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sabato 27 luglio 2013

L'umiltà che guarda oltre la firma

Il reportage ha di solito molti autori ed è grazie a un'usanza invalsa nel tempo che firmiamo un testo solo con il nostro nome. In realtà si tratta forse del genere letterario più collettivo che esista, giacché alla sua nascita contribuiscono decine di persone: gli interlocutori incontrati sulle strade del mondo che ci raccontano la storia della loro vita o della società alla quale appartengono, oppure eventi ai quali hanno partecipato o di cui hanno sentito parlare da altri.

Così affermava Ryszard Kapuscinski, uno dei più grandi reporter del mondo, in una delle sue Conferenze viennesi. Parole che invito tutti a rileggersi, non solo coloro che fanno lo stesso mestiere di Ryszard.

Ci sono molti modi di esercitare la gratitudine e uno dei migliori è accettare il fatto che il nostro lavoro non è solo nostro. Piuttosto, è un lavoro di molti, a prescindere dai riconoscimenti, dai compensi, dalle responsabilità.

Ci sono i molti, insomma, dietro il lavoro di un singolo  con le loro parole, i loro gesti, i loro movimenti.

Peccato che questa gratitudine, che è anche esercizio di umiltà, sia cosa di pochi.  Peccato perché non è solo un'esercizio di umiltà. Questa gratitudine fa anche bene.

giovedì 17 gennaio 2013

Sorpresa, il grande Kapu era anche poeta

Lo conoscevo come un grandissimo reporter dal mondo, autore di alcuni dei libri di viaggio più belli pubblicati in questi anni. Non sapevo che fosse anche poeta, anche se in realtà avrei dovuto aspettarmelo: i suoi viaggi, i suoi reportage, non prescindono mai dallo sguardo, dal bagaglio - leggero o pesante che sia - delle emozioni: ingredienti imprescindibili per chi cucina poesia. Non lo sapevo, ripeto. Ma l'altro giorno mi sono imbattuto in questa poesia  di Ryszard Kapuscinski: bellissima. Non potrò che cercare le altre. 

IL POETA ARNOLD SLUCKI IN VIA NOWY SWIAT

Prima
di andarsene per sempre
a Gerusalemme
camminava per via Nowy Swiat
guardava senza vedere niente
un vecchio cappotto senza un bottone
la fronte sempre sudata

le tasche piene di poesie

le tirava fuori una dopo l’altra
davanti a un portone
me le metteva in mano
e me le faceva leggere

È buona?
Non è buona

Dispiaciuto
prendeva la successiva
la quinta la decima

Alla fine trasse di tasca una colomba
E questo cos’è? domandai


Non lo vedi?
La mia ultima poesia!
Non sai che un uccello è una poesia?
Poesia che vola?

sabato 7 luglio 2012

Il reporter di guerra che non raccontava di eroi

Il giornalismo, spiega David Randall nel suo splendido Tredici giornalisti quasi perfetti (Contromano Laterza), è infestato di invidia professionale non meno di qualsiasi altra attività professionale che si svolga all'insegna di un'insicurezza cronica. E certo non dovette essere poca l'invidia che si attirò su di sé Richard Harding Davis, cronista puro e principe dei corripondenti di guerra americani.

Era bravo, Davis, e soprattutto non piegò le sue capacità a interessi di parte o peggio ancora a calcoli personali. Quanto vedeva, raccontava. Anche nel corso di quella guerra con cui gli Stati Uniti, alla fine dell'Ottocento, strapparono Cuba alla Spagna. La stessa in cui William Randolph Hearst, il potente magnate della stampa americana, pare abbia detto a Frederic Remington, il fotografo che accompagnò lo stesso Davis: Tu procura le immagini, io procurerò la guerra.

