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sabato 7 luglio 2018

Fare lo zaino, ovvero l'arte di ciò che è necessario

Dico L'arte di fare lo zaino e mi vengono in mente altri titoli di libri che mi hanno lasciato un segno indelebile dentro. Libri come Lo zen e il tiro con l'arco. Oppure Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Solo per dire che a volte per coltivare pensieri larghi, per cambiare qualcosa nelle priorità della vita, bisogna concentrarsi su qualcosa che suona come modesto e marginale. 

Così è per L'arte di fare lo zaino di Andrea Mattei, ennesimo gioiello proposto da Ediciclo. Non lasciatevi ingannare, non è un manuale, non è una pubblicazione tecnica: anche se poi lo zaino c'è,
c'è davvero, è come se mentre si legge ci si stesse preparando alla partenza. Però quante cose che vengono fuori riflettendo sullo zaino che ci porteremo in viaggio. 

Dovremo scegliere. Dovremo portarci ciò che è davvero utile e lasciare ciò che ci sarà superfluo. E una volta deciso, dovremo sistemare tutto in modo che spazio e peso assecondino il nostro passo. Che dire, non è una potente metafora della vita? Intendo della vita quale dovrebbe essere: anch'essa arte in cui conta scegliere ciò che conta. Saper distinguere, portarsi via lo stretto necessario, liberarsi dell'ingombro di troppi pensieri, scoprirsi più leggeri: che arte, davvero.

E così non c'è niente di scontato, in questo libro di Andrea. E se a volte sembra di scivolare sulla superficie delle cose, come un pattinatore sul ghiaccio, è solo perché è alla superficie che a volte si può cogliere la profondità delle cose.

In piùAndrea è uno straordinario affabulatore, capace di portarci lontano con le sue divagazioni, che tanto divagazioni non sono. 

Per il nostro zaino non dovremo dimenticarci oggetti ordinari, apparentemente di scarso significato: la spilla da balia, il taccuino e la matita, il sapone di Marsiglia.... eppure quante storie custodiscono e svelano, quando trovano la voce giusta. 

Da leggere anche solo per scoprire la storia delle matite Faber, nate dall'intuito di un falegname tedesco che seppe mettere insieme la grafite delle miniere siberiane e il legno della Florida - sembrano solo matite, ma dentro hanno il mondo intero e l'aspirazione al viaggio che dovrebbe essere di tutti noi.

E ricordo solo le matite, ma quante storie davvero. Compreso la mia, che anche grazie a questo libro auspico possa farsi forte delle parole di Henry David Thoreau:

Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno. 

venerdì 13 gennaio 2017

Cos'è che ci spinge alla partenza

Qual è dunque l'ideale che ci anima ormai, la favola dell'uomo nomade d'oggi?

Gira intorno a questo interrogativo uno dei pochi titoli che ancora mancava alla mia lettura tra le tante proposte dalla splendida collana Piccola filosofia di viaggio di Ediciclo. Piccoli libri, appunto, ma grandi domande su ciò che accompagna i nostri viaggi e ciò che con i viaggi cambia in noi e nel mondo.

Il richiamo della strada del grande viaggiatore Sèbastien Jallade prende di petto la domanda che viene prima di tutte le altre domande sul viaggio, la domanda senza la quale forse ci potrebbe essere turismo, spostamento fisico più o meno volontario da un luogo all'altro di una mappa geografica, ma non viaggio.

Che cos'è che ci mette davvero in movimento?

Attenzione allora al sottotitolo del libro: Piccola mistica del viaggiatore in partenza. Che è certamente intrigante ma ci suggerisce anche che Jallade non si contenta di risposte in superficie. Non ci si lascia la casa alle spalle solo per una felice intuizione, non ci si può accontentare solo del gioco delle circostanze.

No, partire è una scelta che ci chiama in causa, che mette in gioco la nostra vita come poco altro. In fondo è un atto di libertà e la libertà non è solo lasciare qualcosa, è anche dare una forma, un senso, almeno un sentimento a ciò che succederà dopo la partenza.

E se un tempo chi viaggiava per scelta era soprattutto un esploratore o un avventuriero, oggi nel mondo apparentemente senza più sorprese, possiamo sempre essere scopritori. Se non altro di noi stessi. Senza patire troppa nostalgia per l'ampiezza del mondo di una volta.

Importanti, non banali le riflessioni di Jallade. In particolare quelle su un nomadismo senza legami - e magari da turismo organizzato - a cui contrapporre positivamente una sedentarietà in un posto dove non abbiamo radici, ma in cui possiamo comunque provare a reinventarci. 

Perché in questo mondo ci sono molti modi di vivere l'altrove. E ci può essere un viaggio, ma anche una scelta più definitiva, dove la partenza non implica il ritorno.


lunedì 7 maggio 2012

Quel mondo di gente che rubava l'erba

Partivano. La gente di queste parti è sempre partita. Da questa borgata, da questa valle. Non per salire sulle creste, per vedere un orizzonte nuovo o per conoscere posti diversi . No. Partivano perché ci sono terre dove vivere è un lusso che non ci si può concedere sempre. Non tutto l'anno. E allora si va, finché ci sono posti dove andare.

Partivano, i pastori delle montagne del Piemonte. Partivano in albe gelide, con le ruote dei carri che scavavano solchi sulla ghiaia e i cani che correvano in qua e là per radunare le greggi. Partivano, per "rubare l'erba" dove l'erba c'era. Partivano, e non smettevano di partire, la loro vita era tutta una partenza, una partenza e un ritorno, d'estate verso gli alpeggi, di inverno verso i loro paesi.

Un altro mondo, non troppi  anni fa, eppure un'epoca fa. Il mondo prima della motorizzazione di massa, della televisione, di Internet. Il mondo che Marco Aime, antropologo, si ricorda bene, perché era il mondo della sua infanzia, delle sue radici famigliari.

Ci torna da adulto, da studioso, in quei posti. Ci torna, mescolando l'emozione dei suoi ricordi alle ultime testimonianze di ciò che è irrimediabilmente scomparso. Ci torna e accoglie volentieri la sua perplessità:

Ora mi sembra persino strano essere qui, a fare l'antropologo. Di solito un antropologo si occupa di cose lontane, va a ficcare il naso nelle case di gente straniera, diversa da lui.... 

Credo che sia proprio questa perplessità, con tutte le domande che ne discendono, a fare di Rubare l'erba (Ponte alle Grazie), un libro raro, con la sua bellezza impastata di malinconia.  

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...