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lunedì 5 febbraio 2018

Il viaggio che cambia ciò che noi siamo

Convinti che si è già detto tutto sul viaggio? Sì, forse è vero, il mondo è già stato tutto raccontato, non c'è più angolo del pianeta, ma il viaggio no, perché il viaggio mentre ci cambia cambia con noi. E ci sono libri che ci aiutano in questa consapevolezza.

Ecco, proprio così. Controvento. Storie e viaggi che cambiano la vita (Einaudi) di Federico Pace non è solo libro di splendida scrittura, capace di calamitare attenzione e sentimenti in ogni pagina. E' libro capace di rammentarmi, se mai me ne fossi dimenticato, che viaggiare non significa solo attraversare continenti, macinare chilometri, raggiungere dstinazioni, comunque prendere e partire. Un viaggio è anche ciò che succede dentro.

Federico Pace questo ce lo dice attraverso le ombre di alcuni grandi, da Niemeyer a Einstein, da Van Gogh a  Camus, da Gauguin a García Marquez, fino a David Bowie e Joni Mitchell: tutti fermati - o meglio, accompagnati - in un movimento in cui è la vita stessa che accade.

Le storie raccolte in questo volume - spiega all'inizio - inseguono alcuni protagonisti in quegli attimi e in quei luoghi, in quei viaggi, in quei gesti e in quelle fughe, alle curve del tempo, in cui si sono trovati a desiderare, e ad accettare, che la vita cominciasse ad accadere. O tornasse a farlo di nuovo, dopo un tempo troppo lungo in cui nulla sembrava più possibile.

Il viaggio allora è strappo da ciò che ci appartiene, è sfida che ci chiama alla prova, è disvelamento di una parte di noi che forse prima nemmeno sospettavamo esistesse. E' quel momento, appunto, in cui le cose si rimettono in moto. In cui siamo e diventiamo altro.

domenica 6 novembre 2011

Quel concerto dei Muse per ricordare altri tempi

È così, appena la chitarra elettrica rovescia le prime note e le luci cominciano i loro giochi, sento dilagarmi un fiotto di gioia. Sono contento di essere dove sono e contento della mia contentezza. Pensare che fino all’ultimo ho cercato mille pretesti per non esserci. Uno dei miei consueti tira e molla mentali.
 

Meno male che per una volta mi sono scrollato di dosso ogni esitazione e ora sono qui, tra i molti che affollano il Piazzale Michelangelo.
 

Ci sono i Muse, sul palco, uno di quei gruppi che da qualche tempo scalano le hit con il beneplacito della critica. Concerto maledettamente giovane, sicuro. Nemmeno ci ho provato a proporlo ai miei amici. Muse? E che roba è? Più facile tentare con una serata di revival di qualche rockstar ormai sopra i sessanta, che so io, David Bowie oppure Mick Jagger.
 

A guardarmi dall'esterno sono proprio un fuori quota, un mezzo intruso tra i tanti ragazzini che fanno ressa sotto il palco, saltano, ballano, accompagnano i refrain delle canzoni più gettonate.
 

Però la cosa non mi disturba, non sento i loro occhi addosso. Tutti si fanno i fatti loro e non si scompongono di fronte a uno che potrebbero catalogare come un genitore sguinzagliato a fare il cane da guardia.
Alla loro età io ero senz’altro più diffidente, più pronto a distribuire la gente di qua e di là: noi e voi.
 

Sono belli questi ragazzi e forse ai tempi ero bello anch’io.
 

E c’è Firenze sdraiata sotto i miei occhi. L’aria di primavera è una flebo di serenità; questa sera è così dolce che posso ripensarmi ventenne senza formicolii di inquietudine.
 

Anch’io mi lasciavo attraversare dalla musica, anch’io mi inebriavo di suoni e di alcol, di amici e di concerti allo stadio.
 

E no, ovviamente, non ero felice.
 

Da onesto cronista di me stesso, dovrei mettere in fila tutte le sbornie tristi, le notti di pensieri cupi, anche i concerti in cui non riuscivo a sopportare la mia solitudine in mezzo a una folla esageratamente piena di ragazze inavvicinabili.
 

Più che infelice. Allevavo l’infelicità e la sbandieravo con le parole di Paul Nizan. «Avevo vent’anni e non permetterò a nessuno di dire che è l’età più bella».
 

Però, insomma, pure in tutto quel penare c’era una percezione di eternità, più forte di qualsiasi presagio di pericolo. Perché c’ero io, c’era la mia giovinezza.

Sì, ero bello, anche se mi degnavano poco.
 

