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lunedì 25 maggio 2020

Il cappotto di Marcel Proust e un libro bizzarro

Stringendo tra le dita quei lembi di stoffa lisa e logora, prova forse la stessa emozione che sente quando sfoglia le pagine di un volume raro o le carte sgualcite di un manoscritto creduto perduto. Qualcosa passa attraverso le dita e arriva fino a lui.

E' un libro, Il cappotto di Proust di Lorenza Foschini (Strade Blu, Mondadori), che poteva scrivere solo una persona che ama l'autore della Recherche di un amore quasi inspiegabile. Però è anche un libro che può leggere anche chi di Marcel Proust non ha letto mai una riga, magari rimanendo aggrappato solo al sentimento del tempo perduto, alla voglia di ridare un senso e un'emozione a ciò che è stato.

Molte cose ci sono in queste poche pagine. E forse a mancare è proprio lui, Marcel Proust, ombra, enigma, profondità che non si lascia sondare, uomo che è diventato il suo capolavoro. 

Piuttosto c'è il cappotto da cui non si separava mai, nemmeno nei giorni più caldi dell'estate, nemmeno sul letto dove ha scritto gran parte delle sue pagine. C'è un raffinato bibliofilo, Jacques Guérin, industriale dei profumi che sapeva impiegare la sua memoria olfattiva anche per i libri,  capace di annusare ciò che vale davvero come un cane da tartufo. C'è il rapporto complicato con un grande artista. C'è la battaglia tra ciò che spinge a cancellare, rimuovere, dimenticare - fosse anche una cognata pronta a bruciare le carte rimaste - e tra ciò che spinge a conservare e collezionare (il collezionismo non è forse un tentativo di resistere al tempo?).

Ci sono queste cose, in questo libro bizzarro (il bello è sempre bizzarro, affermava Charles Baudelaire), che partendo da un dettaglio ci dice su un'epoca e su un artista più di tanti ponderosi saggi.

lunedì 20 agosto 2018

Corpo, fantasia, mondo aperto: storia del camminare

Esplorare il mondo è uno dei modi migliori per indagare la mente, e il cammino percorre entrambi i terreni.

Lo ho inseguito per anni questo libro che molti citavano, senza riuscire a recuperarlo nemmeno in qualche bancarella dell'usato. Però non ho perso tempo quando il Ponte alle Grazie, pochi mesi fa, ne ha proposto una nuova edizione. E non mi ha deluso Storia del camminare di Rebecca Solnit - come a volte succede per ciò che più si è fatto attendere. E' un libro che consiglio, un libro che mi terrò vicino. 

Ambizioso fin dal titolo, ma senza la pesantezza del saggio che intende proporsi come esaustivo e conclusivo. Denso, a volte di lettura non semplice, eppure capace di destare quella curiosità che accomuna il letttore al camminatore.

Tra le sue pagine vien da perdersi, non diversamente dal flâneur di Charles Baudelaire nelle vie della sua Parigi. E sotto i ragionamenti, oltre i ragionamenti, si avverte un intero mondo che si apre, con la sua vita e il suo mistero. Per saperne di più non c'è altro che uscire di casa e mettersi in cammino.

Dai passi nei giardini cinti da mura ai passi nelle campagne finalmente sicure, dalla scoperta del paesaggio alle scalate delle montagne. E ancora, il camminare in città, in solitudine e in compagnia, per diletto e per protesta, di giorno e di notte. E il modo con cui questa azione, che pare così naturale, si è incrociata con la lotta di classe, con le diseguaglianze di genere, con le battaglie per i diritti civili. E i poeti, gli artisti, gli alpinisti.

Quante cose dentro questo libro. Quante cose dentro i cammini: un modo, certo non il peggiore, per raccontare la nostra storia, per immaginare il nostro futuro. 

Camminare - sottolinea la Solnit alla fine della sua fatica - è una delle costellazioni del cielo stellato della cultura umana, una costellazione formata da tre stelle: il corpo, la fantasia e il mondo aperto.

