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venerdì 3 febbraio 2017

Ma guarda, a Fiume la rivoluzione fece la sua festa

Guarda che sorprese che ti riserva la storia, se solo viene da fare un passo oltre i luoghi comuni e gettare sulle stesse vicende un altro sguardo.

L'impresa di Fiume, per esempio, così come viene chiamata l'occupazione della città oggi in Croazia da parte di Gabriele D'Annunzio e dei suo legionari, nel 1919. Solo un episodio da poche righe sui manuali scolastici, appendice alle tragedie della Grande Guerra e avvisaglia del fascismo che di lì a poco si sarebbe preso l'Italia.

Ed ecco, anch'io la avevo lasciata da parte in questo modo, come qualcosa da maneggiare con cautela. Quasi la prova generale della Marcia su Roma. A Fiume, avevo imparato, si liberarono le tossine pronte ad avvelenare la politica nazionale. Si imparò che era meglio parlare alle viscere che alla testa delle persone, che i colpi di mano funzionavano più delle regole, che le crisi si possono fronteggiare con le ricette del nazionalismo.

Poi ti capita sotto gli occhi questo libro: Alla festa della rivoluzione di Claudia Salaris (Il Mulino). E scopri che non è che non sia vero quello che già sapevi, ma che dentro quella vicenda c'era anche molto altro, perfino di segno opposto.

Perché questa fu l'impresa di Fiume: avventura tutta da scrivere, caleidoscopio di sogni, piantagione di possibilità da seminare e far crescere. Utopia, ribellione, caos (poco) organizzato: comunque magnete che attrasse la gente più varia e singolare, alla ricerca di qualcosa che per tutti era diverso e per pochi aveva il pregio della chiarezza.

Allo stesso modo dei futuristi che pochi anni prima erano partiti per il fronte come volontari, arruolandosi nel Battaglione Ciclisti: e difficile raccontare quante cose si portarono dietro, ansie e smanie, miti della patria e dell'eroe, illusioni di bella morte.

E così a Fiume ci fu di tutto: beffe e bravate avanguardiste, gioco e guerra, liberazione sessuale, droga e pirateria.

In quel calderone di artisti e ribelli, di dandy e scalmanati ci fu modo di guardare con simpatia alla Rivoluzione Russa e di organizzare un movimento yoga. Si lanciarono proclami per modellare la storia a propria immagine e volontà, ma intanto si azzardò la festa permanente e si inscenarono marce di primavera e cortei dell'allegria. Anche la qualità del tempo cambiò. E col tempo, fu la grande occasione dell'istinto, del capriccio, dell'azione fine a se stessa, del gesto buono per l'istante. Persino nel vestire Fiume divenne laboratorio di libertà e stravaganza.

Non me l'aspettavo: allora anche Fiume è acqua di quell'altro fiume, quello che per tutto il Novecento scorre, a volte in superficie a volte sotterraneo. Rivolta che di tanto in tanto occupa le pagine della storia, come nel Sessantotto, come nel Settantasette. E che brucia tutto nel presente in nome di un tempo a venire pronto a morire come una farfalla. 


mercoledì 22 ottobre 2014

Nel mondo, dopo aver navigato sul fiume al centro del mondo

Tutte le auto, i treni, le navi e gli aerei che avevo prenotato per i giorni successivi avrebbero continuato a portarmi nella stessa direzione conducendomi di nuovo a Shangai dove il mio viaggio avrebbe avuto termine.

Allora, assieme al fiume, mi sarei spinto oltre la Barriera di Woosung e la sua rossa boa, avrei passato il faro sfavillante e l'enorme boa di navigazione che stava proprio oltre il punto che un tempo era chiamato Capo Nelson. 

Presto, ancora una volta, sarei stato in pieno oceano, sulla via del ritorno per ricongiungermi con il resto del mondo.

Sarei tornato nel mondo, dopo aver navigato il fiume che sta proprio nel centro del mondo.

