Visualizzazione post con etichetta Casentino. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Casentino. Mostra tutti i post

mercoledì 30 aprile 2014

Con Daniel Tarozzi, un viaggio che sa di aria buona

Le persone che ho incontrato vivono, per scelta, in modo completamente diverso, e seppur tra mille difficoltà, con una burocrazia che strangola e con la pura di fallire, hanno una luce negli occhi e una dterminazione nei movimenti che manca a quell'altra Italia: quella rappresentata dai reality show, dai talk show e dai telegiornali. 
 
Provo una certa invidia per Daniel Tarozzi, perché ha saputo trovare quello che in questo tempo di scarse motivazioni e molte delusioni è cosa rara: un'Italia pulita e generosa, un'Italia che non dispera ma si è aperta un varco per il futuro, un'Italia che non si piange addosso, ma prima di tutto prova a fare.

Provo invidia per questo giovane collega che ho avuto modo di conoscere qualche settimana fa, in una serata organizzata dalla Fondazione Baracchi in Casentino, tranne poi dirmi che l'invidia non va bene, che in realtà dovrei provare solo gratitudine. Perché Daniel prima ancora di saper trovare, ha dimostrato di saper cercare. Anche andando contro il senso comune, contro i sentimenti e le visioni che hanno messo radici dentro di noi.

Ha saputo cercare, ha saputo trovare, Daniel. Scommettendo su se stesso e su un camper piuttosto malandato con cui per sette mesi ha girato in lungo e in largo per l'Italia. Alla ricerca di idee, progetti, pratiche. Di persone, soprattutto, in grado di dire qualcosa oltre la rassegnazione.

Ne è venuto fuori questo libro, Io faccio così (Chiarelettere). Un libro a suo modo di viaggio, come indica anche il sottotitolo: Viaggio in camper alla scoperta dell'Italia che cambia. Viaggio necessario, perchè sarà pure l'epoca del web 2.0 e dei social che mettono tutti in rete, ma poi per capire davvero il cambiamento devi partire dai volti, di più, devi cogliere quella luce negli occhi.

Daniel ci riesce benissimo. E ai più depressi tra noi - a quelli dell'"E' l'Italia, bellezza" - io questo libro lo consiglio sul serio. Per leggerlo mica come un saggio. Ma come un libro di viaggio, appunto, capace di regalarci finalmente un po' di aria buona da respirare.

martedì 10 dicembre 2013

Quando si comincia ad abitare la nostra lingua

 Io, gli dissi, non riuscirei mai a imparare l'arabo nel mondo in cui stai facendo tu con l'italiano.

Molte cose ci ha raccontato l'altro giorno Eraldo Affinati, nell'incontro organizzato dalla Fondazione Baracchi alla Villa Mausolea di Soci, in Casentino. Molte cose, per spiegarci come nelle sue pagine scrittura ed esperienza sono così strettamente intrecciate che non ci sarebbe scrittura senza esperienza. E che, anzi, la scrittura in realtà è l'unico modo per dare un senso all'esperienza. Mica solo per lui. Anche per i ragazzi che incontra ogni giorno nel suo lavoro di insegnante.

Perchè saranno i cosiddetti ragazzi difficili, magari arrivati in Italia da altri paesi, portandosi dietro altre culture e altre lingue. Eppure il futuro lo cominciano a costruire solo nel momento in cui abitano davvero anche la nostra lingua. Quando con questa lingua cominciano anche a raccontarsi.

Non so se tra le tante domande che avevo in testa di fargli c'era anche questa storia - oppure se c'è capitato lui, sull'onda di un'altra domanda. Ma è stato bello sentire Eraldo raccontare di una "promessa mantenuta", la storia del viaggio con Omar e Faris, due suoi allievi che, dopo anni di assenza, ha voluto riaccompagnare in Marocco.

Un viaggio raccontato nel suo La città dei ragazzi. Un viaggio, insieme a due specialisti della lontananza, che difficilmente ha uguali in tanta letteratura che pretende di portarci ai quattro angoli del mondo.

Con quante domande era partito: perché erano fuggiti dalla loro terra? Da cosa erano esattamente scappati? Chi erano i loro padri? E quante risposte, in un villaggio dimenticato del Marocco.

Quante parole, per raccontarsi e per raccontare a tutti noi.

mercoledì 16 ottobre 2013

Simona Atzori: le parole danno forma al corpo

Il calabrone non potrebbe volare, secondo le leggi della fisica aerodinamica, ma lui non lo sa. Così vola. Vola comunque. Non vola "nonostante" il suo limite, perché non lo conosce, non ha inventato qualche sofisticato meccanismo per superarlo. Vola "con" il suo limite. Vola così com'è. A istinto.

