Visualizzazione post con etichetta Weimar. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Weimar. Mostra tutti i post

mercoledì 11 novembre 2015

I am a camera with its shutter open, quite passive, recording, not thinking...

Christopher Isherwood racconta le sue peripezie nella Berlino dei primi anni ’30, dove si era trasferito con l’intenzione di scrivere un romanzo. Il risultato è un libro composto di sei piccole storie che ci restituiscono un ritratto arguto e a tutto tondo della capitale tedesca durante gli ultimi giorni della Repubblica di Weimar.

Lo sguardo del giovane inglese si fissa su una Berlino dissociata, scapigliata ed euforica ma allo stesso tempo segnata dalla crisi e da tensioni sociali incandescenti. Un mondo transitorio, agitato da fallimenti bancari e teatro delle violenze di strada di nazisti e comunisti, che inseguono i loro deliri sanguinosi di palingenesi sociale. Una città sospesa che non rinuncia a vivere, ma che sta scivolando verso una discontinuità traumatica.

Isherwood si mantiene a Berlino dando ripetizioni d’inglese e vive, assieme ad altri pigionanti assortiti, in un appartamento gestito da un’affittacamere, Fräulein Schröder, un po’ impicciona come tutte le affittacamere. Isherwood osserva con distacco abbastanza british la città e i suoi abitanti. Ne emerge una galleria di personaggi variegati, ognuno con i suoi desideri.

Successo, amore, magari solo la salvezza personale. Dalle desperate housewives annoiate dei quartieri bene al milieu proletario di Hallesches Tor. Alti borghesi e starlette stralunate che si strascicano fra bar e improbabili carriere nel mondo dello spettacolo.

Una narrazione che a tratti ricorda certe sinfonie di Mahler, in cui sonorità preziose sono inframezzate da materiali di estrazione più vile.

Isherwood passa dalle dimore borghesi di città e dagli chalet sul Wannsee agli alloggi plebei con le chiazze di muffa sul soffitto. Dalle conversazioni colte e annoiate con i rampolli degli industriali alla frequentazione delle bettole sottoproletarie.

Quando si finisce l’ultima pagina e si ripone il volume viene quasi spontaneo chiedersi cosa sia successo ai protagonisti delle storie del libro.

 Lo scrittore inglese, socialista idealista, abbandona infine Berlino quando Hitler diventa padrone della città e della Germania. Isherwood, assistito da una prosa leggera e accurata, non nasconde le proprie idee, ma allo stesso tempo non giudica, osserva, riporta e lascia parlare le sue storie.

Considerato spesso il capolavoro di Isherwood, Addio a Berlino  ha anche ispirato il celebre Cabaret di Bob Fosse, con Liza Minelli nella parte della protagonista. Un romanzo autobiografico che si legge con piacere.

                                                                                                                             SLB

‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐
Christopher Isherwood, “Addio a Berlino”
Adelphi (collana Fabula), 2013
Traduzione di Noulian L.
Pagine 252, Euro 18,00

venerdì 20 marzo 2015

Quando dalle parole degli intellettuali discende il peggio

Quando le parole sono l'uovo del serpente: il crimine che fa la prova generale. Quando non è solo questione di idee, sballate come tante nella storia del pensiero. Quando le parole sono esse stesse crimine per cui non è possibile invocare libertà.

Tutto questo mi è venuto in mente leggendo Precursori dello sterminio (edizioni Ombre Corte), libro curato dagli storici Ernesto De Cristofaro e Carlo Saletti, intorno a un documento di due rispettabilissimi intellettuali della Germania di Weimar, un giurista e uno psichiatra. Era il 1920, Hitler era ancora un pittore fallito e rancoroso, nessuno si sarebbe mai potuto immaginare come sarebbe andata a finire, in questo paese uscito a pezzi dalla Grande Guerra.

Erano sostenitori dell'eugenetica, i due. Persone che si ponevano seriamente il problema della "degenerazione della razza" e dell'impoverimento genetico di un popolo. Discorsi che potevano far presa in una Germania che aveva visto morire al fronte la sua "meglio gioventù": perché ci si doveva far carico degli storpi e dei matti?

Poi sarebbe arrivato Hitler e quelle idee diventarono "buone pratiche": sterilizzazioni ed eutanasie, magari spacciate da "morte caritatevoli". Quindi altri "trattamenti" cominciarono a essere autorizzati: tutto nel rispetto delle regole, perché quello era un regime che sapeva darsi le regole e che quelle regole faceva rispettare.

Si arrivò al programma T4, per "disinfettare" la nazione ariana. E decine di migliaia di persone sparirono nelle cliniche. E per la prima volta si usarono i gas. Prove generali anche queste, di quello che sarebbe successo in terre più a est, con la guerra nazista.

Anni più tardi medici e scienziati si sarebbero difesi nei processi: erano solo idee; era un modo di manifestare pietà; in ogni caso non avevano fatto altro che obbedire agli ordini e stare dentro le procedure.

E dunque è un libretto da leggere, questo: un piccolo grande insegnamento su ciò che è e non è responsabilità.

martedì 17 settembre 2013

Le luci del coraggio nella notte di Hitler

Quando Hitler prese il potere ero nella vasca da bagno.

Comincia così Tutto ciò che sono di Anna Funder, giornalista e scrittrice australiana di cui qualche anno fa avevo già letto con piacere C'era una volta la Ddr. E che anche questa volta dedica il suo lavoro alle tragedie della Germania del Novecento.

Distratta, rassegnata, rancorosa, la Repubblica di Weimar da un giorno all'altro capitola. Hitler è il nuovo cancelliere e come sia potuto succedere è bene continuarcelo a domandare. Non era questo il paese della più forte socialdemocrazia europea? Quello che pochi anni prima sembrava addirittura poter imboccare la strada della rivoluzione operaia?

E certo il tumore nazista attacca il corpaccione malato della Germania con il disastro della Grande Guerra. Ma da quelle macerie non esce fuori solo il fanatismo omicida del pittore mancato - l'imbianchino come lo chiamerà Bertolt Brecht - e caporale senza apparente futuro. Da lì sortiranno anche giovani animati da generose utopie, pronti a mettersi in gioco per un mondo migliore, per una pace nella rivoluzione, per una rivoluzione di pace.

E' questa la storia - in parte autentica, in parte romanzata - che Anne Funder racconta. Quella di quattro giovani che non si arrendono, nonostante il terrore di Hitler.

Coraggio, resistenza, responsabilità. Anche in esilio, quando piuttosto si tratterebbe di inventarsi un'altra esistenza e si potrebbe più facilmente mollare gli ormeggi, piuttosto che continuare una partita disperata contro gli scherani di Hitler. Anche vigliaccherie e tradimenti, certo, perché è così che siamo fatti, senza nascondere nulla.

Ann Funder molti e molti anni più tardi, in Australia, avrà modo di conoscere l'unica sopravvissuta di questa storia. Come un testimone che passa di mano in mano. Per restituirci in pieno queste vite come barlumi di luce nella notte dell'umanità. Facciamone tesoro.


La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...