(Simon Winchester, Il fiume al centro del mondo, Neri Pozza)

lunedì 10 dicembre 2012

Il Po e la bellezza di sedersi sull'argine

C’è il Po, il grande fiume che scorre placido dandoti un’illusione di eternità.

E c’è la pianura che il Po attraversa, con le sue distese dove puoi lanciare lontano lo sguardo, le sue nebbie e i suoi contorni sfumati, le sue stradine che seguono il fiume come un ospite dimesso.

E poi c’è l’uomo, che su queste stradine cammina, seguendo il fiume, per arrivare dove il mare di terra diventa semplicemente mare.

Verso la foce di Gianni Celati (Feltrinelli) è un altro viaggio sotto casa, impastato di quiete, riflessione e nostalgia, un altro viaggio per dimostrarci che non è dove vai, ma come vai, perché ovunque c’è una frontiera e un orizzonte, una soglia che ti apre un mondo e un incontro che può cambiarti la vita.

Celati, in questo libretto, ci aiuta a capirlo meglio, portandoci anche un altro regalo: la bellezza di gesti semplici, semplicissimi, come sedersi su un argine per rimirare l’acqua che se ne va verso la foce.

mercoledì 6 giugno 2012

Senza perdere tempo a piangerci addosso

Tendiamo a convincerci che tutto peggiori semplicemente perché così succede entro i confini del nostro mondo. 

Un po' alla volta diventiamo meno capaci di fare cose che ci piacerebbe fare, sentiamo di meno, vediamo di meno, mangiamo di meno, soffriamo di più, i nostri amici muoiono, sappiamo che anche noi faremo presto la stessa fine...

Non c'è da sorprendersi, forse, se scivoliamo in un facile pessimismo generalizzato nei confronti della vita, ma è un attitudine molto noiosa e rende gli ultimi, tristi anni di una vita ancora più tristi. 

Se invece intorno al nostro mondo ci sono persone appena 'agli inizi', persone per cui gli anni a venire sono ancora lunghi e pieni di chissà cosa, questo ci rammenta - anzi, ci permette di sentire ancora - che non siamo semplici puntini alla fine di esili linee nere proiettate verso il nulla, bensì facciamo parte dell'ampio e variegato fiume che pullula di inizi - ne siamo ancora parte integrante, e lo sarà anche la nostra morte, così come lo è la giovinezza di questi ragazzi. 

E allora, finché abbiamo la forza e la capacità di capirlo, non perdiamo tempo a piangerci addosso.

(Diana Athill, Da qualche parte verso la fine, Bur)

lunedì 19 dicembre 2011

Il Danubio di Magris, fiume maestro di vita

Non c'è dubbio, è uno dei più grandi, entusiasmanti libri di viaggio, più difficile è capire perché. La cultura di chi scrive, la sua straordinaria capacità di affabulazione? L'originalità dell'itinerario? L'abilità nell'alternare i passi del presente alle suggestioni del passato?

Sì, sì, va tutto bene, ma in realtà niente di tutto questo spiega il fascino di Danubio di Claudio Magris....

Sarà piuttosto che raccontare un fiume è raccontare il tempo che scorre, la vita nel suo fluire via. Sarà piuttosto che per questo è perfetto il Danubio, questo fiume che solca il centro della nostra civiltà, che pare quasi scontato, per così dire, solo che a farci mente locale non sappiamo nemmeno stabilire dove nasca, con precisione: forse dallo sgocciolio di una grondaia, suggerisce lo stesso Magris.

Quel che è certo è che il fiume scorre a valle, non sa dove proviene nè quale sia il suo vero nome, Inn o Danubio o quale altro mai, ma sa dove va e come andrà a finire.

Cosa che, evidentemente, ognuno di noi può dire - e non dire - della sua vita.

Sarà per questo, quasi ci credo. E se il Danubio è la vita, capisco anche perché per Magris sia pure un sinuoso maestro di ironia.

Perché è vita è maestro di vita, il Danubio. Di quella vita che ha bisogno di ironia, per stabilire il giusto senso delle cose e del loro tempo.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...