
Ottanta anni più tardi Nick Hunt insegue le sue tracce. Anche lui è uno scrittore, anzi, è uno scrittore che ha già avuto modo di mettersi in mostra: splendido il suo Dove soffiano i venti selvaggi, viaggio all'inseguemto dei venti europei più inquieti e imperiosi, come la bora e il mistral.
Anche questo viaggio, a modo suo, segue un vento, perché è come il vento il passaggio di un uomo: impalbabile, inafferrabile. Per coglierne qualcosa forse c'è solo da aggiungere passo a passo e confidare nelle gambe.
Ecco, il viaggio pare lo stesso, per quanto riguarda almeno la geografia fisica. Duecentoventuno giorni, quattromila chilometri, due grandi fiumi come il Reno e il Danubio, tre catene montuose per raggiungere quella che una volta era Costantinopoli.
Ma può essere lo stesso viaggio se l'Europa è cambiata. E in che modo è cambiata, in che misura? Già Fermor aveva camminato su un mondo sull'orlo del precipizio, con Hitler da poco al potere. Troppo è successo negli anni dopo, non solo la guerra, i popoli e i confini spazzati via, lo sdradicamento di culture millenarie.
E ora? Camminando tra i boschi e l'acqua (Neri Pozza) dimostra che si può camminare nel tempo e che nello spazio che attraversiamo possono convivere diversi tempi. Più si muove verso est, e verso sud, più Nick Hunt ritrova nel presente le tracce del mondo che Fermor ha raccontato.
Quanto a Fermor, sì, è vento: ma in tutta Europa, dall'inizio alla fine del suo viaggio, l'uomo che ne insegue le orme trova gente disposta a ospitarlo. Sconosciuti pescati in Rete, uniti solo dall'idea di quel viaggio mito di un remoto 1933. Anche il vento, in fondo, ogni tanto si ferma e si lascia accogliere.
Non ha nemmeno vent'anni e deve fare già i conti con una vita di promesse mancate e di macerie, Patrick Leigh Fermor, quando prende la decisione che la vita gliela cambierà sul serio, portandolo sulla strada giusta, quella che porta lontano.
E' il 1933, dicembre - la peggiore stagione, in effetti, per partire. Munito solo di uno zaino da alpinista, di un cappotto dell'esercito, di un passaporto che lo certifica come studente (senza denunciarne i fallimenti) e di tante buone letture alle spalle, Fermor lascia l'Inghilterra e lascia le sue prime orme sui campi innevati dell'Olanda.
Un obiettivo: raggiungere a piedi Costantinopoli - allora si chiamava ancora così - seguendo il corso dei grandi fiumi della civiltà europea, il Reno e il Danubio. Un viaggio da chierico vagante, da nomade, da sognatore. A casa tornerà solo dopo diversi anni.
E che bello questo libro che racconta le storie, le persone, i paesi e i popoli della prima parte del viaggio, fino all'Ungheria. Intenso, raffinato, autentico.
Immergetevi in esso, con il bagaglio di pensieri più leggero che potete. Magari considerate solo la data: il 1933. L'Europa sospesa tra i due macelli della guerra mondiale. L'Europa che oggi non c'è più e quella che ancora resiste, forse.
I tedeschi sembrano ancora solo dei pacifici bevitori di birra, persi dietro i loro canti e le loro storie di gnomi e di principi, ma le camice brune di Hitler già proiettano le loro lugubri ombre. Non si contano i cimiteri militari, eppure Fermor può sorprendersi (e noi con lui), per la gentilezza e l'ospitalità che incontrerà per tutto il viaggio:
Sembrava che di ogni mondo mi toccasse in sorte la parte migliore
Quando l'ho finito non mi è nemmeno dispiaciuto, perché ho pensato ai passi che continuerò a fare con il seguito, sempre pubblicato da Adelphi. Per inciso, la stessa casa editrice di Bruce Chatwin. Ed è curioso che per tanto tempo ci si sia dimenticati di Fermor, per osannare Chatwin: che poi di Fermor si considerava, giustamente, quasi un discepolo.