Così scrive Simona Atzori nel suo Cosa ti manca per essere felice? (Mondadori), il libro che racconta la sua straordinaria storia di donna che, nata senza braccia, ha rifiutato fin da bambina di essere rinchiusa nei recinti della disabilità riuscendo a diventare ballerina e pittrice di assoluto valore.

Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di intervistarla, insieme a Massimo Orlandi, in un incontro in Casentino organizzato dalla Fondazione Baracchi e per prepararmi ho letto questo libro, con qualche diffidenza iniziale, a dire il vero, temendo un'inflazione di retorica buonista, per così dire.

Mi sbagliavo: qui le emozioni ci sono, in concentrazione vicino ai limiti di legge, ma senza adulterazione, senza trucchi. Qui c'è una vita intera che si porge senza infingimenti e ostentazioni, cercando semplicemente di farsi largo fino ai nostri cuori. 

Fino ai nostri cuori, ma anche oltre la giungla delle parole. Perché sono le parole che quasi sempre ti fregano, le parole sono la gomma che cancella la strada davanti a te, che vorresti e potresti percorrere.

Una parola su tutte Simona detesta, sempre che possa detestare qualcosa a questo mondo: la parola disabilità. Perché identificarsi con questa parola? Le parole - dice Simona - danno forma al corpo. 

E fosse solo per questo pensiero - e per il dubbio che instilla - questo è un libro che vale. 

lunedì 14 gennaio 2013

Storia e fantasia dal Casentino a Gerusalemme

Che questo sia un romanzo storico o una storia della prima crociata 'attraversata' da un racconto più o meno immaginario, o qualunque altra cosa, non sono io a doverlo decidere: perché rispetto i generi letterari ma, grazie a Dio, non me ne occupo.

E allora, potrei provare io a rispondere a proposito di L'avventura di un povero crociato di Franco Cardini. Questo è di gran lunga più il libro di uno storico che di un romanziere. Di uno storico che per una volta ha usato un espediente narrativo e da esso si è fatto portare lontano.

Un documento, da questo è partito Franco Cardini: una donazione a un tale Rimondino di Donnuccio - magnifico nome medievale o forse da Armata Brancaleone - per il servizio reso al suo signore a Gerusalemme. Di Rimondino non si sa nient'altro, esiste solo questo documento, che quindi è assai meno espediente dei documenti inventati per le loro narrazioni da Alessandro Manzoni o da Umberto Eco. Però è sufficiente per accendere il riflettore della curiosità e della fantasia e per accompagnare Rimondino dalle terre del Casentino, montagna toscana, fino alla piana riarsa di fronte alla Città Santa, per l'assedio e poi il terrificante massacro che per la storia è la Prima Crociata: quella della Gerusalemme Liberata.

Forse la narrazione funziona così e così, perché il narratore poi si lascia prendere dallo storico, il grandissimo storico che ha voglia di descrivere, spiegare, illuminare tutto. E di Rimondino si perdono più volte le tracce. Ma che bellezza, il viaggio raccontato in queste pagine (a partire dall'Arno disceso con le zattere, tra molteplici rischi). E quanto ci sarebbe da ragionare sul sottile gioco di rimandi e corrispondenze tra la fantasia e la verità storica.

Per questo, forse, qua e là mi è capitato di avere la sensazione di 'toccare' la verità della prima crociata - e , diciamo così, il suo odore - più da vicino di quanto non mi sia accaduto quando l'ho avvicinata con i soli strumenti della ricerca storica.

Dichiarazione, poi, che va a riconoscimento della sincerità e dell'umiltà dello storico.

martedì 27 settembre 2011

Il filosofo che si interroga sul senso del nostro tempo


Per quanto il problema della morte sia cruciale, forse è ancora più radicale la sfida che ci viene dal tempo in quanto tale, dalla temporalità irreversibile per cui il nostro essere è un divenire

Roberto Mancini è un filosofo - e addirittura un filosofo teoretico - di cui recentemente ho letto diversi libri, complice un incontro in Casentino nel quale, sperando di essere all'altezza, dovrò porgli qualche domanda (domenica 2 ottobre, ore 15.30, Pieve di Romena, nell'ambito di Le Parole e il Silenzio). E' anche un uomo che sa far scendere la filosofia dai più alti cieli dell'astrazione e usarla per le grandi questioni della nostra vita: come il tempo, per esempio, che poi davvero è la questione delle questioni, forse più ancora della morte.

Consiglio a tutti, allora, questo piccolo libro, Il senso del tempo e il suo mistero (Pazzini editore), piccolo ma denso, denso ma capace di parlare al cuore di tutti.

