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venerdì 13 ottobre 2017

In Corea, straniera nel mondo più straniero

Qui finisce questa descrizione della mia noia spaesata. Scusate. Vorrei continuare a esistere per voi, e allora ho bisogno di tatuare su uno schermo il nulla, di strofinarci la polvere del quotidiano, mentre spero che mi restituiate parole, e che lo facciate subito, senza aspettare l'alba.

Mettete che la vita vi porti lontano dalla vostra casa, dal vostro paese, dai vostri affetti e persino dalla vostra lingua. Mettete che finiate in un posto davvero lontano, e non solo per i chilometri e per il fuso orario. Mettete che vi sentiate come marziani precipitati per chissà quale combinazione su un altro pianeta, per cui potrete anche provare una singolare attrazione, ma che si nega come il più impenetrabile degli enigmi.

Beh, è quanto succede a Maria Anna Mariani,  a cui la lotteria della vita assegna un incarico universitario - ovviamente precario - in Corea. Ed è la Corea il pianeta in cui precipita. Un paese affascinante ma soprattutto un paese che più distante non si può: dove la lingua esprime una visione del mondo agli antipodi - la lingua italiana è una lingua del tempo. La lingua coreana è una lingua dello spazio - dove chiedere e soprattutto ottenere un'informazione è ardua impresa nonostante la diffusa gentilezza, dove anche utilizzare la lavanderia condominiale presuppone la conoscenza di regole che non sono le nostre.

E allora cosa fai, per riscattare la tua nuova vita, per ridarle un senso e una condizione che non sia solo quello della monade, della persona fuori posto? Accendi il computer, ti metti a scrivere e inviare mail, racconti, provi a raccontare quel paese che ti sfugge da ogni dove.

E meno male, perchè un giorno così potrà venire fuori un libro come questo, Dalla Coreda del Sud, pubblicato da Exòrma, casa editrice che, l'ho già detto, raramente sbaglia un colpo. Anche questa volta potete andare sul sicuro.

Gran libro, questo, che sfoglia i segreti e le sorprese di un paese che è radicalmente altro: gli inchini e i treni che funzionano come in un film d fantascienza, le donne sciamane e la chirurgia plastica da primato, i monsoni e le tecnologie più ardite. Più il pazzo con i missili dall'altra parte del confine, poco sopra Seul, è chiaro.

Gran libro, e non solo perchè ci racconta la Corea. Gran libro perché va a fondo della condizione dello straniero, capitato nel mondo che gli è più lontano. In qualche modo vicino solo ad altri stranieri - altri insegnanti dell'università arrivati da tutto il mondo - con cui è difficile capire cosa si spartisce davvero, se non una forzata intimità, una fame di affetti, un bisogno di riconoscersi a cui certo non sono sufficienti nè le chiacchiere in un inglese condiviso nè qualche cena in compagnia. E tanto meno i pezzetti di parmigiano custoditi nel frigo.

Alla fine Maria Anna saluterà Seoul, esercitando l'arte del distaccando ma non senza nostalgia. Finirà a fare la straniera negli Stati Uniti, all'altra estremità del mondo, straniera in un mondo presumibilmente meno straniero. Portandosi comunque dietro, immagino, le domande su quale sia davvero il nostro posto nel mondo.

Continui a domandarselo, se poi da questa domanda distillano pagine come queste.










sabato 30 gennaio 2016

Nel cuore dell'America, dove si inventa la storia

Come argomento lo attraeva soprattutto la storia, perché nella storia c'è sempre qualcosa di sbagliato.

E' solo una frase, tra le tante in cui mi sono soffermato in questo libro che è come un fiume in piena di dialoghi incalzanti e frasi taglienti come se fossero state incise con un bisturi nel corpo vivo degli eventi. Solo una frase, ma dice già molto dell'atmosfera che si respira accettando la sfida che Gore Vidal lancia con L'Età dell'oro (Fazi editore).

Romanzo sulla storia degli Stati Uniti tra il 1939 e il 1954, dalla seconda guerra mondiale alla guerra di Corea. Ma soprattutto romanzo sul potere, sulla verità del potere, sulle falsificazioni del potere.

Proprio in questi anni gli Stati Uniti si affermano come assoluta potenza mondiale e lo fanno non solo con gli eserciti, anche con la loro economia, con il loro stile di vita. Ma questo non è un romanzo su una nazione, non mette in scena un popolo. Gore Vidal va al cuore dell'America, entra dentro la Casa Bianca, sembra abbia piazzato microfoni ovunque per registrare e svelare.

Questi sono anche gli anni in cui i mass media diventano decisivi, in cui i grandi eventi della politica rispondono a una attenta regia. La politica è sempre più non ciò che si fa o si pensa ma ciò che si riesce a far credere. Ed è in questo contesto che Gore Vidal si muove a suo agio come un pesce in acqua, per raccontare ciò che si vede e soprattutto il modo con cui si fa vedere. I suoi microfoni nelle stanze del potere fanno il resto: e svelano intrighi, ambizioni, debolezze.

Come un entomologo, alle prese con i suoi insetti, Vidal studia, analizza, classifica. Eppure senza il distacco che attribuiamo all'entomologo. Lui la pensa come Tolstoi: La storia sarebbe una gran bella cosa, se solo fosse vera. Solo che ci si può appassionare, al gioco della verità. E non smettere più.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...