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martedì 8 settembre 2015

In cammino sulla Montagna Sacra

Che cosa ne sa di me questo luogo che neanch'io posso sapere di me stesso?

Forse è proprio questa domanda, tratta dalle pagine de Le antiche vie di Robert Macfarlane, quella che più delle altre dovrebbe girare per la testa quando si decide di varcare questo confine: un muretto di pietre come per delimitare un pascolo, ma che invece segna il passaggio tra sacro e profano. Di là l'Europa, i tempi moderni, la storia che è andata avanti con tutte le sue lacerazioni e le sue inquietudini. Di qua la Repubblica che nelle mappe del continente nemmeno si vede, il dito più orientale dela penisola Calcidica, una striscia di rocce dove la vita scorre più o meno come mille anni fa.

Benvenuti tra i monasteri ortodossi del monte Athos, questo mondo a parte governato dai monaci, dove pare che ancora Bisanzio non sia caduta e dove anche il tempo si misura diversamente che in Grecia, pochi chilometri più in là. Dove solo poche centinaia di pellegrini possono entrare ogni giorno e tra essi solo dieci che non siano ortodossi. Dove le donne non possono provare nemmeno ad avvicinarsi. Dove non ci sono alberghi e ristoranti, ma solo celle e refettori.

E' questo mondo a parte, di silenzio, preghiera, natura strepitosa, che Fabrizio Ardito ci racconta in Sul Monte Athos (Ediciclo), viaggio che ci porta lontano, più lontano che con un volo intercontinentale. Di monastero in monastero, in cammino fino alla cima di Aghion Oros, la Montagna sacra. Mulattiere a picco sul mare, monasteri dove niente è cambiato, liturgie incomprensibili e tramonti da togliere il fiato. Fino a quella vista, lassù, sopra quella piramide di pietra che sembra il tetto del mondo, la vetta che affonda nel blu dell'Egeo e che ci allarga lo sguardo fino all'Asia. All'Oriente e all'origine della nostra civiltà: ma forse ancora di più, forse fino a quel mistero per il quale non abbiamo risposta. 

martedì 24 settembre 2013

Mani, libro perfetto per chi sogna la Grecia

Sono le cose strane dell'editoria: nel giro di un niente Bruce Chatwin viene tradotto in Italia e diventa un autore di culto (oggi un po' meno), oggetto della venerazione di tutti gli appassionati di letteratura di viaggio; lo stesso non succede con Patrick Leigh Fermor, altro scrittore viaggiatore inglese, a mio parere ancora più grande e autentico di Chatwin, in ogni caso maestro e amico di quest'ultimo. Poco importa che Chatwin debba molto a Fermor: siamo ancora alle prese con il  Che ci faccio qui? del primo e trascuriamo il secondo.

C'è modo di rimediare. Cominciando magari con Mani, forse il libro più bello di questo singolare inglese che percorse interi continenti a piedi. Mani, cioé uno dei più aspri e inaccessibili lembi di Grecia, penisola del Peloponneso che penetra nell'Egeo. Roccia e mare e popoli antichi che non hanno mai ceduto di un palmo dinanzi a qualsiasi esercito che ha provato ad assoggettarli. Un mondo a parte.

Perfetto da leggere in un viaggio in Grecia - io l'ho divorato a Creta. Perfetto per chi comunque sogna questa terra che, volenti o nolenti, fa parte della nostra storia e prima ancora del mito che ci ha reso ciò che siamo. Perfetto per abbandonarsi alla luce e alle ombre del Mediterraneo, per cullarsi ai venti che rendono meno torride le estati, per respirare gli odori della macchia mediterranea e della salsedine. Perfetto per abbracciare le storie che arrivano da lontano e ancora ci appartengono - ereditate con le parole di Omero e di tutti gli altri.

E poco importa se anche la Grecia di Fermor non è più la nostra Grecia... o forse sì, se anche a noi, come a Fermor, capiterà in dono di incantarsi, ascoltando due pastori parlare come saggi di Bisanzio o guardando un cameriere indicare l'isola di cui raccontò Omero. 

giovedì 17 maggio 2012

Anche il silenzio ha la sua storia

C'è il silenzio che si rassegna all'inesprimibile e il silenzio delle emozioni che hanno la meglio sulla ragione; il silenzio della devozione e il silenzio del piacere; il silenzio che comunica più di ogni altra parola e il silenzio che è solo assenza di parola.