Pagine in cui si spiega che il tempo non è solo un contenitore di cose ed eventi, perché noi stessi siamo il tempo, noi stessi siamo intessuti di tempo. Pagine che ci esortano a comprendere che il tempo non è il nemico che ci toglie tutto,  perché il tempo in realtà ci dà tutto ciò che siamo, compreso la possibilità di esserlo. Pagine che ci restituiscono anche la dimensione del futuro, la proiezione verso il futuro, condizione imprescindibile per poter vivere pienamente il tempo.

Altro che giochi intellettuali. In ballo qui c'è il nostro rapporto con la vita. E la possibilità di capirla un po' di più, magari grazie a parole come queste:

L'orologio è il tentativo di vedere il tempo. Ma il tempo è invisibile. Però lo posso ascoltare...

martedì 11 maggio 2010

Andrea De Carlo e le ragioni della scrittura


Sabato scorso Andrea De Carlo ha parlato a lungo con tutti noi delle ragioni della scrittura, della molla interiore che a un certo punto ti spinge verso un computer (o per quanto riguarda i suoi inizi una macchina da scrivere, una mitica Lettera 22) e ti richiama alla possibilità di un racconto o di un romanzo. Anche solo per queste riflessioni avrebbe meritato questo incontro organizzato in Casentino nell'ambito di Le Parole e il Silenzio. E da sabato è proprio a questo che penso. Quello che spinge a scrivere. Mi piace cosa Andrea De Carlo ha detto - o meglio ha fatto dire a uno dei suoi personaggi - in I veri nomi.

Non ho mai provato a definire in modo preciso le ragioni per cui mi sono messo a scrivere la prima volta, anche perché mi sembra che analizzare una passione sia un po’ come mettersi a fare radiografie ed esami del sangue a una persona di cui sei innamorato. Comunque uno dei motivi è di sicuro il fatto di potermene andare via da qualsiasi posto ed essere altrove, come quando ero bambino e divoravo libri di viaggi e la mia vita reale passava in secondo o terzo piano. E’ lo stesso altrove dove se ne va uno che legge quando le pagine che ha davanti lo prendono davvero; solo che uno che scrive ci può restare più a lungo. Un altro motivo è l’idea di attingere alla moltitudine infinita di nomi e segni e selezionarne alcuni che diano il senso del resto… Poi c’è un motivo più semplice e anche più strano: l’incantamento che creano le parole quando si materializzano su un foglio bianco e formano una frase: il gioco di suoni e di immagini, i ritmi interni

Ci sono diversi motivi, in questa manciata di frase. E a me piace soprattutto il senso di quell'altrove che regala la parola scritta: sia scritta da noi oppure da noi solo letta.

E' quell'altrove che faccio mio fin dal titolo di questo blog: i libri sono viaggi, appunto.

sabato 8 maggio 2010

Con Andrea De Carlo la magia della parola


A cena Andrea De Carlo aveva scosso la testa e noi con lui: chi verrà mai a questo incontro in Casentino, lontano da ogni grande città, in una sera come questa, poi, maggio che pare novembre, con la nebbia sul passo che si taglia sul coltello.

Più tardi siamo arrivati alla Mausolea, la villa scelta dalla Fondazione Baracchi per il secondo incontro de Le Parole e il Silenzio, questa volta dedicato alle strade della creatività. E sorpresa, la sala era gremita, piena di persone che avevano deciso di uscire sotto la pioggia e fare chilometri per parlare di scrittura e di lettura.

Andrea De Carlo non si è risparmiato. Ha parlato dell'urgenza della scrittura che lo ha accompagnato fin da bambino, quando sognava sulle avventure di Emilio Salgari (dopo ci siamo reciprocamente riconosciuti come salgariani convinti, certe cose sono come il Dna) e ascoltava la musica del grande Bob Dylan. Ha raccontato dei personaggi dei suoi romanzi che lo accompagnano anche dopo che ha spento il computer e ha concluso il libro, grumi di realtà, compagni di vita. Ha spiegato che le parole sono importanti, sono ponti per condividere non passerelle per esibirsi, per questo
vale usare quelle che impegnano maggiormente la lingua e risuonano più a lungo nelle orecchie.

Ma poi i veri protagonisti sono stati loro. I ragazzi delle scuole superiori, che hanno dedicato un venerdì sera (con il compito di latino che li aspetta questa mattina...) a parlare con uno scrittore, dopo aver letto insieme Due di Due, un libro che a distanza di 20 anni parla ancora ai loro cuori (come prima ha parlato alla mia generazione. E poi le persone del Club del libro del Casentino che dall'anno scorso si ritrovano ogni mese perché è vero, in questa valle non c'è nemmeno una libreria, però i libri vanno accompagnati, vanno condivisi, i libri non solo solitudine, ma possibilità di relazione.

