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martedì 26 marzo 2019

Verso il bianco, orme e parole sulla neve

La neve è come l'acqua, penso, ma con una differenza. Sai già che se ne andrà, ma per un momento ti dà la sensa zione di poter restare. Le parole sono come la neve. 

Si comincia appunto con la neve, in uno dei paesi, la Svizzera, che più richiama i paesaggi e i sentimenti della neve. Si comincia con le orme che sulla neve sono state lasciate, 14 orme per 7 passi, e più avanti il corpo di un uomo che è stato uno dei più grandi e sottovalutati scrittori del Novecento europeo. Si comincia, ancora, con l'illusione che quelle orme rimangano, anzi, sollecitino ancora passi che calpestino il nostro cuore. E che anche le parole - sì, le parole - siano orme che resistono, magari più di una manto di neve.

Comincia così uno dei libri più intensi che mi sia capitato in questi anni tra i molti che hanno provato a intrecciare  il mistero della scrittura e il mistero dei luoghi: Verso il bianco di Paolo Miorandi, sottotitolo Diario di viaggio sulle orme di Robert Walser, recente proposta di una casa editrice, Exòrma, che difficilmente sbaglia un colpo.

Si comincia, appunto, da quel giorno di Natale del 1956 in cui Robert Walser viene trovato senza vita su un sentiero di montagna e consegnato allì'immobilità di una foto in bianco e nero scattata da un poliziotto. Ma da lì comincia un viaggio a ritroso, o meglio, cominciano più viaggi: intorno a Herisau, nella Svizzera tedesca dove Walser ha vissuto, in manicomio, i 23 anni conclusivi della sua vita; nelle profondità della sua anima e della sua scrittura che non traccia piste, ma cancella impronte (a proposito di orme); nella nostra stessa intimità, perché è a questo che ci richiamano le pagine di Miorandi, cacciatore di stupori e di malinconia.

Ogni volta lascio che la strada mi guidi verso il punto che il mio occhio ancora non vede, dove il silenzio copre le voci.

Così scrive Miorandi, in questo libro in cui il viaggio si fa poesia, emozione dell'istante e del ricordo. Sollecitandomi, tra l'altro, ai miei ricordi di Dino Campana, altro poeta trascurato in vita e consegnato al manicomio, ma capace di attingere a una sorprendente leggerezza nel cammino. 

Così simili, in fondo. Così indispensabili, Robert e Dino. 

lunedì 20 agosto 2018

Corpo, fantasia, mondo aperto: storia del camminare

Esplorare il mondo è uno dei modi migliori per indagare la mente, e il cammino percorre entrambi i terreni.

Lo ho inseguito per anni questo libro che molti citavano, senza riuscire a recuperarlo nemmeno in qualche bancarella dell'usato. Però non ho perso tempo quando il Ponte alle Grazie, pochi mesi fa, ne ha proposto una nuova edizione. E non mi ha deluso Storia del camminare di Rebecca Solnit - come a volte succede per ciò che più si è fatto attendere. E' un libro che consiglio, un libro che mi terrò vicino. 

Ambizioso fin dal titolo, ma senza la pesantezza del saggio che intende proporsi come esaustivo e conclusivo. Denso, a volte di lettura non semplice, eppure capace di destare quella curiosità che accomuna il letttore al camminatore.

Tra le sue pagine vien da perdersi, non diversamente dal flâneur di Charles Baudelaire nelle vie della sua Parigi. E sotto i ragionamenti, oltre i ragionamenti, si avverte un intero mondo che si apre, con la sua vita e il suo mistero. Per saperne di più non c'è altro che uscire di casa e mettersi in cammino.

Dai passi nei giardini cinti da mura ai passi nelle campagne finalmente sicure, dalla scoperta del paesaggio alle scalate delle montagne. E ancora, il camminare in città, in solitudine e in compagnia, per diletto e per protesta, di giorno e di notte. E il modo con cui questa azione, che pare così naturale, si è incrociata con la lotta di classe, con le diseguaglianze di genere, con le battaglie per i diritti civili. E i poeti, gli artisti, gli alpinisti.

Quante cose dentro questo libro. Quante cose dentro i cammini: un modo, certo non il peggiore, per raccontare la nostra storia, per immaginare il nostro futuro. 

Camminare - sottolinea la Solnit alla fine della sua fatica - è una delle costellazioni del cielo stellato della cultura umana, una costellazione formata da tre stelle: il corpo, la fantasia e il mondo aperto.

