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domenica 20 maggio 2018

In un'isola greca, perché arenarsi è un'arte

Ci sono libri che ti regalano l'emozione del viaggio anche quando non riguardano posti che solleticano la tua voglia di partire, perché sanno farsi luogo dell'anima a prescindere. E così è per le isole della Grecia che scopro nelle pagine di Paolo Ganz: è dai tempi dell'università che non cerco un volo o un traghetto per raggiungerle, quando qualcuno ne parla provo a esercitare l'arte del distacco, eppure cosa può fare un libro, un bel libro.

E questo è La Grecia di isola in isola di Paolo Ganz (Ediciclo), un libro bello, un libro che sa di Mediterraneo e che del Mediterraneo porta il vento, gli odori, il rumore della risacca, soprattutto la luce. Un libro che va oltre i luoghi comuni, i resoconti da supplemento viaggi di quotidiano, la facile seduzione per adescare gli eserciti di vacanzieri.

Qui c'è molto altro, c'è la Grecia di un viaggiatore vero, c'è la parola meditata su libri importanti, colta sulla linea dell'orizzonte o tra le voce di una caffetteria, filtrata e fermata su un taccuino. Parole che rimandano a letture, a miti, a pensieri. E che dilagano fino a tornare alle sorgenti della nostra civiltà o a interrogarsi su ciò che può essere l'Europa oggi, un'Europa che non necessariamente è quella che si ha per la testa Berlino o Parigi: perché questo è il Mediterraneo, il mare che va in Africa.

Da  Rodi, con la sua storia così intrecciata alla nostra, a Megisti, che non è solo il set di uno dei film più fortunati del cinema italiano. Da Corfù, per alcuni studiosi dell'Odissea la terra dei Feaci, fino a Matala, la spiaggia di Creta che non è più degli hippie ma dove ancora sembra risuoni una canzone di Joni Mitchell.

Paolo Ganz salta di isola in isola e ovunque ci sono storie e oltre le storie c'è una storia che scava dentro e riguarda tutti: perché arrivare e partire, di isola in isola, in fondo riguarda tutti.

Arenarsi è un arte - spiega a un certo punto Paolo - un dono di pochi capaci di lasciarsi andare all'agrodolce piacere di non riuscire più a salpare.

Ecco, in queste pagine vien voglia di essere una di quelle barche, che si arrendono al fondale e al destino. Senza partire più, per un pezzo almeno. Stranieri e cittadini in una di queste isole: con un canto di Omero e un bicchiere di ouzo a tenere compagnia. 

martedì 13 giugno 2017

Quando la storia del Mediterraneo è appassionante come un romanzo

E meno male che era considerato solo il grande storico del Mediterraneo del Cinquecento e del Seicento, di altre epoche non si sa. Meno male che lui stesso aveva dubitato di quello che stava facendo, tanto che il manoscritto, dopo alcune vicissitudini editoriali, non era stato pubblicato, anzi, era rimasto in un cassetto per i dieci anni successivi alla sua morte. Cosa avremmo perso se alla fine non avesse trovato la strada della pubblicazione.

Memorie del Mediterraneo di Fernand Braudel (Bompiani) è assai più di un ottimo saggio storico. Non è l'opera di uno specialista per specialisti. Si raccomanda per la lettura a tutti coloro che sentono il richiamo di un mare che - come indica lo stesso nome - è spazio tra terre diverse dove tante civiltà hanno conosciuto prosperità e declino.

Lettura buona per chi ama capire cosa rimane oltre i singoli eventi e per chi sa che c'è una storia oltre l'odore della salsedine, la rosa dei venti, le merci accatastate sui moli e i sapori delle cucine: di più, che proprio queste cose fanno la storia.

E la storia che Braudel racconta abbraccia con un poderoso colpo d'occhio i secoli e i millenni. Parte dall'inizio, dal mare che non è ancora mare, per raccontare poi i tanti popoli che questo mare lo hanno solcato, dai cretesi ai fenici, dagli etruschi ai greci e ai romani.

E quante sorprese in queste pagine, quanti punti fermi che lo storico fissa a uso e consumo del nostro presente.

Per esempio, sullo spazio e sul tempo, perché il Mediterraneo, spiega Braudel, non si è mai rinchiuso nella propria storia, ma ne ha rapidamente superato i confini: a ovest verso l'oceano Atlantico; a est attraverso il Vicino Oriente... Oltrepassato l'ultimo olivo, la vita e la storia del Mediterraneo non si interrompono solo per far piacere al geografo, al botanico, allo storico.