E le costellazioni non sono linee disegnate nel cielo: siamo noi a tracciarle con i nostri occhi.  Finchè avremo sentieri, finchè avremo buone gambe e voglia di guardare. 

venerdì 4 dicembre 2015

Marcel Proust, che storia il suo cappotto

Stringendo tra le dita quei lembi di stoffa lisa e logora, prova forse la stessa emozione che sente quando sfoglia le pagine di un volume raro o le carte sgualcite di un manoscritto creduto perduto. Qualcosa passa attraverso le dita e arriva fino a lui

E' un libro, Il cappotto di Proust di Lorenza Foschini, che poteva scrivere solo una persona che ama l'autore della Recherche di un amore quasi inspiegabile. Però è anche un libro che davvero può leggere anche chi di Marcel Proust non ha letto mai una riga, magari rimanendo aggrappato solo al sentimento del tempo perduto, alla voglia di ridare un senso e un'emozione a ciò che è stato.

Molte cose ci sono in queste poche pagine. E forse a mancare è proprio lui, Marcel Proust, ombra, enigma, profondità che non si lascia sondare, uomo che è diventato il suo capolavoro. Piuttosto c'è il cappotto da cui non si separava mai, nemmeno nei giorni più caldi dell'estate, nemmeno sul letto dove ha scritto gran parte delle sue pagine. C'è un raffinato bibliofilo, Jacques Guérin, industriale dei profumi che sapeva impiegare la sua memoria olfattiva anche per i libri,  capace di annusare ciò che vale davvero come un cane da tartufo. C'è il rapporto complicato con un grande artista. C'è la battaglia tra ciò che spinge a cancellare, rimuovere, dimenticare - fosse anche una cognata pronta a bruciare le carte rimaste - e tra ciò che spinge a conservare e collezionare (il collezionismo non è forse un tentativo di resistere al tempo che si perde?).

Ci sono queste cose, in questo libro bizzarro (il bello è sempre bizzarro, affermava Charles Baudelaire), che partendo da un dettaglio ci dice su un'epoca e su un artista più di tanti ponderosi saggi

lunedì 20 luglio 2015

Nell'enigma di Charles Baudelaire

Qualunque sia il luogo, qualunque sia la condizione, c'è sempre un "altro" luogo, c'è sempre un'"altra" condizione che si sono perduti per sempre. Nessuna infelicità può misurarsi con questa, che è la pura constatazione di un'assenza.

Ecco, sono parole come queste che forse colgono il cuore stesso di ciò che è stato Charles Baudelaire.  Un uomo che è un sogno, un enigma, una tentazione. Una possibilità di riscatto della bellezza e un destino segnato.

Non so se ne ho capito di più, dopo aver letto La Folie Baudelaire di Roberto Calasso (Adelphi): libro impervio, ostico, affascinante. Libro che mille volte vorresti mollare e altrettante volte ti entra dentro con la sciabolata di un'emozione.

C'è dentro un sogno raccontato da Baudelaire. C'è la vita di un uomo che fu impavido sostenitore del diritto irrinunciabile di contraddirsi, che si teneva stretta l'arte per non arrendersi alla verità, che si rivolgeva alla madre come a un amante e che dedicava le sue poesie a una puttana da cinque franchi, che aborriva coloro che intendevano spiegare....

E ci sono molti quadri. C'è una città come Parigi che non è solo una capitale. C'è un tempo, che è la modernità, e che ci interroga su cosa sia il nostro, di tempo..... C'è troppo, forse. 

mercoledì 8 luglio 2015

I maestri francesi consigliano gli aspiranti scrittori

Avete la stoffa di tre poeti, ma prima di sfondare avrete avuto sei volte il tempo di morire di fame, se per vivere contate sui prodotti della vostra poesia.

In questo modo, con un ammonimento che suona ancora tristemente attuale (sempre che oggi sia davvero concepibile la possibilità di "sfondare" con la poesia), Honorè de Balzac si rivolgeva a un aspirante scrittore. Ed è con questa pagina che comincia Troppe puttane! Troppo canottaggio!, curioso e intrigante libretto proposto da Minimun Fax e curato da Filippo D'Angelo, che raccoglie una serie di "consigli ai giovani scrittori dai maestri della letteratura francese".

E dunque, innanzitutto il titolo: che è il consiglio, piuttosto ruvido, che il grande Flaubert rivolgeva allo scapestrato Guy De Maupassant, troppo incline a disperdere le sue energie in vari esercizi fisici.

E poi c'è solo da tuffarsi in questa antologia di grandi, con pagine non tutte uguali e non tutte capaci di parlarci ancora. Però anche straordinariamente ricche. Dotatevi di quadernetto e penna: e fate incetta di citazioni.

Charles Baudelaire: Sfido gli invidiosi a citarmi dei buoni versi che abbiano rovinato un editore.