E le costellazioni non sono linee disegnate nel cielo: siamo noi a tracciarle con i nostri occhi.  Finchè avremo sentieri, finchè avremo buone gambe e voglia di guardare. 

martedì 24 luglio 2018

In cammino dietro i venti selvaggi

Ma da dove vengono i venti, e dove vanno? E si può davvero dire che "vanno" nello stesso senso in cui chi cammina va da qualche parte, o una strada da un posto all'altro? E se così è, che fine fanno una volta che ci sono arrivati?



Nick Hunt non si limita a porsi domande del genere, che già non sarebbe poco.  A un certo punto si rende conto che i venti riesce persino a vederli. E quindi seguirli con i suoi passi. L'attrazione per i venti, che per i casi della vita si porta da quando era un bambino, riesce a farsi viaggio.

E' così che Nick Hunt, firma del Guardian e dell'Economist, entra a pieno titolo nel nutrito gruppo degli scrittori di cammino inglesi, gruppo che come è noto si distingue per le tentazioni della curiosità e l'originalità delle scelte. Ora c'è anche lui, insieme ai Patrick Leigh Fermor e ai Robert Macfarlane: e suo è uno dei migliori libri di viaggio che mi sia capitato tra le mani negli utili tempi.

Dove soffiano i venti selvaggi (edizioni Neri Pozza) racconta i cammini per i luoghi dove nascono e imperversano la Bora, il Mistral e le altre forze che sono realtà tenace e insieme leggenda nella storia di tanti popoli. Chi parla non è un meteorologo ma un viaggiatore, che poche cose si lascia sfuggire di ciò che i venti producono: nella conformazione dei paesaggi, nelle architetture delle case, persino nei caratteri della gente.

Sembra quasi un gioco, modellato sulla rosa dei venti e sulla geografia dei monti e delle valli. Roba in fondo per cultori della maniera. Invece no: e non solo perché c'è grande scrittura. Le parole come sempre sono rivelatrici. Basta giocarci appena: lo spirare del vento e il respirare di chi vive, per non dire dello spirito che è concetto che richiama il sacro. Oppure il vento dei latini, l'anemos: da cui discende l'anima ma anche l'animale. 

Vento che richiama la vita, vento che è addirittura vita. E inseguirlo, ci spiega Nick Hunt, non è roba da Don Chischiotte lanciato contro i mulini.  Forse c'è vento che spira anche dentro di noi. 

domenica 27 maggio 2018

Quattro montagne per una vita intera

Quella pausa, quella crostata e quella sigaretta, la valle tutta di fronte a noi e il Dolada alle spalle, ne sono certo anche ora, rappresentarono per entrambi, nel nostro intimo, un punto alto di felicità.

Quante cose ci possono essere in cima a una montagna, quante cose che rimanendo in basso non si riusciranno mai a cogliere. Non basta nemmeno contemplarla da giù la montagna, perché reclama il ritmo del passo, il respiro affannato, la parola che si dirada. Allora sì che può diventare ponte con noi stessi, farsi scoperta, meraviglia, riconciliazione. A volte, incredibile, persino brivido di felicità.

Se non ci credete, tuffatevi nelle pagine de Il punto alto della felicità, ultimo libro di Mauro Daltin (Ediciclo editore), autore friulano di cui negli anni scorsi ho già avuto modo di leggere Officina Bolivar, ritrovandomi a meraviglia nelle sue pagine di ottimo scrittore di viaggio.

Tuffatevi, perché in un periodo in cui la montagna pare andare di moda e suggerire diverse buone letture, questo non è il solito libro di montagna. Non un saggio o un'esperienza più o meno autobiografica, ma un romanzo, un romanzo vero, un romanzo che riassume una vita attraverso quattro montagne e quattro spartiacque nelle vicende di un uomo, Pietro, colto nelle diverse età.

Vicende che stanno più che dentro che fuori, a partire dalla prima ascesa, con Pietro  bambino che, in compagnia dello zio, comincia a cogliere il significato della morte e dell'amore. Che è come varcare quella linea invisibile che separa l'infanzia dall'adolescenza. Ragazzo, adulto, vecchio: una vita legata alla montagna. Scandita dalla montagna, fino all'ultimo.

E quante cose Daltin riesce a mettere dentro questo libro, non senza un debito dichiarato a autori come Dino Buzzati, il grande bellunese, oppure al Paolo Cognetti de Le otto montagne.