E poi il Mediterraneo è mare di scambi, di mescolanze, di appartenenze sfumate e confuse, a volta esse stesse fonte di equivoci. Allo stesso modo con cui la vela triangolare che noi chiamiamo latina ci arriva dall'oceano Indiano ed è regalo dell'Islam.

Il Mediterraneo è storia di potenti flussi migratori - mica solo ora  - è storia di popoli che hanno passato il mare e hanno cominciato un'altra vita su un'altra sponda, come i coloni delle città greche in Sicilia e in Calabria. Carestie, invasioni, massacri, ma poi una storia che si distende, dopo la tragedia.

E' mare dove le civiltà più belle e affascinanti - a volte anche le più misteriose - sono state quelle più aperte allo scambio, meno tenacemente dedite al mestiere della guerra. Dagli ittiti che non manifestano la crudeltà guerriera di tutta un'epoca ai minoici di Creta, con i loro palazzi senza difese, agli etruschi, con i sorrisi enigmatici della loro arte.

Ci sono simpatie, ci sono emozioni, in questo libro appassionante come un romanzo. Non le nasconde, Braudel, le rivel,a ci gioca, se ne fa forte:

Queste passioni contraddittorie sono la fiamma di cui si nutre la storia, quella che ci viene raccontata e quella che a nostra volta cerchiamo di comprendere. Come si potrebbe non soffrire, o non entusiasmarsi cammin facendo, anche se è un peccato contro le sacrosante regole dell'imparzialità?

 Concordo. E anch'io, in queste pagine, mi sono sentito ittita, cretese, etrusco, nomade del mare

mercoledì 12 aprile 2017

Creta e l'uomo in cammino, quando un'isola diventa luogo del cuore

Raccogli un sasso sulla spiaggia più a est, lo infili in tasca e inizi il tuo cammino. Nei trenta giorni che seguono non si contano le volte in cui lo tocchi, anzi, lo accarezzi, lasciando scivolare le tue dita lungo la superficie liscia: solo per sincerarti di non averlo perso. Solo per poter arrivare in fondo - al mare più a ovest, quello che guarda la Libia - e lasciarlo cadere dietro di te.

Un gesto così, ma sono gesti così che danno anima a un viaggio. Come un rito che segna l'inizio e la fine. Poi, in mezzo, ci sono le altre cose: e quante ce ne sono in Rapporto a Kazantzakis di Luca Gianotti (Edizioni dei Cammini), uomo che come pochi ha indagato le infine possibilità del cammino.

C'è tutta Creta, prima di tutto, attraversata da Est a Ovest lungo un sentiero che magari non sarà per tutti, ma di cui tutti, già in questre pagine, possono percepire la straripante bellezza, l'indicibile suggestione. Ci sono montagne che sembrano toccare il cielo e squarci di azzurro giù in basso. Ci sono chiese e monasteri di un altro cristianesimo, fatto di liturgie e vicende che non sono le nostre, ma con le nostre sono intimamente intrecciate. C'è l'Oriente e c'è l'Occidente, in mezzo al Mediterraneo. C'è  l'odore della salsedine che si  mescola ai molteplici odori della macchia mediterranea. Ci sono i  paesi e i villaggi dove la gente sa ancora trattare il viandante come un ospite e accoglierlo con generosità. Ci sono gli incontri, i tanti incontri, di un camminatore che come sa abitare con agio la sua solitudine così sa aprirsi, ricevere, restituire.

Quante cose, davvero, soprattutto se ti fai accompagnare dalle parole di uno scrittore che in Italia meriterebbe di essere conosciuto di più e comunque non solo per Zorba il greco: che peraltro è un grande romanzo prima di essere un film con la colonna sonora che ha lanciato il sirtaki.

Nikos Kazantzakis, insomma: e chissà che a tenercelo lontano non sia stato questo cognome così ostico. Scrittore complesso, inquieto, uomo in ricerca come in fondo lo sono i viandanti. Quando scrisse la sua autobiografia la intitolò Rapporto a El Greco, richiamando il pittore dallo sguardo cretese. A sua volta Luca, che ha scoperto Creta come luogo del cuore,ora  fa il suo rapporto a Nikos, lo scrittore.

Come un discepolo che segue le orme del maestro. Ancora incapace di convincersi di tanta meraviglia. 

mercoledì 23 ottobre 2013

Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito

Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito.

