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domenica 6 ottobre 2013

In Grecia, ospitalità prima di chiedere il nome

Molte cose in Grecia sono rimaste immutate dai tempi dell'Odissea, e forse la più notevole è l'ospitalità verso gli stranieri; più una regione è remota e montuosa, minore è il cambiamento a questo riguardo.

L'arrivo a un villaggio o a un cascinale non è molto diverso da quello di Telemaco al palazzo di Nestore a Pilo e di Menelao a Sparta - così vicino, a volo d'uccello, a Vathia - o dello stesso Odisseo, guidato dalla figlia del re alla reggia di Alcinoo. 

Non esiste descrizione migliore del soggiorno di uno straniero presso la dimora di un pastore greco di quella di Odisseo travestito quando entra nella capanna del porcaio Eumeo a Itaca. 

C'è ancora la stessa accettazione senza domande, l'attenzione ai bisogni dello straniero prima ancora di saperne il nome: la figlia che gli versa l'acqua sulle mani e gli offre un panno pulito, la tavola prima apparecchiata e poi presentata all'ospite, la premurosa offerta di vino e cibo, lo scambio di identità e di autobiografie, il letto preparato nella parte migliore della casa - la più fresca o la più calda a seconda delle stagioni - le preghiere all'ospite perché si trattenga a suo piacimento, e infine, alla sua partenza, i doni, sia pure soltanto di una manciata di noci o di mele, di un garofano o di un mazzetto di basilico; e la cura con cui gli si indica la via, accompagnandolo per un tratto e augurandogli buona fortuna. 

(Patrick Leigh Fermor, Mani. Viaggi nel Peleponneso, Adelphi)

sabato 4 giugno 2011

Se è Omero che potrà salvarci

La guerra, per un attimo, era sembrata lontanissima. Molto tempo prima, avevamo bevuto alla stessa sorgente....

Che straordinaria occasione nel bel mezzo del massacro, quel giorno sotto il sole di Creta,  lo sguardo a scendere giù per le rocce fino al mare che era stato lo stesso mare di Odisseo. Il generale nazista e l'uomo che lo ha fatto prigioniero. E in mezzo una manciata di versi che arrivano dal mondo classico e che, per un istante, segnano la possibilità di una tregua.

E' con questo ricordo da Tempo di regali di Patrick Leigh Fermor (Adelphi) che comincia una bellissima pagina su Tuttolibri di Silvia Ronchey, titolo Omero, solo tu ci salverai. Dice, Silvia Ronchey:

L'antico sospende il tempo, l'eterno sconfigge la storia
Il classico, spiega Silvia Ronchey, sconfigge quelle che Braudel chiamava le increspature di superficie, le mode passeggere, gli appetiti più o meno devastanti, gli eventi che sembrano cambiare tutto e che invece svaniscono, lasciando quello che c'era prima.

Per Marguerite Yourcenar amiamo il passato perché è il presente sopravvissuto nella memoria dell'umanità. Per Walter Benjamin un classico è tale e resiste lungo i secoli poiché in qualunque tempo sia stato scritto usa sempre la lingua del presente.

Dice ancora Silvia Ronchey:

I veri classici non fuggono, sfidano e sono sempre pericolosi. Un classico è sempre eversivo, sempre trasgressivo, sempre anticonformista... Non ha quindi senso chiederci se i classici antichi abbiano un futuro. Pe definizione, ci aiutano a scavalcare il presente, le sue effimere ideologie, i suoi dibattiti, gli schemi del nostro pensare. E in questo senso ci avvicinano, più ancora che al passato - a noi in effetti sempre inconoscibile - al futuro. 

Non  so se ne sono completamente convinto, ma anch'io voglio crederci


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