Storie da cui si vorrebbe discendessero altri romanzi, quali quelle del battaglione fantasma della Grande Guerra oppure dell'alpinista che per tutta la vita ha cercato un fiore che non esisteva.

Il sentimento del tempo e la fragilità dei nostri affetti e delle nostre certezze. Anche per questo la montagna ci è necessaria, per come ci offre quel poco di stabilità che ci ha dato. Fino a farsi legame tenace, promessa che forse riusciremo a mantenere: come spero faccia Mauro con il borgo di Givigiana, quasi un paese fantasma, oppure no, una speranza di nuova vita nella nostra montagna.





martedì 19 settembre 2017

Camminando con i romantici di Inghilterra

Poi dicono che è una moda e come tale passeggera. Beh, nel caso lo fosse sarebbe finalmente una moda che mi piace e mi preoccuperei solo se fosse davvero passeggera.

Parlo dei cammini: e in effetti è qualche tempo che giornali, libri, blog e quant'altro si sono gettati con soddisfazione sull'argomento. In tanti ci provano, anche persone che non direste mai. E più in genere sono diminuiti sorrisetti, occhiate di compatimento, manifestazioni di stupore nei confronti di chi si mette in cammino: diciamo che tutto sommato siamo sulla cresta dell'onda.

Moda passeggera? Beh, meglio rassicurarsi con un libro come La via del sentiero, uscito qualche tempo fa per le Edizioni dei Cammini, a cura di Wu Ming 2. Un'antologia per camminatori, ma anche un'antologia di camminatori, anzi, di scrittori camminatori.

E' la riproposta di un'opera uscita molto tempo fa in Inghilterra e che mette insieme diversi autori inglesi: non dei nostri tempi, ma dell'Ottocento. Ovvero del secolo in cui, almeno da quelle parti, camminare divenne attività che non era solo del mendicante, del pastore o tutt'al più del pellegrino. Quando anche i poeti e i pittori cominciarono a mettersi per strada.

Vi troverete scritti illuiminanti e grandi autori alle prese con le scoperte che il cammino ti concede. Forse con qualche atteggiamento snob, allo stesso modo degli aristocratici che per primi scoprirono il rugby e non si tirarono indietro di fronte al fango.

Tante scoperte sono anche per il lettore, tra queste pagine. Per esempio Robert Louis Stevenson, che prima di incantarci con l'Isola del tesoro e gli altri grandissimi romanzi compie un viaggio a  piedi in compagnia di un asino, attraverso le Cévennes, in Francia: ed è il primo a descriverci un sacco a pelo. Oppure Thomas de Quincey, che tutti conoscono per le sue Confessioni da oppiomame, attività che non pare molto compatibile con quella del camminatore: e che pure lo fu, grandissimo. Fu lui, tra l'altro, a lasciarci la pirma descrizione di una tenda da escursionista.

Quante cose in queste pagine: l'ottimismo di uomini che si mettono in cammino, il romanticismo che si alimenterà dei monti e dei laghi di Inghilterra, una sorprendente sensazione di libertà che è già premessa dell'on the road dei poeti beat.... e certo anche un discreto individualismo, l'idea della fuga che - come nota Wu Ming 2 nella sua introduzione - per ora ha la meglio sull'idea di responsabilità per il territorio che si attraversa.... ma appunto questto è solo l'inizio e se non è moda ci sarà tempo per aggiustare tutto...

mercoledì 23 agosto 2017

Tre libri per mettersi in cammino

Avevano altro e più lungo cammino da percorrere, ma non importa, la strada è vita....

Così diceva Jack Kerouac e così la penso anch'io, così come tutti coloro che nel cammino vedono assai di più di una meta da raggiungere o di un'esperienza atletica. Non è trekking il cammino che intendo io, piuttosto mè una declinazione della lentezza. E' strada, sì, ma non strada da misurare in chilometri, piuttosto in capacità di incontro e ascolto.

Sono convinto che ci sia una corrispondenza profonda, intima, tra i cammini e le narrazioni, tra i passi e le parole. Ogni tanto ne cerco conferma anche in libri esplicitamente dedicati al tema. Come i tre che vi suggerisco nelle righe seguenti, letture di queste settimane.

