Non sono mai stato in Argentina, ma se un giorno riuscirò ad andarci sono convinto che la confonderò facilmente con il sogno dell'Argentina che mi accompagna da molti anni. Un'Argentina quasi esclusivamente letteraria, anche se non manca certo una buona colonna sonora. Le pagine di Jorge Luis Borges, ma anche quelle del mio amico
Tito Barbini. Le storie di Magellano e degli ultimi indios. I racconti sul calcio e dintorni del grandissimo Osvaldo Soriano, che sapeva trasformare le parole di calcio in poesia, cosa del resto che faceva anche Maradona in campo. Qualche pennallata di Corto Maltese e poi anche le sottili inquietudini metafisiche di Julio Cortàzar. E così via.
Non avevo messo a fuoco - colpa mia - l'Argentina dei nostri emigranti. L'Argentina che per diversi anni è stata un'altra "Lamerica", forse migliore dell'altra, quella che accoglieva, si fa per dire, a
Ellis Island. Storie comunque di fatica, sudore, emarginazione, non solo di speranza.
Ci ho pensato l'altro giorno, leggendo il libro di Erri De Luca
Il giorno prima della felicità. Ci sono alcuni passi bellissimi su questa Argentina, fissati attraverso il racconto di uno dei personaggi, Don Gaetano: vent'anni di Sudamerica di cui riesce a rammentare quasi esclusivamente il viaggio, l'oceano.
I viaggi sono quelli per mare con le navi, non coi treni. L'orizzonte dev'essere vuoto e deve staccare il cielo dall'acqua. Ci dev'essere niente intorno e sopra deve pesare l'immenso, allora è viaggio. Qualcuno piangeva, pure nella miseria, che lo costringeva, gli rimordeva la perdita. Tranne pochi e peggiori, nessuno aveva spirito di avventura. I soldi del biglietto erano stati raccolti dai risparmi di varie famiglie. Erano il loro investimento nel futuro. Sarebbero stati rimborsati dalla riuscita del loro parente. Il compito schiacciante, l'obbligo di fare fortuna, sgomentava come la vastità del mare. A chi piangeva, dicevo che così allungava l'oceano con altra acqua salata. Il viaggio doveva servire a dimenticare il punto di partenza. Durava quasi un mese e alla fine sbarcavano uomini pronti, con il naso per aria
Poi l'Argentina è il passato che viene tagliato, una nuova vita che non si sa, ma che sarà comunque diversa:
In Argentina ho dimenticato. Ogni cosa nuova che imparavo ne cancellava una della vita di prima
Un'opportunità, comunque, sul tavolo verde della vita. Fa bene ricordarsi tutto questo oggi.
Ci sono ferite aperte che tali rimangono, perchè il tempo non ha il potere di guarirle, magari solo di nasconderle. Ci sono cicatrici che misurano non quello che è stato, ma quello che non è potuto succedere, e quasi sempre sono le peggiori.
E' un gioiello, Tu non c'eri (edizioni Libreria Dante & Descartes) di Erri De Luca, una quarantina di pagine, una mezz'oretta per leggerlo, molto di più per metabolizzarlo. Uno di quei gioielli di cui si fa fatica a sostenere lo sguardo, per la storia che custodiscano.
Verrebbe da definirla una storia sul rapporto tra un padre e un figlio. Ma in realtà è una storia sull'assenza. Da una parte il padre che rincorrendo il sogno di cambiare il mondo (Noi non è stato un pronome personale, ma il più forte pronome politico), ha commesso tutti gli errori che poteva commettere, se ne è fatto carico e ha concluso la sua vita dalla "parte degli ammutoliti". Dall'altro un figlio che ancora non sa darsi ragione di quel crescere senza padre, di quella cornice vuota.
Però c'è quella scalata sulla cima di un monte, benché apparentemente fuori tempo massimo. C'è l'aria fresca, pura, che forse può essere davvero una medicina. C'è il silenzio, c'è quella vista che forse può ridare un senso a tutto...
Bello. E bello anche che libri così possano essere proposti da piccole case editrici e che stia ancora a noi scovarli o farseli portare in dono...