Guy de Maupassant: Il talento è una lunga pazienza.

Andrè Gide: Scrivi il meno possibile, scrivi soltanto ciò che è indispensabile.

E molti, molti altri ancora. 

venerdì 14 giugno 2013

Ma i veri viaggiatori partono per partire


Ma i veri viaggiatori partono per partire
e basta; cuori lievi, simili a palloncini
che solo il caso muove eternamente,
dicono sempre "Andiamo", e non sanno perché.

I loro desideri somigliano alle nubi;
e come il coscritto sogna il cannone, loro
sognano vaste, ignote, cangianti voluttà
di cui nessuno al mondo ha mai saputo il nome!

(Charles Baudelaire, Il viaggio)

lunedì 21 maggio 2012

Se gli odori dominano il cuore degli uomini

Colui che domina gli odori domina il cuore degli uomini.

È questa citazione, la prima cosa che mi ha riportato a galla, dopo essermi tuffato dentro le pagine di questo singolare, spiazzante, affascinante libro di Stefania Valbonesi. Una citazione, come il bordo di una vasca a cui aggrapparsi per riprendere fiato, per raccogliere i pensieri.

Parole che ho incontrato diverso tempo fa, leggendo Il Profumo di Patrick Süskind e che oggi mi viene da piegare diversamente, riflettendo su come gli odori non si lascino imbrigliare, gli odori semplicemente ci sono e condizionano le nostre vite.

Sono emozioni, gli odori. Sono onde che si agitano dentro, sono ricordi che affiorano, sono impronte che segnano le nostre relazioni.

Sono importanti gli odori, ma la letteratura poche volte ha voluto, o saputo misurarsi con essi. Come se fossero stati lasciati in deposito ai grandi  investigatori delle memorie individuali e domestiche, Marcel Proust su tutti, oppure ai poeti come Charles Baudelaire, perché si sa, i poeti sanno che è attraverso i sensi, perfino attraverso l'olfatto, che si può arrivare alle cose infinite.

Stefania Valbonesi l'odore lo mette al centro di un vero romanzo, lo usa come un'arma, un alibi, un movente. Intorno all'odore si dipana una trama dove non mancano il delitto e l'inchiesta.

Non perché oggi sia necessario, magari per catturare i lettori. Questo non è un giallo, almeno non lo è secondo le convenzioni del genere. Non lo è, anche se la terra dove si dipana questa storia non mi sembra molto lontana dalla Sicilia di Sciascia e Camilleri. Anche se le atmosfere sono quelle di certi polizieschi metafisici che in altri anni ci sono arrivati dal Sudamerica, alla Borges per intendersi.

Però se l'odore ha a che vedere con ciò che di noi è meno consapevole, e magari più animalesco, perché no, richiama anche la legge della giungla, se legge c'è. Si fiuta il pericolo, si traccia il territorio, si dipanano attrazioni e repulsioni. Ci si eccita all'odore del sangue.

E se forse può essere letto con un giallo, c'è molto di più, in questo libro. In un piacere della lettura – questa è la prima cosa – che non lascia pause.

Per questo quando sono tornato a galla, mi sono fermato. Ho raccolto le mie emozioni. E naturalmente, ho respirato a fondo.

(dalla mia prefazione a Lo strano caso del Barone Gravina di Stefania Valbonesi, Romano editore)












martedì 25 ottobre 2011

Seneca e l'uomo che si rovista dentro

Avrà anche ragione chi va dicendo che gli antichi romani non hanno avuto grandi filosofi, che la filosofia dei latini è stata tutta presa in prestito dai greci, però mi sa che bisogna intenderci proprio sulla parola filosofia.

Sarà pure vero, se si pensa alla filosofia come pensiero sistematico, chiave per decifrare i significati ultimi della vita e del mondo, ragionamento sulle idee. Però penso che la filosofia siasoprattutto quella sapienza, meglio ancora, quella saggezza, che deve funzionare come una bussola nella vita di tutti i giorni. E allora, allora leggete pagine come quelle raccolte in La serenità (Mondadori).

Leggete il grande Seneca, che con le sue parole sbuca dagli anni di Nerone e pure sembra scrivere oggi.

Leggete cosa risponde all'amico Sereno - un nome che è quasi un programma - che in realtà è più turbato che sofferente ("non sono propriamente malato, ma non sto nemmeno bene"), in preda a qualcosa di molto simile allo spleen di Charles Baudelaire. Si rivolgono all'uomo contemporaneo, le parole di Seneca. All'uomo che rovista dentro se stesso e non si piace.

