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mercoledì 14 gennaio 2015

Lo schiavo e il suo padrone nell'Istanbul dei sultani

Come se la mia vita, sfuggita al mio controllo, in mano sua si trascinasse altrove, e io non potessi porvi altro rimedio che quello di seguire da lontano le mie vicende, come in sogno.

Siamo nel Seicento, età di eserciti in movimento, corsari in mare, filosofi, mistici, poeti a caccia di risposte sulle domande ultime della nostra vita. Un gentiluomo italiano viene fatto prigioniero dai turchi e ridotto in schiavitù. Servirà un astrologo di Istanbul, figura importante alla corte del sultano, ambiente in cui è facile ottenere grandi onori un giorno e finire impalato l'indomani.

Si assomigliano come due gocce d'acqua, lo schiavo e il suo padrone, però in ballo non c'è solo la somiglianza fisica. Come fratelli gemelli le loro vite si sovrappongono e si confondono. Si guardano con sospetto, ma intanto condividono e scambiano i loro ricordi. E alla fine chi sarà chi?

E' questa la storia che Orhan Pamuk narra ne Il castello bianco (Einaudi), romanzo breve ma denso, romanzo che propone ancora una volta il tema del doppio, per sospingerlo verso latitudini meno battute. Certo, qui dentro cè tutta la fragilità delle nostre identità, che mentre si aggrappano ai nomi sembrano fatte della stessa consistenza dei sogni (e a proposito del Seicento, riferimento d'obbligo per La vita è sogno di Pedro Calderón de La Barca).

Però qui c'è anche altro: il gentiluomo e l'astrologo, lo schiavo e il padrone, sono anche una metafora dell'Occidente e dell'Oriente, della loro relazione complessa e mai risolta, ma anche fertile. Cosa saremmo, senza di essa?

domenica 15 settembre 2013

Colpito nel suo amor proprio, permette che Dublino accorra in suo aiuto.

Ricorda lo strano e stupefacente sogno che aveva fatto due anni prima in ospedale quando si era ammalato gravemente: una lunga passeggiata per le vie della capitale irlandese, città nella quale non è mai stato, ma che nel sogno conosceva perfettamente, come se avesse vissuto lì un'altra vita.

La cosa più stupefacente era la straordinaria precisione dei molteplici particolari.

Erano particolari della Dublino reale, o semplicemente sembravano veri a causa dell'intensità ineguagliabile del sogno?

Quando si era svegliato, aveva continuato a non sapere nulla di Dublino, ma aveva la strana certezza assoluta di essere stato a lungo a passeggio per le strade di quella città e gli risultava impossibile dimenticare l'unico momento difficile del sogno, quello in cui la realtà diventava strana e commovente: l'istante in cui sua moglie scopriva che aveva ricominciato a bere, lì in un bar di Dublino.

(Enrique Villa-Matas, Dublinesque, Feltrinelli)

sabato 20 aprile 2013

Per esempio, dopo aver fatto un sogno?

L'orologio della torre del municipio scoccò le sette e mezzo. D'altronde non importava che ora fosse; il tempo gli era completamente indifferente.

 Non provava interesse per nulla e per nessuno. Sentì una leggera compassione per se stesso. Molto fuggevolmente, non proprio come un proposito, gli venne l'idea di recarsi a una qualsiasi stazione, partire, non importava per dove, sparire per tutti coloro che lo avevano conosciuto, ricomparire in qualche luogo all'estero e incominciare una nuova vita, sotto spoglie diverse.

Si ricordò di certi strani casi clinici che conosceva dai libri di psichiatria, delle cosiddette doppie esistenze: un uomo spariva improvvisamente dalla vita normale, veniva dato per disperso, ritornava dopo pochi mesi o dopo anni, senza ricordare dove era stato tutto quel tempo, finché in seguito qualcuno con cui s'era incontrato da qualche parte in un paese lontano lo riconosceva, ma lui non aveva più memoria di nulla. E in forma più lieve a più d'uno doveva capitare la stessa cosa.

Per esempio dopo aver fatto un sogno? Certo, ci si ricordava… Ma sicuramente c'erano anche dei sogni che si dimenticavano del tutto, dei quali non restava più traccia, tranne un certo strano stato d'animo, uno stordimento misterioso. Oppure si ricordavano solo più tardi, molto più tardi, e non si sapeva più se si era fatta un'esperienza reale o soltanto sognato. Soltanto… soltanto…!

(Arhtur Schnitzler, Doppio sogno, Adelphi)

domenica 11 novembre 2012

Barche contro corrente, come il grande Gatsby


E mentre meditavo sull'antico mondo sconosciuto, pensai allo stupore di Gatsby la prima volta che individuò la luce verde all'estremità del modo di Daisy.

Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter sfuggire più. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in questa vasta oscurità dietro la città, dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte.

Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C'è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia... e una bella mattina...

Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.

(Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby, Mondadori)

giovedì 25 ottobre 2012

Venezia che è il baccalà, Venezia che è un sogno

Potrei raccontare come Venezia rubi ai suoi abitanti ogni giorno un poco di anima mentre è accarezzata con lo sguardo. Sonnecchia ma sta in agguato e io che ho mille domande e mille risposte diverse, cerco di farla mia.

Si può davvero dire qualcosa di nuovo e di diverso su Venezia, la città senza uguali, la città che milioni e milioni di turisti visitano ogni anno rubandole un pizzico di anima in cambio di qualche conto salato? Si può davvero lasciarci alle spalle ciò che è noto, che è visto e stravisto, ciò che è calca, confusione, ritmo incalzante di guide, scatti fotografici, acquisti di souvenir, per cogliere qualcosa che non sia un'inquadratura da cartolina?