Come sopravvivere al Cammino di Santiago (Ediciclo) è un libro agile ma denso, in cui emergono tutte le qualità dell'autore, Fabrizio Ardito, che avevo già avuto modo di apprezzare per un bel libro sul Monte Athos. Il Cammino di Santiago, si sa, è notevolmente inflazionato e allo stesso modo non si contano i libri che di esso parlano. Però di questa realtà Ardito prende atto, senza nascondere niente. E per il resto ci sono il suo amore per questo grande pellegrinaggio, la sua esperienza, il suo buon senso e la sua ironia - che non guasta davvero. Splendide le playlist conclusive, con molte canzoni che condivido senza esitazione: e questo dice qualcosa sui dati anagrafici di entrambi.

La Via Francigena di Montagna (Edizioni dei Cammini) porta la firma di una persona amica, Oreste Verrini, che cammina per curiosità, per ascoltare storie e qualche volta scriverle. E' anche un uomo straordinariamente appassionato della sua terra, estremo lembo di Toscana incuneata tra Liguria ed Emilia. Con questo libro ci porta lungo una Francigena che è un'altra Francigena - e si sa che la Francigena non è mai stata un'unica via, ma piuttosto un fascio di percorsi e alternative - in un viaggio di dieci giorni tra Lunigiana e Garfagnana. Castelli, borghi, panorami mozzafiato e la voglia di tentarlo prima o poi, questo cammino, magari abbinandovi anche la sua ideale prosecuzione, la Via degli Abati.

Lo spirito dei piedi. Piccoli passi alla ricerca della verità ci porta su un'altra dimensione, nella quale i piedi diventano un modo umile e tenace di dare un senso alla nostra vita in questo mondo. Non a caso a scriverlo è Andrea Bellavite, un teologo che più volte si è messo in cammino e che ora ci dice: Ecco dunque chi è il camminatore. E' una persona che fa della propria vita - nel suo insieme ne in brevi periodi - un simbolo di ciò che è l'esistenza di tutti. Sperimenta la condizione particolare di chi lascia alle proprie spalle un rifugio per proiettarsi, in modo più o meno evidente, in un'avventura che comparta anche il rischio e comunque la necessità di adattarsi alle diverse circostanza. Inutile aggiungere che si tratta di un'altra perla di una delle più belle collane dedicate al viaggio, la
Piccola filosofia di viaggio di Ediciclo.





venerdì 27 maggio 2016

Wild, come ritrovarsi nel cammino più difficile

Me ne stavo andando. La California scorreva dietro di me come un lungo velo di seta. Non mi sentivo più una sprovveduta. E nemmeno un'amazzone cazzutissima. Mi sentivo fiera e umile e pacificata interiormente, come se anch'io fossi al sicuro lì.

Cheryl ha solo 26 anni e la sua vita è già entrata in un tunnel del quale non si scorge l'uscita. La morte della madre, divorata da una malattia, l'ha spinta sul ciglio del precipizio. Ha sfasciato un matrimonio, sta giocando pericolosamente con le droghe. Vai a sapere com'è che a un certo punto intravede un'altra strada. Una strada che è davvero una strada: lunga, difficile, solitaria. Eppure proprio su quella strada potrà ritrovare se stessa e recuperare un senso.

Così un giorno parte, per l'esperienza meno prevedibile della sua vita che è disordine all'ennesima potenza. Percorrerà a piedi l'intero Pacific Crest Trail, il sentiero che taglia da nord a sud gli Stati Uniti, dal Messico al Canada, attraversando deserti e scalando cime innevate. Tutt'altra cosa rispetto alla nostra via Francigena, per intendersi: vera wilderness, dove gli incontri che devi mettere in conto sono con serpenti a sonagli, orsi e uomini meno raccomandabili dei serpenti e degli orsi.

Fa pena vederla partire con quello zaino più grande di lei, dove ha stipato tutto alla rinfusa, a partire dalle cose più inutili e pesanti. Una sprovveduta, appunto: senza esperienza, senza fiato, il corpo fiaccato dagli eccessi.

Eppure parte, va avanti, non si arrende. Eppure va avanti e arriva in fondo.

Da leggere, di Cheryl Strayed (Piemme): una storia di tenacia, fuga, rinascita
Wild

lunedì 23 maggio 2016

Inseguendo le esili tracce di Maestro Utrecht

Perché non c'è persona che non sappia cavarsela nella vita quando conosce le razze dei cani, la direzione del vento, le ore dei bus, una canzone come si deve e i numeri fino a cento...

