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martedì 17 aprile 2012

L'anarchico che andò a cercarsi la sconfitta

Falliti al principio d'estate i moti anarchici di  Spagna a San Lucar de Barramonda e a Cordoba, bandito da tutti gli stati d'Europa, che cominciava ad assestarsi, nemico ormai di quasi tutti i suoi antichi e nuovi compagni, ridotto senza risorse, nell'anno 1873 l'agitatore Michele Bakùnin si trovava rifugiato nella libera Elvezia, a Locarno, alla mercè della grazia di Dio, in cui non credeva.

Comincia così, con queste quattro righe impregnate di utopia e fallimento, un libro da tempo dimenticato ma che meriterebbe recuperare, e con esso la storia che racconta. Il diavolo di Pontelungo, questo il titolo, è opera di Riccardo Bacchelli, lo stesso che ha legato il suo nome al fluviale (proprio il caso di dirlo) Mulino del Po. E' la storia dell'ultima sconclusionata rivolta tentata nei dintorni di Bologna da Bakunin, il grande anarchico, il rivoluzionario ormai segnato da una vita errabonda di disastri e delusioni.

Più ancora che sulla storia il libro vive sull'emozione suscitata da un'idea al tramonto, generosa e sciagurata. Vive delle parabole di quanti a quell'idea si consacrarono, grandezza e miseria, dedizione e scempio. Vive soprattutto del carattere a tutto tondo di Bakunin, il russo che fece tremare i governi del mondo.

Nel libro entra come un pensionato della rivoluzione - uno sconfitto, non diverso in questo dall'Aureliano Buendia di Cent'anni di solitudine.

Materialista come un professore tedesco di quei tempi, fatalista come un russo d'ogni tempo, guardava l'uva trascolorata, il riflesso trascorrente, il cielo cordiale delle affabili alpi ticinesi....

E com'è bella la figura di questo sconfitto che va a cercarsi un'altra sconfitta, come il fiume che cerca il mare. Ci sono personaggi che sono il loro destino e quel destino è croce e delizia, condanna accettata con passo leggero, sogno che non molla.

giovedì 5 maggio 2011

Con i libri la seconda volta è un delitto

Attenzione a rileggere i libri che anni fa ci hanno fatto sognare....

In una bella intervista su Tuttolibri Massimo Carlotto racconta delle molte letture che lo hanno accompagnato nel periodo in cui, ingiustamente accusato, è stato in carcere. Libri che davvero hanno dato sostanza a quanto affermava, tra gli altri, anche Cesare Pavese:

La letteratura è in grado di rappresentare una difesa contro le offese della vita

E parla di uno dei libri che hanno segnato anche i miei giorni da ragazzo, Massimo Carlotto, e dice:

Mi aveva poi conquistato  "Cent'anni di solitudine" di Gabriel Garcìa Marquez che ho ripreso in mano di recente e ho trovato di una noia mortale

Noia mortale? Possibile?

Possibilissimo. Ed è per lo stesso motivo che quel libro non lo più nemmeno avvicinato, semmai insistendo a ripetere tra me e me frammenti di frasi ed emozioni, accarezzando magari l'idea di pagine come quella del colonnello (era colonnello?) Aureliano Buendia, con i suoi pesciolini e le sue trentadue (trentadue?) rivoluzioni fallite. Per lo stesso motivo nemmeno ai miei amatissimi libri di Emilio Salgari sono più voluto tornare, eh sì che sono ancora con me.

Con i libri che ci hanno fatto sognare, con i libri in cui siamo precipitati dentro, ne sono sicuro, non dobbiamo essere il postino che suona due volte. Non dobbiamo mai tornare sul luogo del delitto, per scoprirci colpevoli almeno almeno di un tradimento.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...