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lunedì 5 gennaio 2015

Il selvaggio che ci restituisce a noi stessi

Vivo a Cambridge, con qualche pausa, da una decina d'anni e presumo che continuerò a farlo negli anni futuri. E finché ci vivrò sono anche certo che sentirò l'urgenza di recarmi nei luoghi selvaggi.

Sostituisco Firenze a Cambridge, ed ecco, sento come mie queste parole, che compaiono quasi all'inizio dello splendido Luoghi selvaggi di Robert Macfarlane (Einaudi), libro che credo possa soddisfare l'immaginario di ogni uomo di città che, pur rimanendo intimamente e irrimediabilmente cittadino, sa che potrà ritrovare se stesso solo nella tensione verso ciò che non è città. Meglio, verso ciò che si attesta agli antipodi della città in quanto aspirazione ai luoghi più incontaminati, non segnati dalla presenza dell'uomo.

Mica semplice. Perché è vero ciò che afferma Robert Macfarlane:

Chiunque abiti in una città avrà ben presente quella sensazione di esserci stato per troppo tempo.... 

Però dove trovare il luogo selvaggio nel nostro mondo che anche dove non è stato inquinato e cementificato è stato comunque addomesticato? Che sia la campagna inglese come quella toscana....

E invece sì, è possibile. Almeno è possibile crederci, con la forza di queste pagine che raccontano lunghi e sorprendenti vagabondaggi tra isole e vette, brughiere e foreste.

Giusto per scoprire che si possono disegnare altre mappe, dove ciò che è messo in evidenza non siano i centri abitati e le strade - e perché poi dovremmo pensare che sia questa l'unica lettura di un territorio? Giusto per restituirci quel senso di lontananza che le automobili e i treni, per non dire degli aerei, hanno soppresso.

Per capire che anche nel paese più curato e civile il selvaggio può rispuntare a sorpresa - anche a un chilometro dalla casa dove abbiamo sempre abitato - e restituirci di nuovo a noi stessi. 

mercoledì 2 aprile 2014

Newton e il suo gatto, che ingrassava molto

Newton era un uomo estremamente solitario; visse tutta la sua vita al Trinity College di Cambridge, dove è ancora conservata la stanza in cui lavorava. Era entrato nel college con lo status degli studenti poveri che dovevano servire i compagni di studi.

Newton non viveva in un mondo come il nostro, ma in un mondo dove le diseguaglianze erano molto più forti. Tra i compiti di Newton c'era quello di pulire le calzature dei suoi colleghi e di vuotare i loro pitali tutte le mattine. Come si può facilmente immaginare, si trattava di compiti piuttosto umilianti e, di certo, lui li visse così.

Era un uomo estremamente difficile di carattere, ma dedito agli studi e alla ricerca con un'intensità sconosciuta ai suoi contemporanei, al punto che su questo aspetto della sua vita circolavano aneddoti: quando per esempio Newton avviava l'esame di un problema, o si era messo a scrivere qualcosa, il suo gatto ingrassava molto, perché Newton smetteva di mangiare. 

(Paolo Rossi, Newton e la rivoluzione scientifica, La Biblioteca di Repubblica)

sabato 3 novembre 2012

Quella volta in un posto come l'Happy Bar

Accanto all'Happy Bar, giusto dietro l'angolo, qualche giorno fa una sala scommesse ha preso il posto di un barbiere d'altri tempi, che era lì almeno da quando in centro arrivavo a cavalluccio sulle spalle di mio padre. 

Già, non solo banche e immobiliari: anche le sale scommesse proliferano in questa città, sarà che rimane solo il gioco a cui aggrapparsi, dopo che le banche e le immobiliari, appunto, ti hanno spolpato.

Alle banche e alle immobiliari preferisco senz'altro le sale scommesse. Mi dispiace per quella bottega, con i suoi sedili in similpelle, l'odore di borotalco e di lozione, i calendari con le donnine accanto agli specchi, però questo posto non è male per la libera uscita del pomeriggio.

