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sabato 28 dicembre 2013

Se l'insegnante è lo specialista dell'avventura interiore

L'insegnante è lo specialista dell'avventura interiore. L'artigiano del tempo. Il mazziere della giovinezza.

Se ha fatto bene il proprio mestiere, i suoi allievi gli resteranno dentro. Li ricorderà sempre, uno per uno, simili a tamburini che, in certe stagioni, hanno dettato il ritmo sulla grancassa della sua esistenza. E loro non potranno dimenticarsi di lui.

Lo conserveranno nella memoria come una controfigura del padre: l'atleta incaricato di compiere un'azione rischiosa al posto del protagonista. Dire di no infatti non suscita consenso, ma è talvolta più necessario che elargire il sì.

Oggi i ragazzi sono lasciati nel vuoto dialettico, privi di ostacoli da superare. I loro insegnanti restano gli unici ormai a doverli richiamare ai valori della serietà. del rigore e della concentrazione in una società che punta sulla bellezza, sulla sanità e sulla ricchezza. 

Due solitudini lancinanti.

(Eraldo Affinati, Elogio del ripetente, Mondadori)

martedì 10 dicembre 2013

Quando si comincia ad abitare la nostra lingua

 Io, gli dissi, non riuscirei mai a imparare l'arabo nel mondo in cui stai facendo tu con l'italiano.

Molte cose ci ha raccontato l'altro giorno Eraldo Affinati, nell'incontro organizzato dalla Fondazione Baracchi alla Villa Mausolea di Soci, in Casentino. Molte cose, per spiegarci come nelle sue pagine scrittura ed esperienza sono così strettamente intrecciate che non ci sarebbe scrittura senza esperienza. E che, anzi, la scrittura in realtà è l'unico modo per dare un senso all'esperienza. Mica solo per lui. Anche per i ragazzi che incontra ogni giorno nel suo lavoro di insegnante.

Perchè saranno i cosiddetti ragazzi difficili, magari arrivati in Italia da altri paesi, portandosi dietro altre culture e altre lingue. Eppure il futuro lo cominciano a costruire solo nel momento in cui abitano davvero anche la nostra lingua. Quando con questa lingua cominciano anche a raccontarsi.

Non so se tra le tante domande che avevo in testa di fargli c'era anche questa storia - oppure se c'è capitato lui, sull'onda di un'altra domanda. Ma è stato bello sentire Eraldo raccontare di una "promessa mantenuta", la storia del viaggio con Omar e Faris, due suoi allievi che, dopo anni di assenza, ha voluto riaccompagnare in Marocco.

Un viaggio raccontato nel suo La città dei ragazzi. Un viaggio, insieme a due specialisti della lontananza, che difficilmente ha uguali in tanta letteratura che pretende di portarci ai quattro angoli del mondo.

Con quante domande era partito: perché erano fuggiti dalla loro terra? Da cosa erano esattamente scappati? Chi erano i loro padri? E quante risposte, in un villaggio dimenticato del Marocco.

Quante parole, per raccontarsi e per raccontare a tutti noi.

giovedì 29 agosto 2013

Camminando per l'Italia con i grandi della letteratura


Dov'è finita l'Italia dei grandi della nostra letteratura? Quali sono i fili, più o meno sottili, più o meno invisibili, che legano Dante Alighieri,  Boccaccio, Foscolo - ma anche Pascoli, Ungaretti, Pasolini, per arrivare più vicino a noi - alle nostre città, alle nostre terre, alla nostra vita di gente di Italia che vive un'epoca complessa, fatta di poca letteratura e molti scempi?

Sono gli interrogativi che accompagnano la lettura di Peregrin d'amore di Eraldo Affinati, libro denso, libro di molti movimenti da una capo all'altro dell'Italia (e non solo) e di molte letture (ma direi anche di molte esperienze che ruotano attraverso le letture che accompagnano l'insegnamento a scuola). 

Un libro che forse è prima di tutto un cammino che connette epoche, pagine, luoghi, perché ogni viaggio può e deve essere in primo luogo una rivelazione, cioé deve mettere a nudo connessioni che per miopia o arroganza avevamo tralasciato.


E così può capitare di spiegare San Francesco a una giovane prostituta nigeriana, di condividere le avventure di Marco Polo con gli adolescenti afghani, di incontrare a Lampedusa. il paladino Orlando. Questo e molto altro, tra questi quaranta grandi della nostra letteratura, compagni di viaggio che ci sono e non ci possono non essere, perché la letteratura è viaggio che richiama ed esige altri viaggi.

venerdì 2 aprile 2010

In viaggio nella memoria con Eraldo Affinati


Credo che si faccia una gran cosa, quando si riesce a portare la memoria fuori dal terreno della rievocazione, dell'omaggio più o meno formale, più o meno doveroso, per far sì che sia qualcosa che riguarda davvero la vita di tutti noi; qualcosa che non registra solo cosa è successo, ma che piuttosto è in grado di tenere insieme, come diceva Italo Calvino, l'impronta del passato e il progetto del futuro. É andata proprio così l'altra sera, al Teatro Dante di Campi Bisenzio, con Eraldo Affinati ospite della rassegna Un mercoledì da scrittori. É andata così, e sono contento di averci partecipato e di avere potuto dare il mio piccolo contributo.

