Visualizzazione post con etichetta William Saroyan. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta William Saroyan. Mostra tutti i post

lunedì 14 gennaio 2019

Il consiglio di Saroyan allo scrittore: respira profondamente

L'inizio è sempre difficile, non è facile scegliere tra le tante la parola giusta, destinata a durare; dentro di sé non ci si esprime con un'unica parola.

William Saroyan, il figlio di poveri immigrati armeni in America che riuscì ad arrivare al Pulitzer (tranne poi rifiutarlo), di parole dentro ne possedeva  un'infinità, in grado di esprimere e declinare in un romanzo ogni singola parola. 

A distanza di tanti anni per molti la sua Commedia umana è ancora un libro di culto, tra gli irrinunciabili della letteratura americana del Novecento, allo stesso modo del Giovane Holden di Salinger. E anch'io, che la Commedia l'ho letta una prima volta che non ero molto più grande del protagonista, Ulysses, ancora mi sembra di vedere davanti a me quel ragazzino che corre in bicicletta per le stradd di Ithaca.

Non avevo ancora letto i racconti riuniti in Ragazzo coraggioso e riediti di recente da Marcos y Marcos. Meno male, dico ora, perché il piacere ce l'ho avuto ora, non è solo un ricordo del passato. 

Ti immergi nelle pagine di Saroyan e senti di immergerti nella vita, con i suoi alti e i suoi bassi, le sue gioie e i suoi dolori. Semplicemente la vita, che pulsa a ogni istante.

E vale davvero ciò che lui stesso spiega all'inizio di questa raccolta, prefazione che vale una scuola di scrittura:

Il suggerimento più importante per uno scrittore, tuttavia, è questo: impara a respirare profondamente, a gustare davvero il cibo quando mangi, e quando dormi, dormi davvero. Cerca di vivere più che puoi, con tutte le tue forze, e quando ridi, ridi con tutto il cuore, e quando ti arrabbi, arrabbiati fino in fondo. Cerca di vivere. Ben presto morirai. 

Ci proverò anch'io, a respirare profondamente. 

 


martedì 24 maggio 2011

Se la provincia è un po' come l'America

Uno pensa alle grandi città, a Roma, a Milano, magari anche a Torino, a Firenze, a Genova.... insomma alle città con le case editrici, le grandi librerie, i caffé storici, i circoli che contano, e via di seguito, facile pensare così, pensare che cultura e grande città vadano a braccetto.

Per fortuna poi che a volte lo sguardo può cadere anche su una pagina come questa di Luciano Bianciardi, tratta da Il lavoro culturale, libro straordinario di volti e parole e idee della provincia più provincia, figuratevi, la Maremma del dopoguerra.


Noi ordinavamo bicchierini di grappa e si restava lì un paio d'ore, a sorseggiarla, a guardare i camionisti, a parlare di letteratura. Letteratura americana, naturalmente; e veniva sempre il momento in cui il nostro ospite osservava che quell'angolo di provincia, così, con la campagna a ridosso e la grande strada della capitale, e i camionisti, un posticino così, tranquillo, bene illuminato, pareva proprio uscito da una pagina di Hemingway. O di Saroyan.

La provincia doveva essere un po' tutta così, fosse America, Russia, o la nostra città. La provincia, culturalmente, era la novità, l'avventura da tentare


E non so se ci voglio davvero credere, non so se vale solo per tempi ormai lontani, non so se è più un crampo di nostalgia, una velleità, o un dato di fatto, ma sogno questa provincia, mi piace pensare che l'Italia sia questa immensa rete di compagnie amatoriali, filarmoniche, associazioni delle più varie, storici locali, bibliotecari, maestri, lettori appassionati... che sia questa l'Italia della grande provincia. O che magari possa esserla.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...