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giovedì 18 aprile 2019

Le parole di Valerio, luce sull'Italia più buia

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Bomba ananas.
Ti piace l'unione di questi due termini. Ti dà la sensazione di tenere in mano qualcosa di vivo. O qualcosa che è stato vivo. Un ponte tra la vita e la morte. 

Persino una bomba può essere un ponte, ma quanti altri ponti ci sono in questo libro. 

Valerio Aiolli, per quanto mi riguarda, è una persona amica, che spesso incrocio nelle varie librerie, ma soprattutto è uno scrittore che seguo da molti anni. Riesce a farmi abitare i suoi libri fin dalle prime pagine: c'entro con naturalezza, prendo subito confidenza, avverto che in qualche modo la sua storia parla anche a me e di me.

E sì, è un libro di ponti Nero Ananas, uscito per Voland e autorevole candidatura allo Strega 2019. Per esempio tra la Storia che si compiace della esse maiuscola e le storie di chi la Storia la attraversa o ne è attraversato,  di volta in volta osservatore, comprimario, vittima; tra i grandi eventi - e i crimini - che hanno cambiato il nostro paese nella seconda metà del Novecento e ciò che è potuto succedere tra le mura di casa; tra il passato che ci ha segnato sottraendoci l'innocenza, se c'è mai stata, e un presente dove troppe domande senza risposta ancora ristagnano; tra i sogni di un adolescente e le dure lezioni di una realtà che non si piega ai desideri. 

Dentro ci sono quattro anni nella nostra storia, dal 1969 al 1973: una narrazione che prende le mosse dall'attimo dopo la strage che ci ha cambiato, Piazza Fontana, e che si conclude con un'altra bomba a seminare morte, alla questura di Milano. 

Pochi scrittori hanno saputo dominare questa storia, senza ridursi a scrivere romanzi-saggio o romanzi a tesi. Valerio ce l'ha fatta restituendoci qualcosa di vivo, che palpita capitolo dopo capitolo. Oltre gli intrecci tra pezzi dello Stato e trame nere, oltre i morti per strada e la strategia della tensione: perché qui dentro ci sono destini intrecciati, scelte e traiettorie individuali, valanghe di emozioni.

Perfino nello stragista la cui mano qualcuno ha armato c'è una profondità da scandagliare, un retrobottega su cui fare luce. Figurarsi se poi si tratta di raccontare una famiglia come tante. Magari con gli occhi di un ragazzino - pochi sono bravi come Valerio quando fa suo lo sguardo dell'adolescenza - che cresce in quegli anni. 

Come il sottoscritto. Anch'io, credo come Valerio, ero poco più di un bambino nell'estate delle Olimpiadi di Monaco. Trascorrevo le mattine studiando piazzamenti e classifiche sulla Gazzetta dello sport, per prepararmi all'indigestione di gare delle ore successive - persino l'hockey su prato, persino il tiro a segno - su una tv per la prima volta a colori. Le Olimpiadi mi evocavano il più bello dei mondi possibili. Poi arrivò il giorno del massacro e niente fu come prima per il mondo, così come era successo per l'Italia tre anni prima, a piazza Fontana.

Il bambino di Valerio, il bambino che ero io. A proposito di libri che parlano anche a me e di me.





venerdì 16 gennaio 2015

Il mistero di Alan Turing, padre del computer

Fra qualche giorno questa storia la vedrò anche al cinema, raccontata in The imitation game, ma intanto non è male arrivarci preparati, per cercare davvero di capire chi è stato davvero Alan Turing, il matematico inglese che ancora ci interroga, con le sue sfide scientifiche e i misteri della sua persona.

Alan Turing, cioè l'uomo che, negli anni della guerra contro Hitler,  riuscì a trovare la chiave per decodificare i messaggi generati da Enigma, la macchina che i nazisti ritenevano inviolabile: risultato di gran lunga superiore a una vittoria sul campo. Ma anche l'uomo che in molti indicano come il padre - uno dei padri - del computer. L'uomo che si è posto - e ci ha posto - domande che ancora danno le vertigini e che sanno di film di fantascienza, tipo: si può dire che una macchina calcolatrice automatica sia in grado di pensare?

Per saperne di più mi sono procurato L'enigma di un genio di Nigel Cawthorne (Newton Compton), rapida biografia che sa di libro fatto uscire in occasione del film, e che pure sa restituire, almeno in alcune pagine, il fascino del personaggio. Non solo lo scienziato, anche la persona: il ragazzo scontroso sui banchi di scuola, il giovane che correva quasi per punire il proprio corpo e che doveva arrivare fino alle Olimpiadi, l'omosessuale che la (sedicente) giustizia britannica condannò a una sconcertante castrazione chimica, l'uomo scomparso con morte prematura e misteriosa (suicidio? omicidio? incidente?), pare per una mela all'arsenico.

Non è un gran libro, ma c'è Alan Turing. In attesa del grande romanzo che merita.

martedì 21 agosto 2012

La quasi vittoria che rese grande Dorando

Quello è Dorando, il grande campione di maratona che quasi vinse alle Olimpiadi di Londra.

Le Olimpiadi di cui si parla non sono quelle che si sono appena chiuse, sono quelle del 1908. Più di un secolo è passato, insomma, e ancora la storia di Dorando non è stata dimenticata. Ancora quella quasi vittoria rimane viva più di qualsiasi altra vittoria nelle tante maratone che da allora si sono disputate.

Dorando Petri, cioé il garzone di bottega italiano che corre sempre. Corre quando consegna il pane, quando si riposa dal lavoro, quando sfida gli altri pionieri di uno sport per cui ancora non ci sono divise griffate e integratori alimentari. Corre fino ad arrivare alla gara olimpica, corre tra gli sguardi di sufficienza e il razzismo nemmeno velato di chi si intende di sport e non può prendere in considerazione quell'omino di una nazione disgraziata. Corre e quel giorno stacca tutti, tranne smarrirsi sul traguardo e farsi squalificare per la spinta di un giudice - qualcuno disse che si trattava di Conan Doyle, sì, proprio colui che ci ha regalato Sherlock Holmes.

In seguito quell'omino vinse molto, nella sua vita. Guadagnò anche molto, tranne poi perdere tutto. Ma per tutta la vita e anche dopo - più di un secolo dopo - sarà sempre quello della quasi vittoria.

E con Il sogno del maratoneta (Garzanti) Giuseppe Pederiali ci racconta questa storia. Storia buona anche per chi alla corsa è allergico, perfino alla televisione. Storia di un'impresa mancata e di un'epoca andata. Parabola di una vita tenace e stralunata, che rovesciò anche una certa idea degli italiani in giro per il mondo. Da leggere.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...