Quanti silenzi che ci sono da quando l'uomo è uomo.... ma anche quanta storia che c'è nei silenzi dell'uomo. E se volete saperne di più, se la storia del silenzio vi intriga, magari perchè nemmeno sospettavate che il silenzio avesse una storia, ecco un buon consiglio di lettura: La lingua degli dei. Il silenzio dall'Antichità al Rinascimento di Roberto Mancini (Angelo Colla editore) è davvero un bel libro, che merita strappare all'attenzione esclusiva degli specialisti.

E che storia singolare, inattesa, che scorre sotto i nostri occhi. Le Sacre Scritture in cui la divinità parla e ascolta mediante il silenzio e le assemblee della democrazia ateniese che tramite il silenzio disciplinano l'abuso della parola. Gli affari della politica e la cura delle anime. Ma anche le regole e i luoghi del silenzio. I monasteri dove il silenzio apre la strada a Dio e la corte di Bisanzio dove il silenzio è attributo di potere.

Una lettura sorprendente, una lettura salutare, in tempi in cui il silenzio è diventato bene raro sia per le vie dello spirito che per le istituzioni della politica.

E in questo tempo di parole che avvolgono tutto, di parole abbondanti, inflazionate, superflue, non è male tornare ai molti significati del silenzio, a ciò che il silenzio è stato nella nostra storia. 
 


 

venerdì 20 maggio 2011

Bisanzio, la civiltà che abbiamo fatto sparire

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Una civiltà, diciamo pure, inferiore

Così sì è detto a lungo, e se non si dovrebbe dire di nessuna civiltà, figuratevi se si può dire di Bisanzio. Eppure, si dica o no, questa civiltà l'abbiamo fatta sparire. Dalla nostra consapevolezza, dal nostro immaginario. Mille anni di storia condensati in poche righe dei manuali scolastici, in qualche luogo comune, nei diversi nomi di una capitale (Costantinopoli, Bisanzio, Istambul), nell'idea di un mondo complicato e sanguinario.

Pensate, cosa è rimasto se non un aggettivo che non rende giustizia? Bizantino, cioé sottile, eccessivo, pedante, arzigogolato...

Per fortuna che poi arrivano libri come L'enigma di Piero di Silvia Ronchey che, in modo magnifico, riescono a ristabilire le misure e a ripagare i debiti. Perché si può far finta di ignorare che per secoli non ci fu nemmeno la percezione della caduta dell'impero Romano, perché Roma era diventata semplicente Bisanzio. Ma alla fine bisognerà riconoscere che anche il Rinascimento non sarebbe stato il Rinascimento senza Bisanzio.

Che bello, questo libro, che parte da un quadro di Piero della Francesca e dal suo enigma, per abbracciare un intero mondo, una civiltà e le sue possibilità. Roma e la seconda Roma. Roma e l'Islam. Bizanzio e l'Europa ancora da costruire.

E questi straordinari personaggi, completamente dimenticati. Prima di tutto Bessarione - sfido chiunque a sapere chi è - filosofo neopagano e insieme alto prelato cristiano, uomo di immensa cultura e di immenso potere che coltivò due grandissimi sogni: prima salvare Bisanzio dal naufragio della storia, poi consegnare l'eredità di Bisanzio all'Occidente che pure non si era mosso per salvarla.

Fallì nel primo obiettivo, ma quanta arte, quanta filosofia, quanti tesori gli dobbiamo, grazie alla sua opera.

Bessarione diceva:

Non c'è tesoro più prezioso, non c'è tesoro più utile e bello di un libro. I libri sono pieni delle voci dei sapienti, vivono, dialogano, conversano con noi, ci informano, ci educano, ci consolano, ci dimostrano che le cose del passato più remoto sono in realtà presenti, ce le mettono sotto gli occhi. Senza i libri saremmo tutti dei bruti

Quanto gli dobbiamo, quanto lo abbiamo dimenticato.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...