Ci invita, Seneca, a decidere cosa conta davvero, a fare un passo indietro se necessario, a conquistare una libertà che pianta le sue radici dentro di noi.

Poi anche lui, con la sua vita, ci riuscì e non ci riuscì: come succede anche a noi, che ogni momento ci ripromettiamo qualcosa che difficilmente saremo in grado di mantenere, solo che ci proviamo di nuovo.

Seneca come noi, lo stesso tempo, le stesse domande.

lunedì 17 ottobre 2011

Come si fa a salvarsi la vita con Hegel

Voi che dite, come si fa a salvarsi la vita con Hegel? Come si fa non dico a cogliere nei rigori della sua filosofia un orizzonte, una possibilità, un'alternativa che abbia a che vedere con i nostri giorni, non dico questo, ma solo a trovare tra le sue pagine un porto sicuro, l'ombra di un sollievo?

Non mi verrebbe mai in mente. Hegel sono le interrogazioni da evitare al liceo. Gli sbadigli per prepararsi a quelle stesse interrogazioni. L'idealismo tedesco da rifuggire come la peste, tanto sono elevate e distanti quelle idee, idee tanto idee che assomigliano alle pareti dell'Himalaya.

Eppure sentite che ha raccontato uno come Aldo Nove, scrittore che voglio conoscere di più, vita che ha conosciuto altre vite - immagino sciagurate - prima di quella dello scrittore affermato:

Allora l'eroina sembrava una forma di vita alternativa a differenza della cocaina che aiuta a integrarti, a lavorare. C'era anche la musica a farmi compagnia: i Joy Division, The Cure, Lou Reed e David Bowie. Ascoltavo e mi immergevo nei Paradisi artificiali di Charles Baudelaire, nelle Confessioni di un mangiatore d'oppio di Thomas de Quincey, mi gustavo  Timothy Francis Leary, il guru delle droghe psichedeliche, e Aldous Huxley, gran sostenitore degli allucinogeni e "padre spirituale" del movimento hippie. Però ero anche innamorato della filosofia di Hegel, delle sue bellissime pagine sulla natura. E proprio questo interesse mi portò fuori dalla tossicodipendenza

Non so voi, ma queste parole mi hanno gettato una nuova luce su Hegel. Ora sto scrutando i suoi ritratti con una certa curiosità. Con una certa gratitudine, anche. Come se le sue pagine fossero una delle migliori dimostrazioni  - se anche con Hegel ci si riesce... - che i libri, davvero, i libri possono cambiarci la vita, mica scherzi...

giovedì 30 giugno 2011

Dedicato a tutti coloro che si mettono in viaggio

Tempo di estate, tempo di vacanze, ma anche di viaggi. Mi piace pensare che chiunque parta possa caricarsi sulle spalle questi versi di Charles Baudelaire (Il viaggio, nella traduzione di Giovanni Raboni), come un bagaglio indispensabile per le giornate che lo attendono.


Ma i veri viaggiatori partono per partire
e basta; cuori lievi, simili a palloncini
che solo il caso muove eternamente,
dicono sempre "Andiamo", e non sanno perché.

I loro desideri somigliano alle nubi;
e come il coscritto sogna il cannone, loro
sognano vaste, ignote, cangianti voluttà
di cui nessuno al mondo ha mai saputo il nome!

venerdì 24 giugno 2011

Ritrovando il marciapiede dei ricordi

No, è mia la sera. Mia.
Né dei fantasmi, né degli stupratori.
Non appartiene ai ladri.
Non è amica dell'omicida.
Per quanto il baro
possa farle gli occhi dolci,

gli negherà perfino una carezza.

Giorno di festa, oggi nella mia Firenze, giorno indolente che anticipa certe domeniche di agosto in città, caldo appiccicoso, poco o niente da fare, emozioni anestetizzate su un divano. Per fortuna può capitare di estrarre il libro giusto dal mucchio di tutto ciò che da tempo aspetta di essere letto. Una manciata di pagine in cui non cerco una trama o una storia. Cinquantadue poesie che mi restituiscono al sangue e alla vita. Che mi riportano alla notte, in quella notte che non mi fa paura, perché là c'incontro, c'è cammino, c'è possibilià, anche nel dolore.

