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giovedì 28 giugno 2012

Quando si è tagliati fuori dalla storia in comune

Cosa significa davvero quella fine dell'umanesimo a cui tanto di frequente scrittori e intellettuali vari fanno riferimento?

Può darsi che come per altre espressioni usate e abusate la sostanza sia poca e il fumo tanto. Ma se si vuol giocare a carte scoperte, fa pensare la traduzione che di questa espressione tenta Antonio Scurati nel suo La letteratura dell'inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione (Bompiani):



Fine dell'umanesimo significa non poter più vivere con i propri morti. Fine dell'umanesimo significa essere esclusi dalla comunione con i morti. Essere tagliati fuori dalla storia che abbiamo in comune.



Ecco, mi sa che è proprio così. Ciò che è intimamente dell'uomo comporta radici, legami con il nostro passato, appartenenza che ci proietta nel futuro. L'umanesimo, aggiunge Scurati, era il tentativo di stabilire una comunione di vita tra i vivi, i morti e perfino i non ancora nati.


Un ponte tra passato, presente e futuro. Cosa succede se viene meno questa comunione di vita?



E che senso ha il lavoro di uno scrittore se questo ponte si sgretola?

martedì 24 aprile 2012

Paure e sogni con il bambino di Scurati


C'è un bambino che si aggira nella notte, sonnambulo, e urla che perchè nei suoi sogni si annida la fine del mondo.

C'è Bergamo - ma potrebbe essere una qualsiasi altra città del Nord operoso, opulento, effimero -  scossa dai sospetti che crescono fino a diventare certezze,  peccato che non siano certezze che restituiscono serenità, piuttosto scavano voragini di paura.

C'è una scuola materna travolta dalla psicosi e non si sa più se credere ai maestri o ai genitori, solo i bambini sembrano fragili creature destinate comunque alla sconfitta.

E c'è un circo mediatico che su tutto questo ci va a nozze, perchè se c'è una cosa che riesce bene in tv e che fa vendere i giornali è proprio la violenza. La violenza e il dolore, qualunque sia.

E'  libro complesso, Il bambino che sognava la fine del mondo di Antonio Scurati (Bompiani). Un libro a più registri, che è insieme cronaca e invenzione narrativa, con qualche pennellata autobiografica.

Perché è così che funziona: alla fine il romanzo, quando è genuino, riesce a mettere il dito nelle piaghe che fanno male, più e meglio di tante inchieste giornalistiche.

venerdì 6 aprile 2012

Questi anni che non stiamo vivendo


Viviamo nel tempo della cronaca. La cronaca non è più, per noi, uno dei tanti modi di raccontare il tempo presente. E' diventata, invece, il criterio generale del nostro sentimento del tempo.

Un tempo il tempo era diverso: c'era un passato, un presente, un futuro. Per questo sapevamo voltarci indietro e ritrovare radici, identità, esperienze. Per questo potevamo lanciare lo sguardo avanti e coltivare sogni, obiettivi, speranze.

Ma oggi qualcosa si è inceppato, e prima ancora che le dimensioni della crisi (e la sua percezione), questo qualcosa chiama in causa proprio il nostro sentimento del tempo, la nostra capacità di dare una profondità e quindi una prospettiva al tempo.

Così il tempo della storia è diventato il tempo della cronaca: anni che non hanno poco dietro di sé e ancora meno davanti, anni scanditi solo dai delitti, serviti sul piccolo schermo, spettacolarizzati, trasformati in una sorta di reality show.

Tempi anestetizzati, tempi effimeri, tempi di finta autenticità, dove la televisione ti regala il bello della diretta e ti sottrae la possibilità di condividere qualcosa di più di una psicosi collettiva. E il resto sembra solo shopping, o peggio ancora televendita.

Antonio Scurati spreme la desolazione e l'inquietudine del nostro mondo dai tanti casi dilagati nelle cronache più o meno recenti. Ne viene fuori questo Gli anni che non stiamo vivendo (Bompiani): un libro triste, sconsolato, a volte allibito. Un libro orgoglioso, però, anche necessario, come necessari sono i lampi di intelligenza, i sussulti del rigore etico.

giovedì 6 ottobre 2011

Ennio Flaiano, l'uomo che aveva la vista lunga

Siamo rimasti così in pochi a essere scontenti di noi stessi

Che personaggio che era Ennio Flaiano e che torto che gli si fa a spacciarlo solo per il cesellatore di alcuni aforismi, che in realtà dicono già tutto: di lui, di noi, del nostro paese.

Era come la piena di un fiume, Ennio Flaiano, che tutto allaga e che su tutto lascia un segno.