Eraldo ha scritto molti libri importanti, ma la conversazione a Campi Bisenzio non poteva non prendere spunto da Campo del sangue, il racconto di un viaggio da Venezia e Auschwitz, con un bagaglio per niente leggero di ricordi, testimonianze, riflessioni, pagine che contano. Un viaggio della memoria, se si vuole, come quello che tra qualche settimana faranno una trentina di ragazzi di Campi (senza curarsi troppo, per fortuna, di una Giornata della Memoria che sempre più pare confinare le iniziative a gennaio e dintorni, riducendo la memoria a un obbligo di calendario)

Viaggio della memoria, ma anche viaggio e memoria: due tipi di esperienze che direi sono anche due modi di alimentare la vita, di accogliere il cambiamento. Non è che ce ne siano tanti altri di migliori.

E così parlare del Campo del sangue è stata l'occasione per affrontare i temi da cui non si può prescindere. La libertà, la responsabilità, il coraggio della scelta.... solo per dirne alcuni.

Partire per un viaggio così, ne sono sicuro, significa davvero provare a scoprire le notizie sulla specie a cui appartengo, per usare le parole di Eraldo.

Per quanto mi riguarda, sono tornato a casa con qualcosa in più.

Per esempio con una bellissima frase di Dostoevskij: Siamo sempre responsabili di tutto e di tutti, davanti a tutti, e io più di tutti gli altri.

Per esempio, con uno straordinario ricordo di Eraldo, che nella vita fa anche l'insegnante. Quando ha ricordato di aver avuto tra i suoi studenti un ragazzo che ostentava svastiche e altri simboli nazisti, e lui non si è indignato, non gli ha scaraventato addosso chissà quali rimproveri, ma ha affidato tutto a un libro di Heinrich Böll: e quel ragazzo ha letto, ha capito, si è appassionato, ha condiviso.

Ma qui si entra in un altro discorso, sul potere dei libri. O almeno di quei libri come carne viva che per una sera sono stati anche un ponte con Eraldo.

Non sottovalutiamoli i libri, in tempi come questi.

mercoledì 31 marzo 2010

La persona "seria" che fece paura a Hitler



Era un teologo tedesco, Dietrich Bonhoeffer, convinto che la teologia non può accontentarsi di galleggiare nei cieli, deve stare con entrambi in piedi ben piantati sulla terra.

Un teologo che riconosceva come unica autorità con cui Dio si manifesta tra gli uomini "l'autorità di coloro che soffrono": e questo è già molto. Sicuro poi che la preghiera dovesse farsi azione, la solitudine comunità. E che non era possibile voltare le spalle ai torti del mondo, nemmeno in nome di Dio. E questo è moltissimo, per me che in genere ho poco in comune con i teologi.

Successe che il destino di Dietrich Bonhoeffer, uomo di chiesa, si incrociò con quello di Hitler: e apparentemente non ci doveva essere partita. La pulce schiacciata dagli assassini del Reich.

Apparentemente fu proprio così che andò. Il teologo che aveva scelto la Resistenza non ebbe scampo. Riuscì solo a intravedere la salvezza, lui che amava la vita, che voleva testimoniare la vita con la vita. Fu ammazzato in un campo il giorno prima della liberazione, per ordine espresso di Hitler, che solo una settimana più tardi si uccise nel bunker di Berlino.

Dietrich Bonhoeffer fu impiccato a una forca improvvisata in tutta fretta, il suo corpo bruciato. Eppure fu più grande, più forte dei suoi assassini.

Lui che fin dall'inizio non usò giri di parole per denunciare i pericoli del nazionalsocialismo. Che tornò consapevolmente dagli Stati Uniti, a guerra già cominciata, per condividere il destino del suo popolo e aiutarlo a uscire dal tunnel.

Dietrich Bonhoeffer era un tedesco. Ma anche allora c'erano tedeschi così, non tutti erano come Hitler.

Questo libro, bello, ci aiuta a esserne consapevoli. E c'è una cosa che ci dice Eraldo Affinati e che mi ha particolarmente colpito:

I resistenti tedeschi, ritratti insieme alle mogli, ai figli, vissero in una rete di affetti familiari... Il nazista, al contrario, è spesso un uomo solo insieme ad altri uomini soli.


Credo che voglia dire qualcosa, anzi, molto.

Dietrich Bonhoeffer, semplicemente, era una persona seria. E anche oggi abbiamo bisogno come del pane di persone come lui.

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