Se c'era una possibilità Claudio Nobbio è riuscita a coglierla con Sopra l'acqua e sugli alberi, ultima in ordine di apparizione delle Non guide pubblicate dall'editore fiorentino Mauro Pagliai. E davvero, non si tratta di una guida, nemmeno di una guida insolita, a dispetto del sottotitolo di questo prezioso ed elegante libriccino.

Piuttosto una collezione di emozioni e camminate errabonde. E squarci di silenzio, sguardi curiosi. La meraviglia in una calle dove risuonano solo i propri passi. La quieta laguna della memoria dalla quale affiorano altri passi che si sono consumati a Venezia. E nomi, nomi che risuonano dentro: Anton Cechov, Igor Strawinski, Thomas Mann, soprattutto Thomas Mann, che splendidamente ci introdusse al legame indissolubile tra la città sull'acqua e la morte.

Quante cose che è Venezia, nelle pagine di Bobbio.

O Dio - scriveva Ezra Pound, che a Venezia è sepolto - quale grande bontà abbiamo compiuta e scordata da donare a noi questa meraviglia, o Dio delle acque, o Dio della notte quale grande dolore ci attende da compensarci così innanzi tempo?

E Venezia che è un piatto di baccalà mantecato, che è una distesa di scaglie d'argento disegnate da un Pierrot lunare, che è un museo sull'acqua, o forse no, perchè è la città che muore e che rinasce, la città che per questo forse è solo un sogno...

mercoledì 19 settembre 2012

Un manoscritto per capire che la vita è sogno

Il sogno è una seconda vita, aveva detto qualcuno e lei, che non aveva mai sognato, cominciò a credere che probabilmente era per quello che aveva polverizzato tutte le illusioni. Chi, a ben guardare, dà agli uomini la certezza che quanto esiste o accade non sia soltanto un sogno e che la realtà visibile non sia solo apparenza?

Quante cose che ci sono dentro l'ultimo libro di Dianora Tinti, Storia di un manoscritto (Mauro Pagliai editore) Personaggi che ti accompagnano anche dopo che si è riposto il libro sullo scaffale, con vibrazioni di sentimenti che è più difficile mettere via; una storia che spinge a girare una pagina dietro l'altra per capire come andrà a finire - anche questo è il piacere della lettura - e vi dico solo che non andrà a finire come ci si potrebbe attendere che andrà a finire; e anche la bellezza dei luoghi, questa Maremma che sa ancora essere antica e capace di circondare di un'alone di magia i piaceri che regala.

Quante cose, ma soprattutto, per quanto mi riguarda, il senso del tempo che passa ma che non è detto cancelli tutto, delle parole che sanno strappare brandelli di ricordo, della tenacia di sentimenti che allagano la vita quotidiana, delle persone che spariscono ma che in qualche modo ci sono sempre, fosse pure per l'insostenibile combinazione di un manoscritto, sì proprio un manoscritto, apparentemente quanto di più inattuale ci sia oggi, all'epoca degli Ipad....

Un libro su ciò che rimane, con ostinazione, malgrado tutto. Anche se poi ciò che rimane, ciò che tra noi è sempre presente, sfugge a ogni definizione, impalpabile come una lettura, appunto, o come un sogno.

La vita è sogno, come l'opera di Pedro Calderón de La Barca. E leggendo Storia di un manoscritto, è inevitabile, queste parole si conficcano ancora più a fondo.

martedì 30 agosto 2011

Se il pedone sogna di diventare regina



Gli era tornata in mente una domanda che si erano fatti una sera, per gioco, a Pietroburgo.

Cosa sogna un pedone?, gli aveva chiesto il russo, e allora era parsa a entrambi una questione divertente. 

Adesso, a tanti anni di distanza, la faccenda gli suonava più misteriosa, e ostile. E per poco, in questa camera arredata con umiltà, ebbe l'impressione di aver capito. 


Cambiare natura. Raggiungere l'ottava traversa. Non rassegnarsi all'infelicità del proprio stato. 


La chiave di tutto era nell'ansia di una metamorfosi, nel sogno dei pedoni di diventare regine. 


(da Fabio Stassi, La rivincita di Capablanca, Minimum Fax)

sabato 15 gennaio 2011

Sognando con la sognatrice di Ostenda

Non sarà un capolavoro, però racconti come questi ti restituiscono davvero il piacere della lettura.

Di Eric-Emmanuel Schmitt ho preferito altri libri - in particolare La parte dell'altro - però anche ne La sognatrice di Ostenda (che bello, il titolo di questo libro, pubblicato da E/O) ho ritrovato incanto e leggerezza, immaginazione e sentimenti senza effetti speciali.

A colpirmi, più ancora del racconto che dà il titolo alla raccolta, sono state soprattutto le pagine sul professore conquistato per la prima volta alla narrativa (e per di più alla narrativa di genere, quella che si legge divorando le pagine, con la voglia di sapere come andrà a finire, emozioni a briglia sciolta e senza sensi di colpa), eppure in tutti ho ritrovato la visione del mondo - o almeno della scrittura - di Schmitt.

Una visione dove la forza del sogno, dell'immaginare altro rispetto al qui e all'ora, trova molto spazio. E questo mi piace, e molto, come no.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...