Così Harry Quebert, celebre scrittore americano accusato di un terribile delitto, spiega a Marcus Goldman, suo giovane amico che farà di tutto per discolparlo. Frase che si legge in una delle ultime pagine di La verità sul caso Harry Quebert di Joel Dickert  (Bompiani) - la cui trama, ovviamente, non vi racconterò. Frase che, fuori dal contesto narrativo, tutto sommato vale anche per questo libro.

Non che l'ultima pagina mi abbia provocato particolari rimpianti, a dire il vero. Anzi, dopo essermi tuffato con grande piacere, dopo aver nuotato a lungo e vigorosamente, verso la fine mi sono ritrovato in debito di ossigeno.

Succede con i cosiddetti casi editoriali. La verità è stato il best-seller dell'estate - mi ricordo che in vacanza a Creta ne ho visto anche due o tre copie intorno ai bordi di una piscina - e questo in genere per me solitamente rappresenta un invito alla prudenza - e all'attesa.

Succede con i casi editoriali, che quasi sempre non sono dei capolavori. E anche questa volta non tutto fila per il verso giusto: qualche ingenuità nella trama, qualche dialogo che proprio non funziona, dei personaggi che non sempre convincono. Come ho letto in un commento: Dickert è come un campione in erba, che ancora deve dimostrare tutte le sue qualità. Vedremo.

Però lo volevo, il giallone, volevo tuffarmi, appunto, e rilassarmi in una lettura che non indugia, non approfondisce, gode nello scoprire cosa succede e nell'andare incontro all'epilogo. E mi è piaciuto, come no.




martedì 24 settembre 2013

Mani, libro perfetto per chi sogna la Grecia

Sono le cose strane dell'editoria: nel giro di un niente Bruce Chatwin viene tradotto in Italia e diventa un autore di culto (oggi un po' meno), oggetto della venerazione di tutti gli appassionati di letteratura di viaggio; lo stesso non succede con Patrick Leigh Fermor, altro scrittore viaggiatore inglese, a mio parere ancora più grande e autentico di Chatwin, in ogni caso maestro e amico di quest'ultimo. Poco importa che Chatwin debba molto a Fermor: siamo ancora alle prese con il  Che ci faccio qui? del primo e trascuriamo il secondo.

C'è modo di rimediare. Cominciando magari con Mani, forse il libro più bello di questo singolare inglese che percorse interi continenti a piedi. Mani, cioé uno dei più aspri e inaccessibili lembi di Grecia, penisola del Peloponneso che penetra nell'Egeo. Roccia e mare e popoli antichi che non hanno mai ceduto di un palmo dinanzi a qualsiasi esercito che ha provato ad assoggettarli. Un mondo a parte.

Perfetto da leggere in un viaggio in Grecia - io l'ho divorato a Creta. Perfetto per chi comunque sogna questa terra che, volenti o nolenti, fa parte della nostra storia e prima ancora del mito che ci ha reso ciò che siamo. Perfetto per abbandonarsi alla luce e alle ombre del Mediterraneo, per cullarsi ai venti che rendono meno torride le estati, per respirare gli odori della macchia mediterranea e della salsedine. Perfetto per abbracciare le storie che arrivano da lontano e ancora ci appartengono - ereditate con le parole di Omero e di tutti gli altri.

E poco importa se anche la Grecia di Fermor non è più la nostra Grecia... o forse sì, se anche a noi, come a Fermor, capiterà in dono di incantarsi, ascoltando due pastori parlare come saggi di Bisanzio o guardando un cameriere indicare l'isola di cui raccontò Omero. 

mercoledì 13 marzo 2013

I viaggi e gli altri viaggi di Antonio Tabucchi

Nati dalle occasioni più diverse, sempre da viaggi ma mai da viaggi fatti per poi diventare letteratura di viaggi, questi testi vagavano come isole in un arcipelago fluttuante....

E' così che Antonio Tabucchi presenta il suo Viaggi e altri viaggi (Feltrinelli), raccolta di articoli, memorie, scritti vari legati al suo peregrinare per il mondo e in genere al grande dono che gli ha fatto la vita, ovvero la possibilità di abitare molti altrove, dall'India a Creta, dall'Australia al Portogallo.

