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giovedì 5 dicembre 2013

Quanti sono coloro che abbiamo dimenticato?

Quante persone come Enrica Calabresi ci sono, che non abbiamo saputo scoprire e raccontare?

E' questa la domanda che mi è stata fatta ieri da uno studente - credo che si chiami Demetrio - del liceo Ariosto di Ferrara, dove, assieme ai famigliari di Enrica, la scienziata ebrea cancellata dalle persecuzioni razziali, ero stato invitato per presentare Un nome.

E' questo il bello degli incontri nelle scuole. Credi di andare a insegnare qualcosa e invece, se le cose vanno bene, finisci per misurarti con domande che non ti eri mai posto. Così torni a casa contento, perché in qualche modo più ricco.

Ognuno dei milioni di morti della Shoah meriterebbe un libro. Così ho risposto. E lo stesso potrebbe valere anche per ogni morto della Grande Guerra o della Guerra di Spagna. O per ogni persona in genere, anche morta in pace nel suo letto: ognuna meriterebbe un libro.

Però è vero, è stata una grande fortuna poter raccontare la storia di Enrica, una donna di cui era rimasto solo il nome, peraltro non collegato alle persecuzioni razziali. E quanto di lei che è comunque svanito. Ogni vita, del resto, anche la più documentata, può essere raccontata solo accettando larghi vuoti, silenzi che sono come pause nel linguaggio della musica.

Enrica è diventata un libro solo per una serie di combinazioni. I molti sono stati solo e soltanto inghiottiti dalla Storia, senza alcuna possibilità di essere richiamati dal lavoro della memoria.

Memoria che è una continua tensione tra dovere e potere. Così ho concluso: ciò che sarà possibile è poca cosa, però abbiamo sempre il dovere di provarci.  

 

martedì 3 dicembre 2013

Ritrovando Enrica Calabresi nella sua scuola

Oggi sarò a Ferrara, al liceo Ariosto, la stessa scuola dove tanti tanti anni fa, all'inizio del Novecento, studiò Enrica Calabresi. Ovviamente parlerò di Enrica e di Un nome, il libro che tempo fa ho pubblicato con Giuntina per raccontare la sua storia.

In questi anni sono state tante le occasioni in cui mi è capitato di parlare di Enrica. Eppure mi provoca un'emozione particolare l'idea di condividere ciò che di lei è rimasto nella sua scuola, laddove la sua vita stese le ali e stava per spiccare il volo, verso un avvenire che avrebbe dovuto essere diverso. A quegli anni felici dedico un piccolo brano del libro:

Una ragazza così te la immagini a un ricevimento della buona società, a prendere lezioni di pianoforte, a passeggiare in qualche elegante giardino pubblico, scortata da una zia o da una governante. 

Enrica, invece, ha ingranato la marcia e imboccato la strada della vita a tutta velocità. Il liceo di Ferrara, il celebre Ariosto che ha sede accanto a casa, lo ha superato di slancio: due anni accorpati in uno e voti eccellenti.

Prima di scegliere le scienze, come una sorta di vocazione. Prima di partire per Firenze, la città che le darà tutto e poi le toglierà tutto. Che brivido, entrare in quella scuola. 

domenica 27 gennaio 2013

Giornata della Memoria 2013: ricordando Enrica

Ricordando Enrica Calabresi, con un articolo di qualche tempo fa di Beatrice Manetti, su Repubblica

Un nome, nient' altro che un nome. 

Nel 1933, quando fu allontanata dall'università di Firenze, dove lavorava da diciannove anni, Enrica Calabresi non era che un nome su un foglio di carta. Non era che un nome nel 1938, quando le leggi razziali le tolsero l' incarico all' università di Pisa e il posto di insegnante al liceo Galilei. Era solo un nome, uno fra i tanti, nella lista degli ebrei fiorentini che i tedeschi pretesero dopo l' armistizio del ' 43. 

E solo come un nome, sbagliato per di più, comparve per l' ultima volta il 1 febbraio 1944, nell' elenco dei morti pubblicato dalla rubrica di stato civile della «Nazione». Anche per Alessandra Sforzi, la giovane ricercatrice della Specola che mezzo secolo dopo ha ritrovato le sue tracce nelle collezioni entomologiche del museo, Enrica Calabresi non era che un nome. 

Eppure è da lì che tutto è cominciato. Un nome di donna in un mondo di uomini, una scienziata nell' Italia degli anni Venti, una docente universitaria in un' epoca in cui per le donne era un miracolo anche solo frequentarla, l' università. E' così che la curiosità è diventata passione, la passione ricerca e la ricerca un dovere. 