Ne approfitto ora, col seguente programma: due passi, caffeino, ancora due passi per sgranchirmi le gambe, quindi schedina scelta a caso tra i tanti concorsi che lo Stato-lotteria propone nella sua immensa benevolenza.

domenica 16 settembre 2012

Scommesse e tipini fini accanto all'Happy Bar

(da Paolo Ciampi, Di diverso parere, Romano editore.... che presenterò per la prima volta giovedì 20 settembre, ore 21, alla Nardini Bookstore di Firenze)


Accanto all'Happy Bar, giusto dietro l'angolo, qualche giorno fa una sala scommesse ha preso il posto di un barbiere d'altri tempi, che era lì almeno da quando in centro arrivavo a cavalluccio sulle spalle di mio padre.

Già, non solo banche e immobiliari: anche le sale scommesse proliferano in questa città, sarà che rimane solo il gioco a cui aggrapparsi, dopo che le banche e le immobiliari, appunto, ti hanno spolpato.

Alle banche e alle immobiliari preferisco senz'altro le sale scommesse. Mi dispiace per quella bottega, con i suoi sedili in similpelle, l'odore di borotalco e di lozione, i calendari con le donnine accanto agli specchi, però questo posto non è male per la libera uscita del pomeriggio.

Ne approfitto ora, col seguente programma: due passi, caffeino, ancora due passi per sgranchirmi le gambe, quindi schedina scelta a caso tra i tanti concorsi che lo Stato-lotteria propone nella sua immensa benevolenza.

Tento con cinque estrazioni del Win for Life. Già che ci sono azzardo anche con un Gratta e Vinci da tre euro. Mi piacevano più quelli di prima, più semplici, più popolari, mica come ora che sono così arzigogolati che c'è da preoccuparsi per un'imperdonabile distrazione, orrore, orrore, gettato via il tagliando milionario, orrore, come una perla ai porci, orrore, pensare che capita una sola volta nella vita, se capita...

Mi piacevano di più, ma fa lo stesso, lo prendo, mi cerco un angolino tutto per me, gratto e qualcosa in effetti vinco: venti euro, mica poco di questi tempi.

Bello bello passo all'incasso. Non so se si vede, ma sono senz'altro soddisfatto, più di quanto giustifichi l'entità della vincita. È una soddisfazione che non ha niente a che spartire con i numeri. Riguarda la qualità, la sensazione più unica che rara di stare per una volta dalla parte del vincitore.

Non capita mai, per cui questa volta ben volentieri allungo la mano sul banco.

Uno dei due proprietari dietro, giovincello tracagnotto che presumo non abbia studiato alla Bocconi, ghermisce il tagliando e non mi degna di un'occhiata. È tutto preso dalla sua discussione con un tipo al mio fianco, altro figurino da Oxford, o piuttosto da Cambridge, a scelta: «Ho mandato via ora tre cinesi, non mi garbavano, chiamo la polizia, gli ho detto, finite dentro in cinque minuti, gli ho detto»

E il figurino da Oxford, o piuttosto da Cambridge, a scelta: «Perché non bruciarli? Con quanti ce ne sono ci si riscalda una vita»

E ride, come la battuta più irresistibile da un pezzo a questa parte. Ride sganasciandosi il proprietario tracagnotto. Ridono sgangherati due vecchietti, finora tutti presi a compilare un sistema del Superenalotto.

Non ride solo il peruviano alla slot-machine, che la testa nemmeno la solleva, anzi, se possibile la spalma ancora di più alla macchinetta ingoia soldi, mentre infila altre monete.

Io me ne rimango fermo e zitto, rintanato nel silenzio dei conigli. Per non deprimermi provo a spacciarla per paralisi da sdegno, giuro a me stesso che qui dentro non rimetterò più piede, cascasse il mondo.

 Allungo il tagliando sul banco, incasso il ventino, giro i tacchi, esco.

Il lavoro mi aspetta, un lavoro di cui farei volentieri a meno.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...