Davis la guerra la raccontò. Nella sua insensata crudeltà: guerra non di eroi, ma di uomini che subiscono il destino. E valgano per tutti queste parole:

Un certo numero di granate e proiettili è passato in uno spazio e uomini di differente stazza hanno bloccato quello spazio in differenti punti. Se un uomo si trovava nella traiettoria di un proiettile, era ucciso e spedito al creatore, lasciando una moglie e dei figli, forse, a piangerlo. "Papà è morto", diranno questi figli, "facendo il suo dovere". In realtà il papà è morto perché si è alzato nel momento sbagliato, o perché si è girato a chiedere un fiammifero all'uomo alla sua destra, anziché piegarsi alla sua sinistra, e ha proiettato la sua mole di novanta chili là dove un proiettile, sparato da un uomo che non lo conosceva e non aveva puntato contro di lui, si è trovato a pretendere il suo diritto di precedenza. Uno dei due doveva cedere e, poiché il proiettile, non ha voluto saperne, il soldato ha avuto il cuore sfracellato.

sabato 16 giugno 2012

Il reportage lo firmo io, ma è di tanti

Ci sono molti modi di esercitare la gratitudine e uno dei migliori è accettare il fatto che il nostro lavoro non è solo nostro. Piuttosto, è un lavoro di molti, a prescindere dai riconoscimenti, dai compensi, dalle responsabilità.

Ci sono i molti, insomma, dietro il lavoro di un singolo  con le loro parole, i loro gesti, i loro movimenti.

Peccato che questa gratitudine, che è anche esercizio di umiltà, sia cosa di pochi. Gli altri farebbero bene a rileggersi cosa affermò Ryszard Kapuscinski, uno dei più grandi reportere del mondo, in una delle sue Conferenze viennesi:

Il reportage ha di solito molti autori ed è grazie a un'usanza invalsa nel tempo che firmiamo un testo solo con il nostro nome. In realtà si tratta forse del genere letterario più collettivo che esista, giacché alla sua nascita contribuiscono decine di persone: gli interlocutori incontrati sulle strade del mondo che ci raccontano la storia della loro vita o della società alla quale appartengono, oppure eventi ai quali hanno partecipato o di cui hanno sentito parlare da altri.

E non è solo un'esercizio di umiltà. Questa gratitudine fa anche bene.

venerdì 16 marzo 2012

L'Africa abitata col cuore di un grande reporter

L'avevo già letto, ma qualche tempo fa lo sguardo mi è di nuovo scivolato sullo scaffale che accoglie i libri del grande Kapuscinski. Prenderlo, sfogliarlo e lasciarmi catturare dalle sue pagine, ancora una volta, è stato un attimo.

Ebano, sono convinto, è il più bel libro di questo straordinario giornalista viaggiatore, di questo uomo che i luoghi della terra non si è limitato ad attraversarli e a raccontarli, perché prima li ha voluto abitare, con il corpo, con il cuore, con l'anima.

Inviato speciale che non frequentava gli alberghi di lusso, le cittadelle del privilegio, gli appuntamenti mondani dove è facile scroccare oppure mettere tutto in nota spese.

Inviato in quanto uomo che viveva la stessa vita di coloro dei quali si intende poi scrivere.

In Ebano c'è tutta l'Africa, c'è tutto questo immenso continente bellissimo e dolente. Sembra avvertirne il canto, sembra cogliere il sangue che pulsa nelle sue vene.

Queste non sono solo parole. Consigliatissimo.

venerdì 1 aprile 2011

Inviato speciale in compagnia di Erodoto

Ryszard Kapuscinski, si sa, è stato un grande giornalista, un grande reporter, ma anche molto di più, perché ci ha insegnato il viaggio come stupore, come modo per perdere le proprie certezze confrontandole con quelle altrui.

La sua è la storia incredibile di un uomo nato in una sperduta cittadina della Bielorussa, che per le combinazioni della vita diventa l’unico corrispondente in Africa dell’agenzia di stato polacca. E comincia così uno straordinario cammino di libertà e scoperta.

Una volta provò a definirsi non giornalista, ma traduttore: traduttore non da una lingua all’altra ma da una cultura all’altra.

Diceva che ogni suo libro era un atto di riconoscenza per un destino che gli aveva permesso di vedere, sentire, toccare con mano tante cose.

Dopo Ebano, qualche tempo fa mi è capitato di riprendere in mano In viaggio con Erodoto, un altro libro di questo grande "giornalista viaggiatore" che è insieme una finestra sul mondo, una lezione di etica, una dichiarazione di amore per la varietà delle storie e delle culture, un dialogo con se stesso. Ma anche un confronto con il compagno di viaggio che ha accompagnato il nostro fin da quando, giovane senza arte nè parte cresciuto nella grigia Polonia socialista, ha avvertito impellente la necessità di guardare cosa c'era oltre la frontiera: Erodoto, appunto.