Maestro Utrecht lo chiamano così perché un suo antenato pare che abbia partecipato alle trattative per la pace di Utrecht, ma in realtà non si sa bene chi sia. Conosce gli alberi, disegna gli uccelli, si muove a piedi di paese in paese. Con le sue mani sa fare un sacco di lavoretti, però la cosa che gli riesce meglio è parlare con i bambini, che lo stanno ad ascoltare incantati. In ogni caso è difficile capire chi sia davvero.

Invece l'autore, o comunque chi parla in prima persona, si trova a Utrecht per un suo lavoro di ricerca. E' lì che si imbatte nella storia di un povero italiano il cui corpo, ridotto a un mucchietto di ossa, viene ritrovato sotto il ponte di un'autostrada. Al suo funerale le uniche parole sono quelle di un poeta volontario in un'associazione che accompagna nell'ultimo saluto le persone sole.

Chi è davvero quell'uomo? Cosa c'è stato nella sua vita? E che cosa ne rimane?

Forse la storia del maestro che parlava ai bambini comincia a prendere forma proprio sotto quel ponte. E diventa ricerca e ricordo, insegue le tracce di un cammino di vita, si affatica dietro le domande. La curiosità si mescola alla pietà, si fa dovere del cuore...

E' un romanzo di grande dolcezza, di intensità senza effetti speciali, Maestro Utrecht di Davide Longo (NN editore). Libro giusto - leggo sulla quarta - per chi conserva biglietti di cinema, teatro e concerti in un cassetto, per chi ama viaggiare a piedi e fermarsi nelle piazze ad ascoltare le voci in sottofondo... 

Pensare che l'ho comprato solo per quell'Utrecht nel titolo (l'Olanda, lo sapete, è una mia debolezza). E invece ho scoperto un piccolo grande libro sulle esili tracce che lascia ogni vita e sul bisogno di restituire una storia o almeno un nome.

Ricordatevelo ogni volta che per strada incontrerete un barbone, uno svitato, uno che comunque con voi sembra non averci proprio niente a che fare.

lunedì 16 maggio 2016

Tutta la Francigena nelle parole di Andrea Vismara

Ne accarezzi l'idea per tanto tempo, poi un giorno parti sul serio. E quello che era un sogno, una promessa, un obiettivo da tirare fuori dal cassetto e da spolverare di tanto in tanto, ecco, diventa davvero strada, diventa polvere e sudore, diventa un passo dietro l'altro. Diventa viaggio della vita, esperienza che ti cambia, o piuttosto ti riporta a ciò che sei davvero.

E' quanto fa Andrea Vismara per 913 chilometri e 39 tappe, dalla Val di Susa a Roma. E' quanto poi racconta in un bel libro, La mia Francigena (Edizioni del Cammino), che sa essere molte cose insieme: diario di viaggio - tutto è cominciato con i testi di un blog - e narrazione distesa, guida e riflessione sul cammino. Anzi, sul Cammino, con la meritata maiuscola. Senza enfasi, però, perché Andrea non si prende mai troppo sul serio, c'è sempre un sorriso a dare la giusta misura delle cose, a cancellare ogni eccesso. A smitizzare, anche, tanto la Francigena basta a se stessa.

Però quante cose che ci sono: borghi antichi e paesaggi da incanto, risaie padane e colline toscane, animali totemici e strani tipi che poi sono quelli che abbondano sempre tra il popolo dei camminatori. Sorprese esaltanti e certo anche qualche delusione, è ovvio.

Tante cose, dentro il silenzio, dentro la rarefazione dei giorni in cammino. Tante ma al posto giusto, ben sistemate tra il momento in cui si parte e il momento dell'ultimo passo. Quando si depone lo zaino, ci si guarda intorno, si ripensa a casa. E comincia un'altra vita.

lunedì 2 maggio 2016

Da Canterbury a Roma, il cammino della vita

Metti che una volta parti davvero, zaino in spalla e gambe che non aspettano altro che di macinare la strada. Metti che davanti hai qualcosa come 1.600 chilometri e l'idea che questo possa essere davvero il viaggio della vita, perché non è che il viaggio della vita debba per forza implicare un altro continente, una meta esotica. Metti che il modo per regolare diverse cose con te stesso sia quello di inseguire le tracce di viandanti e pellegrini di secoli fa, ombre di un cammino che solo negli ultimi anni è ritornato in voga.... e si parla ovviamente della Via Francigena, ma non di un pezzo della via Francigena, proprio di tutta la via Francigena, da Canterbury a Roma.