Ma come si scatenano, i Muse. La loro musica mi piove addosso con una irresistibile valanga di suoni che si mescolano alle luci, alle onde della gente, all’odore della cannabis reso più pungente dal sudore.

Tutto sembra conservare ancora un luccichio di quell’eternità.


(da Paolo Ciampi, Una domenica come le altre, Mauro Pagliai editore)

lunedì 17 ottobre 2011

Come si fa a salvarsi la vita con Hegel

Voi che dite, come si fa a salvarsi la vita con Hegel? Come si fa non dico a cogliere nei rigori della sua filosofia un orizzonte, una possibilità, un'alternativa che abbia a che vedere con i nostri giorni, non dico questo, ma solo a trovare tra le sue pagine un porto sicuro, l'ombra di un sollievo?

Non mi verrebbe mai in mente. Hegel sono le interrogazioni da evitare al liceo. Gli sbadigli per prepararsi a quelle stesse interrogazioni. L'idealismo tedesco da rifuggire come la peste, tanto sono elevate e distanti quelle idee, idee tanto idee che assomigliano alle pareti dell'Himalaya.

Eppure sentite che ha raccontato uno come Aldo Nove, scrittore che voglio conoscere di più, vita che ha conosciuto altre vite - immagino sciagurate - prima di quella dello scrittore affermato:

Allora l'eroina sembrava una forma di vita alternativa a differenza della cocaina che aiuta a integrarti, a lavorare. C'era anche la musica a farmi compagnia: i Joy Division, The Cure, Lou Reed e David Bowie. Ascoltavo e mi immergevo nei Paradisi artificiali di Charles Baudelaire, nelle Confessioni di un mangiatore d'oppio di Thomas de Quincey, mi gustavo  Timothy Francis Leary, il guru delle droghe psichedeliche, e Aldous Huxley, gran sostenitore degli allucinogeni e "padre spirituale" del movimento hippie. Però ero anche innamorato della filosofia di Hegel, delle sue bellissime pagine sulla natura. E proprio questo interesse mi portò fuori dalla tossicodipendenza

Non so voi, ma queste parole mi hanno gettato una nuova luce su Hegel. Ora sto scrutando i suoi ritratti con una certa curiosità. Con una certa gratitudine, anche. Come se le sue pagine fossero una delle migliori dimostrazioni  - se anche con Hegel ci si riesce... - che i libri, davvero, i libri possono cambiarci la vita, mica scherzi...

sabato 18 dicembre 2010

Aldo Nove e la vita salvata da Hegel

Voi dite, come si fa a salvarsi la vita con Hegel? Come si fa non dico a cogliere nei rigori della sua filosofia un orizzonte, una possibilità, un'alternativa che abbia a che vedere con i nostri giorni, non dico questo, ma solo a trovare tra le sue pagine un porto sicuro, l'ombra di un sollievo?

Non mi verrebbe mai in mente. Hegel sono le interrogazioni da evitare al liceo. Gli sbadigli per prepararsi a quelle stesse interrogazioni. L'idealismo tedesco da rifuggire come la peste, tanto sono elevate e distanti quelle idee, idee tanto idee che assomigliano alle pareti dell'Himalaya.

Eppure sentiti che racconta a Tuttolibri uno come Aldo Nove, scrittore che voglio conoscere di più, vita che ha conosciuto altre vite - immagino sciagurate - prima di quella dello scrittore affermato:

Allora l'eroina sembrava una forma di vita alternativa a differenza della cocaina che aiuta a integrarti, a lavorare. C'era anche la musica a farmi compagnia: i Joy Division, The Cure, Lou Reed e David Bowie. Ascoltavo e mi immergevo nei Paradisi artificiali di Charles Baudelaire, nelle Confessioni di un mangiatore d'oppio di Thomas de Quincey, mi gustavo  Timothy Francis Leary, il guru delle droghe psichedeliche, e Aldous Huxley, gran sostenitore degli allucinogeni e "padre spirituale" del movimento hippie. Però ero anche innamorato della filosofia di Hegel, delle sue bellissime pagine sulla natura. E proprio questo interesse mi portò fuori dalla tossicodipendenza

Non so voi, ma queste parole mi hanno gettato una nuova luce su Hegel. Ora sto scrutando i suoi ritratti con una certa curiosità. Con una certa gratitudine, anche. Come se le sue pagine fossero una delle migliori dimostrazioni  - se anche con Hegel ci si riesce... - che i libri, davvero, i libri possono cambiarci la vita, mica scherzi...

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...