Diciamolo, è anche per questo che non mi piacciono gli ebook. Perché senza la cara vecchia carta, senza questa pila di libri, non mi sarebbe capitato sotto gli occhi questo titolo, Dal marciapiede dei ricordi. Non sarei scivolato dalla copertina all'interno per trovare subito questa citazione di Charles Baudelaire che richiama i ricordi del marciapiede: Ho più ricordi che se avessi mille anni. E così non avrei avvertito qualcosa dentro come un brivido di dolorosa bellezza.

Max Condreas, questo è il nome del poeta.  E' pubblicato dalla Perrone Lab nella collana La Luna e Gli Specchi diretta da Sandra Cervone. E c'è tutto, il cammino su questo marciapiede, con la notte squarciata dalla luce dei fanali, con i cocci di bottiglia a fare male e qualche stella lontana. Spleen da Ottocento francese e colonna sonora bebop da poeti della Beat generation. Pennellate di tristezza metropolitana e un sentimento che sa rinnovarsi.

Così mi sono risvegliato, sul divano della mia festa. E ho ritrovato il mio tempo.

Insieme alla pioggia,
in questo affilato pomeriggio,
sul marciapiede dei ricordi
danza tutta la mia vita

martedì 17 maggio 2011

Charles Baudelaire e la bellezza come congettura

Se scriveva, forse era solo perché il tempo si può mettere fuori gioco, o almeno dimenticare, solo usandolo. Scrivere è sempre stato un buon modo di ammazzare il tempo.

Charles Baudelaire, ancora lui. E ancora tre pagine di Silvia Ronchey da Il guscio della tartaruga per restituirmelo in tutto il suo mistero, con lo splendore di un'arte che fu splendido equivoco, perché l'arte può allievare, ma non salvare.

Scrive Silvia Ronchey:

Charles Baudelaire fu un traduttore, ma per poco, un viaggiatore, ma per poco, un giornalista, ma per poco, un rivoluzionario, ma per pochissimo. Fu più a lungo un bevitore e un fumatore di hashish. Fu sempre un poeta.

Scrive Silvia Ronchey:

La sua anima era una tomba che, come un cattivo monaco, percorreva e abitava da un'eternità

Scrive Silvia Ronchey:

Secondo Baudelaire la bellezza è qualcosa di ardente e triste, qualcosa di un po' vago, che lascia adito alla congettura

E quanta bellezza nella sua poesia. Quanta possibilità di congettura, intorno a un uomo e al suo segreto.

lunedì 2 maggio 2011

Per la vita dei grandi bastano tre paginette

Ci sono Voltaire e Zenone, Baudelaire e Teresa d'Avila, Freud e Pitagora, Balzac e Ildegarda de Bingen, ci sono loro e ci sono tanti altri personaggi, tante altre figure che hanno lasciato il loro segno. Scrittori e mistici, poeti e sapienti, sovversivi dello spirito e sognatori. Che galleria, quella che percorriamo con Silvia Ronchey ne Il guscio della tartaruga, magari scoprendo che per raccontare la loro vita, per spremerne il succo, non c'è bisogno di volumi ponderosi, possono bastare anche tre paginette di parole distillate.

Che cosa hanno in comune? Che cosa raccontano davvero le loro vite?

Forse il genio, la forza della creatività, la fame di profondità.

Forse. Ma in comune c'è soprattutto lo sguardo di una storicache non si accontenta di mettere insieme nomi e date (date, anzi, non ce ne sono proprio), ma che cerca lampi di umanità, frammenti di vita autentica.

Questo non è un dizionario di uomini (e donne) illustri.

Piuttosto una trama di citazioni, profonde, illuminanti, spiazzanti, essenziali per il tessuto del nostro passato, del nostro presente.

lunedì 11 aprile 2011

L'africano che al mistero diede del tu



E Agostino, il grande Agostino, il filosofo, il teologo, il maestro dello spirito, il vescovo di Ippona.


Agostino era africano. E già questo qualcosa lo dice. Comincia così il suo ritratto di Agostino la storica e scrittrice Silvia Ronchey, nel suo straordinario Il guscio della tartaruga (Nottetempo), galleria di vite più che vere ricostruite attraverso la trama delle loro citazioni.

Bello, davvero bello: uno sguardo sbilenco e curioso, la capacità di cogliere il corpo vivo, pulsante, sotto il guscio della tartaruga, appunto.