Di quel dovere si è fatto carico infine Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino, che ha setacciato archivi, cercato testimoni, intervistato ex allievi e parenti, per restituire a quel nome la sua storia, in un libro intitolato appunto Un nome e appena uscito per la Giuntina. Nella sua singolarità irripetibile, Enrica Calabresi è stata all' inizio per il suo biografo quell' "uno" che solo rende possibile comprendere l' enormità del genocidio degli ebrei. 

Una storia simbolo, che nella tragica consequenzialità delle sue tappe sembra poterle racchiudere tutte. Ma strada facendo la vita di questa donna timidissima e mite, che per tutta la vita ha usato il proprio talento come se non le appartenesse, ha cominciato a rivelare la sua eccezionalità. 

domenica 11 dicembre 2011

Non dimenticate il giardino dei Finzi Contini

Sono passati più  dieci anni fa dalla morte di Giorgio Bassani - per la verità pensavo che ne fossero passati anche di più, che non si fosse spinto fin sul ciglio del nuovo secolo, del nuovo millennio - e per me Bassani è soprattutto quel libro, quel giardino, quella storia.

Quante cose che è stato per me Il giardino dei Finzi-Contini.

Ferrara prima del 1938, gli anni del fascismo più roboante e parolaio a cui ancora non è stato presentato il conto. Ubriacatura di proclami, slavina di promesse che non saranno mantenute. La quiete prima della tempesta, assai peggiore della quiete dopo la tempesta.

Quella casa della borghesia ebrea, quelle mura che sembrano preservare dalle offese del tempo e della storia. Le partite di tennis, le merende all'aria aperta, la musica che gonfia le vele delle emozioni. Come se tutto fosse allo stesso modo di sempre. Come se anche il futuro dovesse bussare alla porta con discrezione e rispetto.

La bella Micòl, imprendibile per il ragazzo taciturno e introverso, quasi un intruso. I capelli di rame che si sciolgono come un sogno di felicità. Il sorriso che nasconde parole non dette, più enigma che complicità. Il lampo di una possibilità che rimane tale e che accompagnerà tutta la vita che rimane davanti. L'occasione perduta che non si ripresenterà.

E poi il rimpianto di un amore che non c'è stato che si mescola ai fatti troppo veri della storia. Perché questo è il libro che più di tutti mi parla dell'orrore della Shoah in realtà senza parlarne mai, fermandosi prima. Forse proprio per questo: perché accorda il terribile senso della sparizione allo scorrere delle stagioni della vita.

Non c'è bisogno di anniversari per ritrovare un libro che merita, magari abbandonato da troppo tempo su uno scaffale.

mercoledì 14 aprile 2010

Quel giardino della nostalgia, a Ferrara


Sono passati dieci anni fa dalla morte di Giorgio Bassani - per la verità pensavo che ne fossero passati anche di più, che non si fosse spinto fin sul ciglio del nuovo secolo, del nuovo millennio - e per me Bassani è soprattutto quel libro, quel giardino, quella storia.

Quante cose che è stato per me Il giardino dei Finzi-Contini.

Ferrara prima del 1938, gli anni del fascismo più roboante e parolaio a cui ancora non è stato presentato il conto. Ubriacatura di proclami, slavina di promesse che non saranno mantenute. La quiete prima della tempesta, assai peggiore della quiete dopo la tempesta.

Quella casa della borghesia ebrea, quelle mura che sembrano preservare dalle offese del tempo e della storia. Le partite di tennis, le merende all'aria aperta, la musica che gonfia le vele delle emozioni. Come se tutto fosse allo stesso modo di sempre. Come se anche il futuro dovesse bussare alla porta con discrezione e rispetto.

La bella Micòl, imprendibile per il ragazzo taciturno e introverso, quasi un intruso. I capelli di rame che si sciolgono come un sogno di felicità. Il sorriso che nasconde parole non dette, più enigma che complicità. Il lampo di una possibilità che rimane tale e che accompagnerà tutta la vita che rimane davanti. L'occasione perduta che non si ripresenterà.

E poi il rimpianto di un amore che non c'è stato che si mescola ai fatti troppo veri della storia. Perché questo è il libro che più di tutti mi parla dell'orrore della Shoah in realtà senza parlarne mai, fermandosi prima. Forse proprio per questo: perché accorda il terribile senso della sparizione allo scorrere delle stagioni della vita.

E se i decennali e gli altri anniversari servono a qualcosa, è giusto per ritrovare un libro abbandonato da troppo tempo su uno scaffale.

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