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sabato 6 giugno 2020

I mirtilli di Thoreau per capire il mio mondo

Perché la Natura fa ogni giorno del suo meglio per farci stare bene. Esiste per questo. Non cercate di resisterle. 

Forse il succo - intendo di questo straordinario libretto, non dei mirtilli del titolo - è tutto qui: e si capisce subito che è un succo salutare, che è bene tenere sempre a portata di mano. Provare per credere. E se non sapete quanto sia bello andare a raccogliere i frutti di boschi, intanto sperimentate queste pagine. 

Da anni torno a Henry David Thoreau, in lui cerco consiglio e ispirazione, comunque un occhio diverso e migliore per considerare la mia vita di città, la velocità e gli ingorghi dei miei giorni, gli eccessi e le presunzioni della società cui appartengo. Tante volte ho provato a immaginarmi suo compagno di cammino, nell'immensità di un bosco o sulle sponde di un lago. Però un'opera come questa - Mirtilli o l'importanza delle piccole cose (Lindau editore) - non l'avevo ancora scovata. Ancora più sorprendente, perché da essa non è che mi aspettassi molto. 

Invece in questa ottantina di pagine o poco più Thoreau è riuscito a spiazzarmi, non con le sue idee, ma con il suo modo di consegnarmele. Partendo da ciò che è piccolo - apparentemente trascurabile - per poi spalancarmi una straordinaria visione del mondo che è anche il mio - diciamo discretamente peggiorato in diverse delle tendenze che Thoreau già individua e denuncia. 

All'inizio anche questo libretto sembra trascurabile: una dissertazione sui mirtilli che negli Stati Uniti crescono ovunque, con tanto di osservazioni sulle varie specie. Come parlare di funghi a una società micologica. Ma poi lo scenario muta nel giro di poco, Thoreau è l'atleta che all'inizio risparmia le forze per allungare alla prima distrazione altrui. 

Ecco, comincia: e già acquista un altro passo quando parla dell'amore per i mirtilli dei popoli indiani, di come li usano per alimentarsi, di come sono entrati nel loro immaginario - pare che alcuni di loro pensino a un paradiso pieno di questi frutti - e anche di come spesso siano stati sorpresi e massacrati dai civilizzatori  proprio mentre li raccoglievano. 

E già qui, ce ne sarebbero di considerazioni da fare. Ma poi non si ferma più, Thoreau. E pizzicando in qua e là, ecco i ragionamenti sui nomi che si danno alle specie in natura; sugli interessi economici cui vorremmo assoggettare ciò che la natura ci offre spontaneamente - che cosa accadrà del vero valore della vita rurale quando sarete costretti ad andare a comprare al mercato?; sul dilagare della proprietà privata che si prende i boschi che dovrebbero essere di tutti; sulla gioia e la libertà dell'andare a mirtilli che stiamo per perdere, perdendo il controllo del nostro tempo; sull'importanza di garantire nelle nostre città spazi naturali aperti a un uso pubblico, soprattutto se dentro di esse c'è una collina oppure un fiume - perché un fiume non serve soltanto per galleggiarci sopra; sull'importanza di incoraggiare una diversa divisione del lavoro, non tra uomo e uomo, ma nel tempo di ognuno di noi, da dividere tra la biblioteca e il campo di mirtilli; e ancora, sulla necessità di vivere le stagioni, anzi, di assecondarle.  

Lasciatevi portare dal vento - dice il grande di Concord - rinverdite a primavera, fatevi gialli e maturi in autunno. Dissetatevi dell'influsso di ogni stagione.....

E io sottolineo, annoto, non ho voglia di mettere via questo libro. Lo tengo a vista, sicuro che ogni tanto potrò raccogliervi qualcosa, come spero di poter fare in un campo di mirtilli. Piccole cose che fanno la differenza. 

giovedì 21 maggio 2020

Lo sciamano delle Alpi tra nostalgia e possibilità

Quell'oggetto è un acchiappasogni. Serve a tenere lontani gli incubi. A impedire che i pensieri cattivi si impadroniscano della nostra mente. Ma è anche il simbolo di un mestiere. Gli stregoni, gli uomini di medicina, gli sciamani, lo mettevano davanti alla tenda perchè si sapesse che lì ci si poteva curare.

