Visualizzazione post con etichetta Gigetto del Bicchiere. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Gigetto del Bicchiere. Mostra tutti i post

mercoledì 6 ottobre 2010

Ricordando Gigetto, l'ultimo dei poeti

L’importante è alzare lo sguardo, sentirsi in bocca l’aria di queste cime. Loro non sono cambiate, con le loro foreste di castagni e più in alto di abeti e faggi. Per non dire degli aceri, degli ontani, delle acacie, dei sorbi e dei ciliegi selvatici. Sui prati in vetta ci sono come un tempo le mirtillete e anche i prati dove fioriscono le carline, con cui da sempre i montanini leggono il tempo che farà.
 

Se è la stagione giusta, ci sono anche i crochi che sono i primi a spuntare a primavera, perforando quello che rimane della neve. E più tardi gli anemoni e le genziane, i gigli e tutti gli altri fiori che sono una gioia per lo sguardo, ma prima di tutto regalano qualcosa di molto vicino a una certezza. Perché i fiori scompaiono ma poi ritornano, basta aspettare il tempo giusto, assecondare il ritmo delle cose.
 

Scompaiono, ma poi ritornano. Non importa se sono appassiti e se di loro ora non rimane niente, basta che ci sia un seme, a riposare sotto terra. Forse è lo stesso anche per le voci degli uomini, per le arti e i mestieri che si sono persi.
 

Magari vale anche per il canto di Luigi Ferrari, detto Gigetto, Gigetto del Bicchiere, l’ultimo dei poeti della montagna.
 

E sì, davvero, la poesia è come un fiore. Quando scompare è solo per tornare la volta dopo.




(da L'ultimo dei poeti, Edizioni Sarnus)

mercoledì 14 luglio 2010

Quando il poeta Gigetto imparò a leggere

Dopo Beatrice, Gigetto del Bicchiere, un altro poeta della montagna, un altro poeta che non ha affidato il suo nome ai libri. Parlo di lui in L'ultimo dei poeti, un libro in cui mi interrogo sulla sorpresa, se non il miracolo, della poesia in un uomo che fino a 20 anni non sapeva nemmeno fare la sua firma. Qui sotto un piccolo passo che prova a raccontare un momento di svolta nella vita di Gigetto, quello in cui le parole sulla carta cominciano a prendere forma e significato.

All’origine di tutto ciò che posseggo c’è l’alfabeto.
Questa è una frase che mi piace, il primo rigo di Bella gente d’Appennino di Giovanni Lindo Ferretti, uomo dei nostri tempi che dopo tanto girovagare ha saputo tornare alle sue radici sulla montagna. Penso che una frase del genere abbia a che vedere anche con la storia di Gigetto.
L’alfabeto per lui non è più solo forma, traccia sulla carta. Come le orme lasciate da un animale sulla neve le lettere indicano una direzione. Ma sono anche di più, sono le lenti attraverso cui Gigetto può guardare. Con le lettere ora può vedere. E quello che gli si spalanca è un mondo nuovo.
I libri non gli sono più una cosa estranea. Non sono privilegio dei signori, appannaggio dei letterati. Perfino lui può coglierne il senso e la bellezza.
Cerca anche di farseli prestare e li legge davvero. Qualche opera di poesia addirittura l’acquista. Pensate cosa significa per un montanino abituato a tirare la cinghia, a farsi sempre i conti in tasca. O anche per un povero fante, nell’Italia di quegli anni.
Che cosa rara, un uomo come Gigetto che investe in cultura. Che si dà daffare per procurarsi cibo di parole.
Ricchezza di cui tenere di conto, da non scialacquare come si fa con i soldi per le bevute nei giorni buoni. Da depositare nel cuore, dove nessuno potrà sottrarla. Magari da tenere quanto più possibile a mente, perché si sa, i libri oggi ci sono, ma domani vai a sapere. Vale anche per il mestiere, che nessuno potrà mai togliere, a differenza della casa e del campo. Saggezza contadina, capacità che viene da lontano. Non è difficile imparare a memoria i versi più belli.
Quando ci sarà l’occasione, potrà ripeterli. Nel caso, mescolando quello che ha letto a quello che riuscirà a inventare. Perché è così che si fa. Anche questa è saggezza montanina, le parole ricevute non si tengono per sé; le parole si restituiscono. Allo stesso modo dei semi che ritornano alla terra.

