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giovedì 22 dicembre 2011

Quel bambino con naso piantato in un atlante

Un viaggio non ha bisogno di motivi. Non ci mette molto a dimostrare che si giustifica da solo. Pensate di andare a fare un viaggio, ma subito è il viaggio che vi fa o vi sfa.

Non conoscevo La polvere del mondo di Nicolas Bouvier, che in Italia ha pubblicato Diabasis solo qualche anno fa, ma che in Francia è ormai da molto tempo un caposaldo della letteratura di viaggio, storia del primo viaggio in Oriente dell'autore, anno 1953 e dici poco, un viaggio da Ginevra a Samarcanda a bordo di una vecchia Fiat Topolino.

Non lo conoscevo e debbo il primo incontro a un gran bel saggio di Luigi Marfè sulla fine dei viaggi e i resoconti dell'altrove nella letteratura contemporanea di cui prima o poi dovrò parlare.

Intanto un pugno di citazioni di Bouvier mi bastano e avanzano, perché dicono già molto di quello che è, dovrebbe essere il viaggio.

Viaggio che, guardate un po', non è accumulazione, ma sottrazione, alleggerimento, esperienza in cui si dovrebbe diventare riflesso, eco, corrente d'aria.

E viaggiatore che c'è prima del viaggio, di ogni viaggio:


E' la contemplazione silenziosa degli atlanti, su un tappeto, a pancia in giù, tra i dieci e i tredici anni, che dà la voglia di piantar tutto.

E per quanto mi riguarda, non è che ho viaggiato molto, o forse sì. Ma in definitiva sono sempre quell'adolescente disteso su un atlante, il naso dentro a una pagina del mondo.

mercoledì 5 maggio 2010

Rousseau e gli altri filosofi-camminatori


Quando il camminare è viaggio, meditazione, riflessione, apertura al mondo, dialogo con la varietà del mondo. Non so quanti di voi conoscono Andrea Semplici: per me è uno dei migliori giornalisti e scrittori di viaggio in circolazione in Italia. Se andate sul suo sito troverete molte cose davvero belle, compresi interi reportage. Io vi suggerisco il suo testo sul camminare, da cui vi estraggo questo passaggio. Attraverso le Confessioni di Jean-Jacques Rousseau emerge la profonda sintonia tra i passi e i nostri pensieri migliori. Da leggere, ma soprattutto da provare.


‘Non riesco a meditare se non camminando. Appena mi fermo, non penso più, e la testa se ne va in sincronia con i miei piedi’. Sono parole, amate dai camminatori-filosofi (o dai filosofi-camminatori) di Jean-Jacques Rousseau. Appaiono nelle sue Confessioni. La storia del camminare come atto culturale è davvero recente. Poco più di due secoli fa: se Wordsworth (nato nel 1770) compie i primi passi letterali, Jean-Jacques Rousseau (nato quasi sessanta anni prima del poeta inglese) avvia il cammino dei filosofi che devono sentire le gambe muoversi per mettere in movimento anche i pensieri. L’esordio di Rousseau come camminatore è avvolto da un aneddoto leggendario: aveva quindici anni, il giovane Jean-Jacques, tornava da una gita domenicale nelle campagne attorno a Ginevra: è in ritardo e le porte della città sono già chiuse. Il giovane Rousseau non si dispera e continua a camminare fino a oltrepassare i confini della Svizzera. Il camminare diventa la metafora dell’uomo semplice. Nello stato di natura, l’uomo ‘erra nella foresta, senza industria, senza parole, senza domicilio, senza guerra e senza associazione, senza alcun bisogno dei propri simili, come pure senza desiderio di nuocere loro’. Il ribelle Rousseau riesce a pensare solo camminando: ‘Bisogna che il mio corpo sia in moto perché io vi trovi il mio spirito’. Jean-Jacques Reausseau pone ‘le basi per l’edificio ideologico dentro il quale il camminare sarebbe stato racchiuso’. E, come un destino, il filosofo morirà camminando in uno dei suoi paesaggi più amati.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...