Era uno che aveva la vista maledettamente lunga, perché, che dire di uno che già negli anni Settanta aveva sentenziato: Fra 30 anni l'Italia sarà non come l'avranno fatta i governi, ma come l'avrà fatta la televisione ... e non c'era ancora nemmeno l'ombra dell'uomo che con la televisione si fece governo...

Era l'uomo che ha forgiato un bel po' del nostro immaginario, Ennio Flaiano, basti pensare alle sceneggiature de La dolce Vita, de I vitelloni, di Vacanze romane.

Lo abbiamo scoperto troppo tardi - pubblicato per lo più postumo - come spesso capita in Italia con gli uomini che non hanno tessere e peli sulla lingua.

Ben venga dunque questo libro di Pascal Schembri (Un marziano in Italia, edizioni Anordest), difficile da etichettare, perché non è una raccolta di aforismi, non è un saggio critico, non è una biografia.

E' qualcosa che forse sarebbe piaciuto proprio a Ennio Flaiano: marziano in Italia, appunto, magari perché troppo impegnato a vivere, non a fingere.

mercoledì 23 marzo 2011

Quando il colpo di Stato è in diretta tv (forse)

Un libro intero per fermare un solo momento, quello dell'irruzione del militare golpista nell'aula del Parlamento, ma anche il momento in cui, tra tutti i deputati, i ministri, gli alti funzionari delle istituzioni, rimane in piedi un solo uomo, il capo del governo di un governo già morto, ucciso non da quel colpo di Stato ma dalle derive della Storia, dalle perfidie della politica.

Un solo momento che è come un fermo immagine alla televisione. Con tutto il prima che c'è prima, tutto il dopo che c'è dopo. Un momento che contiene infinite possibilità e da cui dipende un intero paese e con quel paese la vita di milioni e milioni di persone.

E' a questo momento che Javier Cercas, lo scrittore spagnolo già autore del bellissimo Soldati di Salamina, ha dedicato un intero libro, appassionato, meditabondo, minuzioso, perfino eccessivo nella cura dei dettagli. Un libro per raccontare il golpe del 23 febbraio 1981, quando il colonello Tejero entrò pistola in pugno nel parlamento di Madrid.

Passerà alla storia come l'ultimo rigurgito della Spagna franchista, il tentativo estremo e folle di un manipolo di fanatici. In realtà era il golpe di cui tutti sapevano e di cui tutti fecero finta di non sapere, dopo.

Ma quel golpe è molte altre cose ancora. E molte altre cose ancora è questo libro, Anatomia di un istante. Per esempio un appassionante esercizio della memoria, con le sue trappole, le sue indeterminatezze.

E' stato l'unico golpe della storia ripreso dalle telecamere... almeno apparentemente trasmesso in diretta.


E alcuni antepongono quello che ricordano a ciò che avvenne, e così continuano a ricordare di aver visto il colpo di Stato in diretta

Quel colonnello con il tricorno in testa e la pistola brandita:

Pur sapendo che è un personaggio reale, resta un personaggio irreale; pur sapendo che è un'immagine reale, resta un'immagine irreale

E quel golpe:

Nella società dello spettacolo, in ogni caso, è stato uno spettacolo in più

domenica 26 dicembre 2010

Quando Dio cominciò ad annoiarsi

- Lei non ha mai pensato all'eternità? chiede Dio.
- No, non ho tempo. Perché?
- L'eternità non è divertente, e so di cosa sto parlando. Ho voluta risparmiarla agli uomini


Sì può coniugare teologia e umorismo, ragionamenti affatto banali sul senso della creazione e situazioni da pubblicità del caffé Lavazza? Questo piccolo leggero libro pubblicato dalla Vallecchi ci dice che sì, si può fare. Senza clamore e senza provocazioni, abbandonandosi con disinvoltura a una lettura che di tanto in tanto può persino arrestarsi di fronte a qualche scintillio di sorprendente verità.

Un Dio annoiato - la noia è un po' il filo dell'intero libro - e un po' deluso da quanto ha creato bussa alle porte di una grande azienda, a caccia di lavoro. Il suo curriculum è senz'altro impressionante - chi altri può vantarsi di avere creato il Creato? - ma  domande e test psico-attitudinali del direttore del personale sono una bella gatta da pelare.

Forse non poteva che essere un uomo come Jean-Louis Fournier, autore televisivo e scrittore comico molto popolare in Francia, a inventarsi un libro come questo. Ma attenzione, alcune frasi ve le porterete dietro e non vi abbandoneranno tanto facilmente.

- Mi viene da chiedermi se ciò non sia gettar le perle ai porci. I miei cieli stellati hanno un indice di gradimento molto basso. Quanti sono quelli che la sera ancora contemplano il cielo? Quasi tutti guardano la televisione...
Il direttore concorda

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...