E Agostino, allora. Agostino che ebbe un'anima turbata e una prosa incantata. Che da ragazzo si imbestialì in amori diversi e tenebrosi. Che divenne un grande enigma a se stesso e prese a domandare alla sua anima perché fosse così triste.

Agostino che capì che la tristezza si consuma perché perde ciò che desidera nel momento in cui lo possiede. E che il piacere, dunque, non potrà mai scindersi dal suo contrario, il dispiacere, come due lati della stessa medaglia.

E forse fu proprio per questo che Agostino divenne Agostino, colui che oggi conosciamo o diciamo di conoscere.

Al mistero Agostino diede del tu

Lo cita Silvia Ronchey, che io cito, nello stesso libro in cui ci racconta di Charles Baudelaire.

giovedì 23 dicembre 2010

Nuvole e città, il libro di viaggi del poeta maledetto

E dunque, ancora i Piccoli poemi in prosa di Charles Baudelaire.

In queste pagine troverete davvero tutto il poeta maledetto, e non importa che questa non sia poesia, sia prosa, prosa poetica. E potrete misurare l'abisso della sua esistenza, la sua incapacità di vivere, di accettare, di legarsi. L'uomo è ciò che gli manca, dirà di lui Georges Bataille: e qui ne capirete la ragione.

Mi era sfuggito che questo, a suo modo, è anche un libro di viaggi. Un libro con una sua geografia, perfino dichiarata da Baudelaire, quando parla del suo sogno di creare una prosa poetica:

Quest'ideale ossessivo nasce anzitutto dalla frequentazione delle città enormi, dall'incrociarsi dei loro innumerevoli rapporti

Un libro sull'impossibilità di cambiare la vita, forse sulla fatica del cambiamento. Un libro che scruta orizzonti necessari, desiderati, auspicati per cui quasi certamente non si partirà mai, anche se quello che conta è andare fuor del mondo, non importa dove.

A me sembra che starei sempre bene là dove non sono

Libro che respira l'aria della grande città. Libro, allo stesso tempo, che salva solo le nuvole.

- Eh via, che ami dunque, straordinario straniero?
- Amo le nuvole.... le nuvole che passano... laggiù... laggiù... le nuvole meravigliose!

Le città e le nuvole. Ciò che è più solido e ciò che è più impalbabile. Ciò che rimane e ciò che se ne va.

sabato 18 dicembre 2010

Aldo Nove e la vita salvata da Hegel

Voi dite, come si fa a salvarsi la vita con Hegel? Come si fa non dico a cogliere nei rigori della sua filosofia un orizzonte, una possibilità, un'alternativa che abbia a che vedere con i nostri giorni, non dico questo, ma solo a trovare tra le sue pagine un porto sicuro, l'ombra di un sollievo?

Non mi verrebbe mai in mente. Hegel sono le interrogazioni da evitare al liceo. Gli sbadigli per prepararsi a quelle stesse interrogazioni. L'idealismo tedesco da rifuggire come la peste, tanto sono elevate e distanti quelle idee, idee tanto idee che assomigliano alle pareti dell'Himalaya.

Eppure sentiti che racconta a Tuttolibri uno come Aldo Nove, scrittore che voglio conoscere di più, vita che ha conosciuto altre vite - immagino sciagurate - prima di quella dello scrittore affermato:

Allora l'eroina sembrava una forma di vita alternativa a differenza della cocaina che aiuta a integrarti, a lavorare. C'era anche la musica a farmi compagnia: i Joy Division, The Cure, Lou Reed e David Bowie. Ascoltavo e mi immergevo nei Paradisi artificiali di Charles Baudelaire, nelle Confessioni di un mangiatore d'oppio di Thomas de Quincey, mi gustavo  Timothy Francis Leary, il guru delle droghe psichedeliche, e Aldous Huxley, gran sostenitore degli allucinogeni e "padre spirituale" del movimento hippie. Però ero anche innamorato della filosofia di Hegel, delle sue bellissime pagine sulla natura. E proprio questo interesse mi portò fuori dalla tossicodipendenza

Non so voi, ma queste parole mi hanno gettato una nuova luce su Hegel. Ora sto scrutando i suoi ritratti con una certa curiosità. Con una certa gratitudine, anche. Come se le sue pagine fossero una delle migliori dimostrazioni  - se anche con Hegel ci si riesce... - che i libri, davvero, i libri possono cambiarci la vita, mica scherzi...

mercoledì 15 dicembre 2010

Baudelaire e la poesia senza poesia

Mio caro amico, vi mando un'operetta di cui non si potrebbe dire, senza ingiustizia, che ha né capo né coda, giacché, all'opposto, tutto in essa è capo e coda a un tempo, in modo alterno e scambievole

Così Charles Baudelaire scriveva a Arsène Houssaye, direttore editoriale de La Presse, il giornale che avrebbe pubblicato i suoi Piccoli poemi in prosa.