Già, perché questo antico greco non fu solo e semplicemente uno storico, fu l'uomo che non si accontentò di quanto gli dicevano altri, che piuttosto volle andare a vedere e toccare con mano.

Erodoto, primo reporter della storia. Erodoto al fianco di Kapuscinski e di quanti, ancora oggi, sono consapevoli che "se non si va, non si vede".

lunedì 3 gennaio 2011

L'inviato speciale fatto fuori dalla velocità

Oltre al mito del giornalista vaggiatore si è (quasi) volatilizzata anche la figura del reporter che si immerge nella realtà in cui è stato catapultato.
Una volta ne aveva il tempo. Restava settimane o mesi sul posto. Oggi la velocità implica anche la fretta

E' dedicato alla "professione reporter", l'ultimo numero del Venerdì di Repubblica. E sono in particolare riflessioni come queste di Bernardo Valli che suonano come una sorta di campana a morto per l'inviato speciale, per il corrispondente di guerra, per il giornalista che, in ogni caso, partiva e arrivava lontano, per raccontarci luoghi ed eventi del mondo, professionista che ci metteva a disposizione il suo sguardo, la sua parola, la sua curiosità, la sua voglia di capire.

Che ne rimane, ora, nel mondo della fretta, dei bilanci in rosso dei giornali, delle nuove tecnologie?

Un tempo il reporter doveva trovare la notizia, oggi la notizia viaggia con lui, ricorda Valli. Se va bene, viaggia con lui.

E quante cose che sono cambiate, in questo senso, anche per chi ama i libri di viaggio, perchè è indubbio che una bella fetta di libri di viaggio sono opera proprio di giornalisti, grandi giornalisti che si trovavano più a suo agio in una capitale straniera o su una linea del fronte che sulla sedia di una redazione. Da Indro Montanelli a Tiziano Terzani, da Luigi Barzini a Oriana Fallaci. Ve li immaginate ancora nell'epoca del turismo di massa?

Però... però... anche Bernardo Valli alla fine apre più di uno spiraglio sul futuro del caro vecchio reporter:


Ha perduto da tempo il talismano della notizia, ma ha conservato quello più sofisticato, più prezioso, dell'analisi della notizia. 

E quello del racconto. Gli è riservato un compito meno popolare, ma più essenziale. Che non richiede tanto l'educazione delle scuole di giornalismo, quanto un'esperienza che non dipenda dal teleschermo e dalla memoria informatica. Ma di qualcosa di più vivo. Di più autentico

domenica 16 agosto 2009

Erodoto, professione reporter

More about In viaggio con ErodotoKapuscinski, si sa, è stato un grande giornalista, un grande reporter, ma anche molto di più, perché ci ha insegnato il viaggio come stupore, come modo per perdere le proprie certezze confrontandole con quelle altrui.

La sua è la storia incredibile di un uomo nato in una sperduta cittadina della Bielorussa, che per le combinazioni della vita diventa l’unico corrispondente in Africa dell’agenzia di stato polacca. E comincia così uno straordinario cammino di libertà e scoperta.

Una volta provò a definirsi non giornalista, ma traduttore: traduttore non da una lingua all’altra ma da una cultura all’altra.
Diceva che ogni suo libro era un atto di riconoscenza per un destino che gli aveva permesso di vedere, sentire, toccare con mano tante cose.

Dopo Ebano, in questi giorni mi è capitato di riprendere in mano In viaggio con Erodoto, un altro libro di questo grande "giornalista viaggiatore" che è insieme una finestra sul mondo, una lezione di etica, una dichiarazione di amore per la varietà delle storie e delle culture, un dialogo con se stesso. Ma anche un confronto con il compagno di viaggio che ha accompagnato il nostro fin da quando, giovane senza arte nè parte cresciuto nella grigia Polonia socialista, ha avvertito impellente la necessità di guardare cosa c'era oltre la frontiera: Erodoto, appunto.

Già, perché questo antico greco non fu solo e semplicemente uno storico, fu l'uomo che non si accontentò di quanto gli dicevano altri, che piuttosto volle andare a vedere e toccare con mano.

Erodoto, primo reporter della storia. Erodoto al fianco di Kapuscinski e di quanti, ancora oggi, sono consapevoli che "se non si va, non si vede".

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