakespeare o quant'altri hanno fatto sì che Tomas Transtromer diventasse Tomas Transtromer, ma forse proprio quello sconosciuto incontrato in un museo della scienza, frequentato per una di quelle impetuose passioni da ragazzino che forse possono celare una vocazione, o forse no.

Un professore o qualcosa del genere. Una persona che con il ragazzino condivide la stessa passione per le scienze naturali. Anzi, per l'entomologia.

Forse diventerà uno scienziato, quel ragazzino. O forse... forse qualcos'altro, perché se la poesia ha a che vedere con la bellezza, è proprio questo che gli portano in dono gli insetti.

Senza rendermene conto feci molte esperienze di bellezza. Mi muovevo nel grande mistero. Imparavo che la terra era viva e che esisteva un mondo infinitamente grande che strisciava e volava e viveva la sua ricca vita senza curarsi minimamente di noi.

E' proprio in quel momento che nasce un poeta che forse avrebbe potuto diventare uno scienziato.

Con quel professore, con quegli insetti.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...