Ormai sono anni che faccio mie le storie di Michele Marziani, un romanzo dopo l'altro. L'ho scoperto con Umberto Dei. Biografia non autorizzata di una bicicletta, che mi ha portato dalle parti di una ciclofficina sui Navigli e di scelte di vita importanti. L'ho ritrovato con La signora del cavale, sorprendente racconto di una comunità di pescatori di storioni non sul Volga ma sul Po. Me lo sono tenuto stretto con Nel nome di Marco, ascesa e caduta del Pirata, ferita che non si rimargina. L'ho inseguito nella Figlia del partigiano O'Connor, vicende familiari che si intrecciano con le tragedie del Novecento, la Guerra di Spagna, Irlanda e Ventotene. 

Paesaggi, umori, situazioni con cui ho preso confidenza.

La sua ultima storia - Lo Sciamano delle Alpi, proposto da Bottega Errante - l'ho terminata oggi, col dispiacere di non avere più pagine da girare e la curiosità per cosa potrà ancora riservarci Michele nel futuro. 

Dentro ci sono tre fratelli che non il destino ma varie presunzioni e seduzioni hanno separato. Nella loro esistenza non pare abbiano posto se non per la smania di conquista: si tratti di una carriera, un conto in banca o un amante è un particolare secondario. Poi c'è un quarto fratello che scompare, ma che è necessario ritrovare per portare in fondo una spericolata operazione finanziaria. E c'è un mondo che si schiude in questa ricerca che porta su in montagna, lontano dalla città, ma lontano anche dal presente, verso un'altra possibilità.

Non è solo un bel romanzo, mi sembra anche un libro che ricapitola tutto ciò che finora Michele ha scritto, come se avesse voluto giocare con se stesso, con la sua scrittura, col suo mondo interiore. 

Il sentimento della fuga, l'idea di giocarsi un altro giro di carte nella partita della vita, l'arte della solitudine che è argomento su cui certo ha molto da dire. Il senso del tempo e dei cambiamenti che produce. La nostalgia - sia essa per la civiltà alpina liquidata a cuor leggero o per i sogni dell'infanzia -  che si fa dono e orizzonte per qualcosa che potrà ancora succedere.  

E dettagli, indizi, richiami che affiorano da queste pagine, come messaggi in bottiglia. Un volume di Thoreau, la pesca alla trota, le letture adolescenziali di Salgari, le vecchie carte geografiche, i pellerossa e ancora l'Irlanda.... Come si conviene a un grande affabulatore, a un uomo che raccontando storie ha acchiappato il suo sogno.







 

 

martedì 2 ottobre 2018

Incontrare la Natura come si fa con una vecchia amica

La Natura insegna più di quanto predichi.

Ecco, sono frasi così, che balzano incontro dalla pagina come luci nella notte, a rendere prezioso questo piccolo libro: Il vangelo della natura di John Burroughs. Titolo e autore che presumibilmente vi diranno assai poco. Al sottoscritto nulla, fino a pochi giorni fa. E per questa scoperta bisogna rendere merito alla casa editrice La vita felice e a Luca Castelletti, che con passione e competenza ha tradotto e curato questo testo per il lettore italiano.

John Burroughs è uno degli svariati americani che, nell'Ottocento delle metropoli, delle industrie, delle ferrovie, si sono come messi a lato, cercando altre possibilità nella wilderness del continente. Mi vengono in mente gente come John Muir o come George Perkins Marsh - su quest'ultimo tra l'altro a breve uscirò io con un libro - oppure, su tutti, l'immenso Henry David Thoreau. Gente che ha seminato i primi dubbi sulla bontà del progresso, che ha invocato un'altra vita e che almeno in parte quella vita è risucita anche a farla. 

