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venerdì 30 dicembre 2011

Un buon proposito per il 2012: salviamo le librerie


Se i libri sono viaggi, sono le librerie i posti dove si staccano i biglietti per il mondo. Sono loro che ci aiutano a fare le valigie e magari ci accompagnano per un bel pezzo.

Ma cosa succede se scompaiono una a una? Cosa perdiamo, se se ne vanno proprio quelle che non ci propongono il viaggio da catalogo, ma il viaggio su misura, il viaggio che è giusto il nostro e che allo stesso tempo è stato costruito insieme?

Tra i miei ritagli di giornale ritrovo Salvate il piccolo libraio, articolo di Michele Smargiassi su Repubblica: 


Le librerie indipendenti chiudono una a una o cambiano forma. Sgocciolano via le botteghe della lettura, scompaiono i dettaglianti della cultura, gli ecologi difensori della 'bibliodiversità'. Gli ultimi dodici mesi sono passati come i lanciafiamme del romanzo di Bradbury sui piccoli negozi di carta stampata, senza distinzione tra blasonate e anonime, antiche e recenti, metropolitane o provinciali...

In Italia le librerie sono 1.770: di per sè non un grande numero. Almeno un terzo appartengono a grandi catene, con le loro strategie commerciali che non sempre si conciliano con il bene di quel bene tutto particolare che è il libro. Meno ancora garantiscono quella bibliodiversità di cui parla Smargiassi.

In questi anni si è parlato molto di presidi del libro. Ben vengano. Però mi sa tanto che presto ci sarà bisogno anche di presidi delle librerie: non fosse altro che per salvare un patrimonio di frequentazioni, esperienze, consigli su questo o quel libro, magari letto e apprezzato davvero, perchè non è solo un titolo dalla copertina luccicante e dalle ambizioni di alta classifica.

I viaggi su misura si costruiscono così. E beh, credo che ne valga la pena. Credo che sia un buon proposito, per il 2012 che ci attende.

mercoledì 20 aprile 2011

Il paese che ha bisogno di qualche eroe

Sventurato il paese che ha bisogno di eroi

Così diceva Bertolt Brecht e così mi piace ripetere anche a me: sarà che poi c'è sempre da essere cauti con la gente messa sopra a un piedistallo, sarà che spesso è uno sgarbo anche per chi è finito lì sopra. Guardate al nostro Risorgimento, guardate a come hanno ridotto anche il povero Garibaldi.

Sembra invece che gli eroi siano tornati di moda. La casa editrice Il Mulino ha deciso di dedicare loro perfino una collana: e non si tratta certo di una di quelle strampalate case editrici sedotte da guerrieri nordici, novelli crociati, stirpi divine.

E così ha titolato la copertina del Venerdì di Repubblica: Beato il paese che qualche eroe ce l'ha

Chissà, forse bisogna pensarci un po' sopra. Capire magari cosa si intenda davvero per eroe, e perché di tanto in tanto ne riaffiori il bisogno. Liberarsi certo anche dai paraocchi di ideologie che magari i monumenti li hanno innalzati lo stesso, assegnando le qualità dell'eroe alle masse o alla razze o alla Storia con la esse maiuscola.

Però c'è anche eroe ed eroe. E non bisogna essere allergici al politically correct per comprendere che dipende soprattutto da noi: perché siamo noi a inchinarci al culto della personalità o a poter alimentare la vitalità dei buoni esempi.

Come leggo nell'articolo di Michele Smargiassi sul Venerdì, l'eroe è un uomo ben riuscito. Ed è anche un uomo, un uomo fragile.


Eroi sì, ma non immortali. Ogni Achille ha un tallone, ogni Superman una kryptonite. Sono fragili, hanno bisogno del nostro sostegno. Sfortunato l'eroe che ha bisogno di un Paese

sabato 16 ottobre 2010

Se anche le biblioteche restano senza libri

Cosa bisognerà fare? Smettere di acquistare libri o rinunciare a qualche apertura? E in ogni caso, basterà?

Questo è certo, non vorrei ritrovarmi nei panni di chi prima o poi (più prima che poi) sarà costretto a scegliere. Però questa domanda è anche mia, visto che considero le biblioteche pubbliche una buona cartina tornasole di un paese: e allora, domando, come è che ci siamo ridotti in questo modo?

Era ovvio, con le scuole, con le librerie, con i teatri che vivono come vivono, anche per le biblioteche sono tempi bui.

Nei giorni scorsi la situazione è stata dipinta con grande efficacia da Michele Smargiassi, in un'inchiesta - Se le biblioteche restano senza libri - pubblicata su Repubblica. Ed è così che va: mentre gli utenti delle biblioteche crescono - mentre, insomma, c'è più bisogno di biblioteche - si va sempre più pesanti con i tagli (l'Aib, Associazione Italiana Biblioteche stima una riduzione dei bilanci tra il 15 e il 35% solo per il 2011).

E tra le prime conseguenze c'è propria questa: alle biblioteche non arriveranno più le novità. Che è come chiudere un rubinetto. All'inizio magari nessuno se ne accorge, ma poi l'acqua manca e la siccità comincia a farsi sentire.

Brutta notizia per gli editori, ma in realtà per tutti noi. Brutta per questo paese, che con troppa facilità è pronto a considerare la cultura un'optional.

E dunque, sottoscrivo quanto ha dichiarato Mauro Guerrini, presidente dell'Aib:

Stiamo rischiando grosso, non è solo un problema di aggiornamento culturale, ma di democrazia. Le biblioteche sono i luoghi della socialità, dell'integrazione, della redistribuzione del sapere

Sottoscrivo e confido in buone nuove. C'è chi propone sponsor e donazioni private. C'è chi si spinge a immaginari libri che potranno essere dati in prestito con un segnalibro con su scritto "stai leggendo questo libro grazie a..."

Un'idea, certo. Però la domanda è sempre quella: perché ci siamo ridotti così?

Ci vorrebbe un sussulto. Un coro di no. Una convinzione gridata:  le biblioteche - soprattutto le biblioteche di quartiere, le biblioteche di periferia, le biblioteche di paese - sono carne viva. Sono presidio di civiltà. Non valgono più di qualche spot sulla bellezza della lettura?

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