Si tratta del primo libro che ho avuto modo di leggere o rileggere dopo la sua morte, mettendo inevitabilmente in conto un crampo di nostalgia. Libro diseguale, tra l'altro, che contiene pagine più o meno felici, di diverso valore e di diverso coinvolgimento emotivo. Però un libro a suo modo necessario, non fosse altro che per abbracciare con un solo colpo d'occhio queste isole in un arcipelago fluttuante,  isole, forse, a loro modo alla deriva.

E quindi per condividere la consapevolezza che fu di Tabucchi, oltre i viaggi che qui sono raccontati.

Ma forse mancano i viaggi più straordinari. Sono quelli che non ho mai fatto, quelli che non potrò mai fare. Restano non scritti, o chiusi in un loro segreto alfabeto sotto le palpebre, la sera. Poi arriva il sonno, e si salpa.




lunedì 8 agosto 2011

Quella straordinaria alba sui monti di Creta

Gli azzardi della guerra mi avrebbero fatto approdare in mezzo ai dirupi di Creta, durante l'occupazione, insieme a una banda di guerriglieri cretesi e a un generale tedesco che avevamo portato con noi tra le montagne, dopo averlo preso in ostaggio con un'imboscata tre giorni prima.


La guarnigione tedesca dell'isola era impegnata in una caccia spasmodica, ma per fortuna mal diretta. Furono giorni pieni di ansia e pericoli, e per il nostro ostaggio di sofferenza e angoscia. 


Durante una pausa nella caccia, ci svegliammo tra le rocce proprio mentre sulla cresta del Monte Ida spuntava un'alba straordinaria. Avevamo arrancato su per questa montagna negli ultimi due giorni, con la neve prima e poi con la pioggia. Guardando attraverso la vallata alla sua fiammeggiante cresta, il generale mormorò tra sè


Vides ut alta stet nive candidum
Soracte...


Era uno dei brani che conoscevo! Continuai da dove lui si era interrotto:

.... nec iamo sustineant onus
silvae laborantes, geluque
flumina constiterint acuto...


e via dicendo, fino alla fine, per le rimanenti cinque stofe.


Gli occhi azzurri del generale si erano spostati dalla cima della montagna ai miei - e quando finii, dopo un lungo silenzio, disse: "Ach so, Herr Major!". 


Era molto strano. Come se, per un lungo attimo, la guerra avesse cessato di esistere. 

Avevamo bevuto entrambi alle stesse sorgenti molto tempo prima; e tutto fu diverso tra noi per il resto del tempo passato insieme.



(da Patrick Leigh Fermor, Tempo di regali, Adelphi)

sabato 4 giugno 2011

Se è Omero che potrà salvarci

La guerra, per un attimo, era sembrata lontanissima. Molto tempo prima, avevamo bevuto alla stessa sorgente....

Che straordinaria occasione nel bel mezzo del massacro, quel giorno sotto il sole di Creta,  lo sguardo a scendere giù per le rocce fino al mare che era stato lo stesso mare di Odisseo. Il generale nazista e l'uomo che lo ha fatto prigioniero. E in mezzo una manciata di versi che arrivano dal mondo classico e che, per un istante, segnano la possibilità di una tregua.

E' con questo ricordo da Tempo di regali di Patrick Leigh Fermor (Adelphi) che comincia una bellissima pagina su Tuttolibri di Silvia Ronchey, titolo Omero, solo tu ci salverai. Dice, Silvia Ronchey:

L'antico sospende il tempo, l'eterno sconfigge la storia
Il classico, spiega Silvia Ronchey, sconfigge quelle che Braudel chiamava le increspature di superficie, le mode passeggere, gli appetiti più o meno devastanti, gli eventi che sembrano cambiare tutto e che invece svaniscono, lasciando quello che c'era prima.

Per Marguerite Yourcenar amiamo il passato perché è il presente sopravvissuto nella memoria dell'umanità. Per Walter Benjamin un classico è tale e resiste lungo i secoli poiché in qualunque tempo sia stato scritto usa sempre la lingua del presente.

Dice ancora Silvia Ronchey:

I veri classici non fuggono, sfidano e sono sempre pericolosi. Un classico è sempre eversivo, sempre trasgressivo, sempre anticonformista... Non ha quindi senso chiederci se i classici antichi abbiano un futuro. Pe definizione, ci aiutano a scavalcare il presente, le sue effimere ideologie, i suoi dibattiti, gli schemi del nostro pensare. E in questo senso ci avvicinano, più ancora che al passato - a noi in effetti sempre inconoscibile - al futuro. 

Non  so se ne sono completamente convinto, ma anch'io voglio crederci


La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...