E tra loro, appunto, John Burroughs, uomo che non si è mai scordato la giovinezza trascorsa nella fattoria di famiglia sui Monti Catskill, benchè il suo destino sia stato di lavgorare in banca. Amico di Walt Whitman, è stato punto di riferimento per altri grandi americani come Thomas Edison. E così scrisse il presidente Theodore Roosevelt, in una lettera a lui indirizzata:

 Ogni amante della vita all'aria aperta dovrebbe provare un senso di affettuoso debito nei tuoi confronti.... Per tutti noi è un bene che tu abbia vissuto.

In queste pagine c'è il senso della sua lezione di vita. A dispetto della sua noncuranza per le sorti umane, ci spiega Burroughs, nella natura possiamo ritrovarci, ritemprarci, ricominciare. Immergerci in essa è come seguire la parola di un vangelo che non ha bisogno di dogmi e liturgie, ma solo di  semplicità, umiltà, gratitudine.

Dà forza e sollievo, la natura. Diventa più sano e appagato l'uomo che erra per campi e boschi. Basta non avvicinarsi con il fare dello studioso, binocolo e taccuino alla mano, che voglia sviscerarne i segreti. Piuttosto bisogna desiderare di incontrarla come si fa con una vecchia amica. 

Abbiamo camminato insieme o ci siamo seduti l'uno accanto all'altra e la nostra intimità accresce con lo scorrere delle stagioni.


Così dice John Burroughs e e vorre poter affermare lo stesso di me.

sabato 7 luglio 2018

Fare lo zaino, ovvero l'arte di ciò che è necessario

Dico L'arte di fare lo zaino e mi vengono in mente altri titoli di libri che mi hanno lasciato un segno indelebile dentro. Libri come Lo zen e il tiro con l'arco. Oppure Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Solo per dire che a volte per coltivare pensieri larghi, per cambiare qualcosa nelle priorità della vita, bisogna concentrarsi su qualcosa che suona come modesto e marginale. 

Così è per L'arte di fare lo zaino di Andrea Mattei, ennesimo gioiello proposto da Ediciclo. Non lasciatevi ingannare, non è un manuale, non è una pubblicazione tecnica: anche se poi lo zaino c'è,
c'è davvero, è come se mentre si legge ci si stesse preparando alla partenza. Però quante cose che vengono fuori riflettendo sullo zaino che ci porteremo in viaggio. 

Dovremo scegliere. Dovremo portarci ciò che è davvero utile e lasciare ciò che ci sarà superfluo. E una volta deciso, dovremo sistemare tutto in modo che spazio e peso assecondino il nostro passo. Che dire, non è una potente metafora della vita? Intendo della vita quale dovrebbe essere: anch'essa arte in cui conta scegliere ciò che conta. Saper distinguere, portarsi via lo stretto necessario, liberarsi dell'ingombro di troppi pensieri, scoprirsi più leggeri: che arte, davvero.

E così non c'è niente di scontato, in questo libro di Andrea. E se a volte sembra di scivolare sulla superficie delle cose, come un pattinatore sul ghiaccio, è solo perché è alla superficie che a volte si può cogliere la profondità delle cose.

In piùAndrea è uno straordinario affabulatore, capace di portarci lontano con le sue divagazioni, che tanto divagazioni non sono. 

Per il nostro zaino non dovremo dimenticarci oggetti ordinari, apparentemente di scarso significato: la spilla da balia, il taccuino e la matita, il sapone di Marsiglia.... eppure quante storie custodiscono e svelano, quando trovano la voce giusta. 

Da leggere anche solo per scoprire la storia delle matite Faber, nate dall'intuito di un falegname tedesco che seppe mettere insieme la grafite delle miniere siberiane e il legno della Florida - sembrano solo matite, ma dentro hanno il mondo intero e l'aspirazione al viaggio che dovrebbe essere di tutti noi.

E ricordo solo le matite, ma quante storie davvero. Compreso la mia, che anche grazie a questo libro auspico possa farsi forte delle parole di Henry David Thoreau:

Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno. 

martedì 18 marzo 2014

Camminare verso quell'Ovest

Giorni fa ho riletto Camminare di Henry David Thoreau, sarà che ho già sentore della primavera e tante idee di sentieri da calpestare.