E' quanto ha fatto, qualche tempo fa, Enrico Brizzi, insieme a Marcello Fini, al fotografo Valerio Gnesini, e di volta in volta qualche altro compagno di tappa. I diari che sono frutto di questa esperienza, pubblicati da Ediciclo, sono una bella lettura: insieme guida e suggestione, riflessione e proposta.

Comincia con una strada che non domanda altro che essere percorsa. Tre mesi e 33 città dopo rimane l'emozione di una viaggio strano e fertile: stipato come fu d'incontri con sant'uomini e personaggi bislacchi, viaggiatori autentici e semplici turisti, e arricchito dagli ultimi richiami del sacro e del selvaggio nel cuore dell'Europa occidentale.

Poi uno sistema questo libro sullo scaffale ed è già via con l'immaginazione: quale sarà il mio cammino, il mio viaggio della vita?

mercoledì 16 marzo 2016

Luigi Nacci, poeta e scrittore della "viandanza"

Avevi il passo della nostalgia, vero?

E' così, Luigi Nacci, poeta e scrittore che da tempo si è messo in cammino. Non sai bene se la sua scrittura è quella del saggista o del poeta, però la sua è parola che fa bene leggere a voce alta e ascoltare, è parola che prende e culla, oppure che libera e spinge per le vie del mondo, parola in ogni caso che sa farsi anche agguato, sorpresa, fulminazione.

Per me è  successo anche con questa riga, nella prima pagina di Viandanza, libro con cui Luigi è uscito proprio in questi giorni per Laterza e con il quale prosegue la strada di vita e di scrittura cominciata con Alzati e cammina (Ediciclo).

Ho cominciato con il passo della nostalgia, ma quante cose mi sono capitate dopo.  Ecco - scrive Luigi - questo libro tratterà di quei sentimenti, quelle immagini, quei rumori di fondo che si fanno prevalenti durante il cammino.

Via Francigena o Cammino di Santiago non importa, perché la via è soprattutto dentro. E anche se è un libro che odora di sudore e fatica, che si porta dietro il ricordo di boschi attraversati e di cime raggiunte, che sembra farsi conversazione con un compagno di viaggio, ecco, mi pare un libro che racconta soprattutto il cammino della vita interiore. Basta scorrere i titoli dei capitoli: Paura, Stupore, Spaesamento, Nostalgia, Disillusione, Allegria, Arroganza, Umiltà...

E questa parola che è la parola di Luigi, questa parola - Viandanza - che è salutare tenere dentro, ecco, mi sembra esprima saggezza e leggerezza, ma soprattutto un altro modo caricarsi sulle spalle lo zaino della vita e di stare al mondo.

Un libro sulle partenze, così avevo definito a suo tempo Alzati e cammina.  E se questo fosse il libro dei ritorni?  

giovedì 11 febbraio 2016

In cammino per i monasteri di Italia

Ci sono ancora, sono un'altra geografia dell'Italia. Ci sono e non tutti appartengono solo al passato. Nel tempo magari sono profondamente cambiati, si sono aperti al mondo, sono diventati più raggiungibili, hanno aperto foresterie e punti vendita: ma in ogni caso esistono e rappresentano una straordinaria mappa della spiritualità, della storia e dell'arte. Sono i monasteri che disseminano la nostra penisola: luoghi della preghiera, della contemplazione, dell'ascolto.

E' un bel viaggio, carico di emozioni, quello in cui ci accompagna Lucetta Scaraffia in Andare per monasteri (Il Mulino), tra realtà millenarie ma anche esperienze recenti, di sorprendente vitalità. Un viaggio di grande suggestione per chiunque, ma soprattutto per chi nel viaggio intende cogliere anche l'occasione di guardarsi dentro, di liberarsi dell'inessenziale, di ridare ordine alla propria vita.

Un vagabondaggio tra i luoghi della fede che non è esclusiva di chi la fede la possiede: basta predisporsi a un ritmo diverso del tempo - sacro e non profano, verrebbe da dire; basta voler coltivare quel silenzio che da sempre è la porta per accedere a ciò che più è autentico; basta mettersi in cammino, come gli antichi pellegrini per cui i monasteri erano rifugio, ospizio, salvezza.

Basta questo, per provare un sentimento che sa perfino di nostalgia.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...