Un giorno, si sa, sarebbe diventato il grande poeta de I fiori del male, i cui versi non mancano nemmeno nelle antologie scolatische. Però furono proprio questi "poemi in prosa" la sua sfida più grande, la rivoluzione della parola che avvertiva come l'opera della vita.

La ragione è già in questa stessa lettera, in una domanda che poi ci accompagna pagina dopo pagina:

Chi di noi non ha sognato, nei suoi giorni d'ambizione, il miracolo di una prosa poetica, musicale senza ritmo e senza rima, duttile e irregolare, abbastanza da adattarsi ai moti lirici dell'anima, alle fluttuazioni della fantasia, ai sussulti della coscienza?

Baudelaire a questo sogno dà sostanza con la forza delle parole. E leggendolo si intuisce davvero qualcosa del miracolo della poesia. Come se certi misteri potessero svelarsi, almeno in parte, solo grazie all'assenza.


La poesia senza la poesia. La poesia dove non c'è poesia. Bellissima.

venerdì 3 dicembre 2010

Rileggendo "Anywhere out of the world"

Questa vita è un ospedale dove ogni ammalato è posseduto dal desiderio di mutar di letto. Questi vorrebbe soffrire di fronte alla stufa, e quegli crede che guarirebbe accanto alla finestra.
A me sembra che stare sempre bene là dove non sono, e questo problema dello sgombero è uno di quelli che discuto senza requie con l'anima mia

Di tanto in tanto mi imbatto ancora in queste parole, con cui Charles Baudelaire attacca l'ultimo dei suoi Piccoli poemi in prosa. Mi imbatto in esse e, a distanza di tanto tempo dalla prima volta, non me le lascio scorrere alle spalle, non le accantono con l'indifferenza che forse potrei anche meritarmi.

Perchè non si tratta solo degli anni che sono passati. Tante cose sono successe nel frattempo. E in qualche modo hanno fatto sì che mi guardi indietro e classifichi certi sentimenti come intemperanze o malesseri da ventenne. Soprattutto questo romantico bisogno di altrove, sempre e comunque, questo altrove che non ha niente a che vedere con la voglia di scoprire, conoscere, diventare che è proprio del viaggio. Che piuttosto richiama un'umanissima incapacità di accettarsi.

Oggi, più di prima, sento che il viaggio non è fuggire da me stesso, ma scoprire me stesso - e anche questo sarà un parlare banale, però vero. Sento questo, eppure le parole del poeta francese mi scuotono ancora. Ancora sono dita che si stringono sul cuore:

Alla fine, l'anima mia sbotta e saggiamente mi grida: "Non importa dove! non importa dove! purché sia fuori di questo mondo!"

domenica 21 novembre 2010

Lo straniero di Baudelaire, uomo delle nuvole

Domenica mattina, mi risveglio e l'occhio corre verso i Piccoli poemi in prosa di Charles Baudelaire, regalo che mi faccio, per cominciare bene questo giorno di festa. E che bellezza, cominciare con le parole de Lo straniero, l'uomo enigmatico che non si sa da dove arriva e a chi appartenga, se a qualcosa appartiene. L'uomo che in ogni caso sembra stare al di là di un confine invisibile, però ama ciò che più di tutto può permettersi di ignorare i confini: le nuvole.

- Uomo misterioso, dì': chi ami di più? Tuo padre, tua madre, tua sorella, o tuo fratello?
- Non ho né padre né madrené sorella né fratello.
- I tuoi amici?
- Usate un termine il cui senso m'è rimasto fin ad oggi sconosciuto.
- La tua patria?
- Ignoro sotto qual latitudine sia.
- La bellezza?
- Dea e immortale, l'amerei volentieri.
- L'oro?
- Lo odio come voi odiate Dio.
- Eh via, che ami dunque, straordinario straniero?
- Amo le nuvole.... le nuvole che passano... laggiù... laggiù... le nuvole meravigliose!

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...