Più che a quelle pagine è proprio a Thoreau che mi è venuto da pensare a lungo. A questa singolare figura di ribelle. A questo visionario del New England che sognava un nuovo modo di stare al mondo. 
Come fare?, si chiedeva. Domanda che lo so, riecheggia il Che fare di leninista memoria.

 Forse non aveva vere risposte, ma camminare era un buon modo per cominciare. Una risposta semplice e immediata. C'era qualcosa di singolarmente rivoluzionario nei passi con cui un giorno abbandonò la cittadina di Concord inoltrandosi nella foresta che circondava il lago Walden.

Camminare, di questo Thoreau era convinto, significava svegliarsi, significava aprire gli occhi. Dare voce alla saggezza del cuore, la saggezza che quasi sempre abbiamo esiliato dalle nostre vite. 

 Diceva Thoreau: 

Ogni tramonto a cui assisto fa nascere in me il desiderio di andare verso un Ovest remoto e puro come quello in cui il sole si inabissa.

Camminare per Thoreau era puntare verso quell'Ovest, verso quel tramonto, in attesa di una nuova alba. 
 

giovedì 26 settembre 2013

Se anche il grande Thoreau non vendeva un libro

Consoliamoci: nemmeno il grande Henry David Thoreau, l'autore del Walden, classico della letteratura americana, in vita riuscì a godere di meritata fortuna.

Qualche tempo fa l'ha ricordato Gianni Riotta, su Tuttolibri, nell'ottimo articolo La ruvida America e il suo profeta, con cui ci ha presentato l'edizione italiana di un intrigante reportage di Thoreau, Cape Cod, uscito per Donzelli.

Intendiamoci, a complicare le cose ci si mise anche un carattere che proprio mite non doveva essere, se è vero, per esempio, che una volta Thoreau troncò brutalmente e irrevocabilmente i rappori con la rivista Atlantic per una riga, una riga sola, tagliata in un intero lavoro.

Fatto sta che in vita riuscì a pubblicare appena due titoli. E per uno di essi - Una settimana sui fiumi Concord e Merrimack - l'insuccesso fu tale che l'editore costrinse Thoreau a ricomprarsi le 706 copie invendute delle mille stampate.

Che l'amarezza del commento di Thoreau aiuti almeno a non deprimersi troppo per i tempi correnti, tanto non è che altri tempi fossero assai meglio:

Ho adesso in soffitta una biblioteca di 900 volumi: 700 scritti da me

lunedì 9 gennaio 2012

La saggezza della folla nei tempi di crisi

La mia tesi è che andare a caccia di esperti sia un errore, spesso anche piuttosto costoso. Dovremmo spettere di cercarli e chiedere alla folla (della quale, naturalmente, fanno parte anche i geni). Ci sono buone probabilità che conosca la risposta.

Dovremmo dedicare più tempo a saggi che sembrano fatti apposta per sfatare luoghi comuni e aprirci nuovi terreni di riflessioni. Cosa che senz'altro ci permette La solitudine della folla di James Surowiecki (edizioni Fusi Orari), un libro che sembra una provocazione già nel titolo.

Viene da lontano l'idea che la folla sia irrazionale, cieca, pericolosa. Diceva già Henry David Thoreau: La massa non raggiunge mai il livello del suo componente più intelligente ma, al contrario, si degrada al livello del più stupido. Per non dire di Friedrich Nietzsche - La follia è l'eccezione negli individui ma la norma nei gruppi - anche se da lui non mi aspetterei nient'altro che questo.

Viene da lontano, questa idea, ma sembra confacersi soprattutti ai nostri tempi, in cui superesperti e supertecnici sembrano la panacea per ogni male, se di azienda o governo non importa. E con la crisi, che cosa è più facile che salti fuori, se non l'ennesimo salvatore della patria o uomo della Provvidenza?

Per questo è prezioso un libro così. Surowiecki - che, per inciso, non è un filosofo teoretico, ma un giornalista che conosce bene Wall Street e dintorni - ci racconta quella saggezza che c'è anche se a volte facciamo fatica ad accettare.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...