E io sono tornato a casa con quelle due citazioni conclusive che mi giravano per la testa.

Oscar Wilde: L’arte, tutta, è completamente inutile. Aveva torto marcio, è ovvio, il grande Oscar

E George Bernard Shaw: Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso; e si usano le opere d'arte per guardare la propria anima.

Vero, verissimo. Andrea De Carlo con questa serata ci ha aiutato a esserne convinti.

giovedì 8 aprile 2010

Le Parole e il Silenzio tornano in Casentino


Il silenzio, perché solo il silenzio ci può aiutare a cogliere parole non superflue; ma anche le parole, almeno le parole che scavano e lasciano qualche impronta, perché sono esse a riportarci agli stupori del silenzio: là dove un incontro che si conclude, un arrivederci, un ritorno a casa non è detto rappresentino solo una conclusione, piuttosto suggeriscono un nuovo pensiero, una possibile lettura, magari un seme di una futura discussione.

Così scrivevo tre anni fa assieme all'amico Massimo Orlandi (leggete il suo Invisibile agli occhi, bellissimo), per presentare il primo ciclo di Le parole e il silenzio, gli incontri promossi dalla Fondazione Baracchi nei luoghi più suggestivi di una delle più belle valli toscane, il Casentino (una valle, appunto, che sembra fatta apposta per i silenzi e per le parole condivise).

In questi anni grazie a Le Parole e al Silenzio (e ovviamente grazie alla generosità e all'entusiasmo della Fondazione) abbiamo avuto modo di conoscere e condividere parole importanti con ospiti come Lella Costa, Maurizio Maggiani, Erri De Luca, Tito Barbini, solo per ricordare i primi che mi vengono in mente. Abbiamo parlato a lungo di Tiziano Terzani e dei suoi insegnamenti per la pace e per trovare la salute anche nella malattia. La manifestazione è cresciuta, di anno in anno, e ora è di nuovo ai nastri di partenza, per la quarta edizione.

L'anno scorso il filo comune a tutti gli incontri fu l'ascolto, quest'anno è un'altra azione solo apparentemente umile, lo sguardo, con la consapevolezza che ogni nuovo sguardo è in realtà un nuovo modo di guardare il mondo.

Si inizia il prossimo sabato con lo sguardo che passa attraverso lo schermo del computer e la rivoluzione digitale. Il prossimo mese si continua con lo sguardo della creatività, insieme a un autore che non ha bisogno di presentazione come Andrea De Carlo
Sono contento di poter dare una mano a Le parole e il silenzo anche quest'anno. Sono contento di potere parlare ora non di conferenze o dibattiti come tanti altri, ma di incontri che, al di là dei numeri, ricordano l'atmosfera di antichi convivi.

(sul sito della fondazione trovate il programma completo).

lunedì 5 ottobre 2009

In Casentino, per ascoltare la scienza


Ci sono parole importanti, non superflue, che solo il silenzio rende davvero vive. E ci sono silenzi che scavano e ci riportano alla bellezza della parola che lascia una traccia.

Però a pensarci bene nè le parole nè i silenzi avrebbero per noi alcun significato, senza la nostra capacità di ascolto.

Ascoltare: azione umile, raccolta, così timida che in apparenza non è nemmeno un'azione, piuttosto qualcosa che avvicina l'uomo a una ciotola che si riempie di acqua.

Eppure è l'ascolto a fare la differenza, come dono da accogliere, talento da coltivare, arte da svelare.

Proprio l'ascolto è il filo che in questo 2009 caratterizza il percorso di Le parole e il silenzio, il ciclo di incontri che ormai da tre anni la Fondazione Baracchi propone in alcuni dei luoghi più belli e suggestivi del Casentino, in Toscana.

Il prossimo appuntamento è sabato prossimo, il 10 ottobre (villa La Mausolea, Soci, ore 16.30), con l'incontro "Infinitamente grande, infinitamente piccolo: la scienza della meraviglia". Un modo diverso per parlare di scienza, con la scienza che diventa altro, diventa di più: un viaggio, un'avventura, una possibilità di meraviglia, un canto di bellezza.

Dagli astri lontani anni luce, l'infinitamente grande, ai più minuscoli insetti, l'infinitamente piccolo: un incontro con alcuni grandi scienziati che per una volta non terranno una lezione dalla cattedra, ma ci racconteranno brividi e stupori di un lavoro che ci permette di "ascoltare" l'universo. Io ci sarò.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...