venerdì 2 luglio 2010

Quando c'erano i poeti sulla montagna

Si chiamava Gigetto del Bicchiere, aveva poca voglia di lavorare e molta invece di fare festa, è stato l'ultimo grande poeta improvvisatore della mia montagna. Domani, sabato 4 luglio, l'Appennino pistoiese gli dedicherà una giornata intera per l'anniversario della sua morte (e il quindicesimo anniversario della compagnia di canti e balli che prende il suo nome): sarà l'occasione anche per le prime due presentazioni, all'Abetone e a Cutigliano, del mio libro L'ultimo dei poeti (Sarnus), dedicato appunto a Gigetto.

Qui sotto un piccolo brano dal libro:


E i letterati arrivavano nei borghi, mandavano a chiamare questo o quello, se ne stavano assorti ad ascoltare. Annotavano, commentavano. Ma proprio non capivano. Pareva che questa gente non avesse fatto niente per meritarsi il dono della parola elegante. Come facevano senza aver studiato?
Si sbagliavano, naturalmente, perché c’è scuola e scuola. Glielo ricordava Beatrice, che di tutte era la più brava: "la montagna l’è stata a me maestra". Lo spiegavano anche altri. E in realtà non ce ne sarebbe stato nemmeno bisogno.
I letterati riempivano i quaderni e poi scendevano a valle, alle loro lezioni, alle loro accademie. I montanini rimanevano e c’era sempre un’altra sera da passare a riscaldarsi insieme, con il fuoco e con i racconti. C’era sempre una donna con la sua ninna nanna e un uomo in piazza con le sue ottave.
Insomma, c’era addirittura poesia sulla montagna. Anzi, si sprecavano i poeti, sulla montagna, buoni per ogni occasione. Non importava scrivere o saper scrivere, importava levarsi in piedi al momento giusto, chiedere ascolto, attaccare il verso.
Quanti ce n’erano, ai tempi. E sarà perché le parole non costavano niente ed erano sollievo, a volte addirittura salvezza. Sarà perché non c’era altro modo per passare il tempo. Però le cose erano andate sempre così. Perché non avrebbero dovuto andare così anche in futuro?

martedì 15 giugno 2010

L'ultimo dei poeti e la sua montagna


Ma poi chi dice che tutto è finito? Niente finirà, almeno finché ci sarà un ricordo, finché ci saranno giorni in cui si proverà a ripetere una vecchia ottava o si tenterà il passo della quadriglia. Sapete, a volte basta davvero poco, un suono lontano, un ritornello nel giorno del patrono, gli odori che si alzano dalla cucina di una sagra, lo sguardo di una donna che sa di antico. Allora se conoscete la storia di Gigetto può anche sembrarvi che il tempo non sia mai scivolato via o che un qualche sortilegio sia capace di spingerlo indietro. Le possibilità dell’immaginazione fanno il resto. E allora è suo quel volto che spunta tra i tanti che si sono dati appuntamento, sua quella voce più alta, quell’ombra che si allunga.

Beh, questo è il mio ultimo libro, L'ultimo dei poeti, che esce per Sarnus nei prossimi giorni. E' la storia di Luigi Ferrari, detto Gigetto del Bicchiere, ultimo grande poeta improvvisatore della montagna toscana. E con lui la storia di una civiltà secolare cancellata dai grandi cambiamenti dei tempi moderni. Cancellata, ma non del tutto, perché ancora oggi resiste la voglia di poesia e di bellezza.

Insomma, con queste pagine ritorno alla montagna e alla poesia che racconto con Beatrice. Anche se sono già anni diversi che stanno cambiando un mondo rimasto immobile per secoli. Un mondo in cui irrompe il turismo, dove le carrozze sono progressivamente sostituite dal treno e dalla corriera, dove si inizia addirittura a sciare...

Ne potremo parlare insieme sabato 3 luglio, in un'intera giornata che la Montagna pistoiese dedicherà a Gigetto del Bicchiere e ai suoi canti, con appuntamenti all'Abetone, al Bicchiere, a Cutigliano e a Ponte Sestaione.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...