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mercoledì 18 novembre 2015

Qualcuno con cui correre, nella Gerusalemme che sembra il Bronx

C'è Assaf, un sedicenne timido, impacciato, con una famiglia che pare averlo abbandonato a se stesso. Gira come una trottola per le strade di Gerusalemme, perché è questo che gli è stato chiesto: da qualche parte, forse, ritroverà il proprietario di quel cane abbandonato.

E c'è Tamar, più o meno la stessa età, solitaria come Assaf, ma con un di più di rabbia dentro. Per Gerusalemme gira come artista di strada, con il suo canto che non sembra nemmeno vero da quanto è bello: solo che non gli serve per racimolare qualche soldo, ma per ritrovare il fratello tossicodipendente, per salvarlo.

Sono davvero due "numeri primi", i due ragazzi che David Grossman ci racconta nello splendido Qualcuno con cui correre (Oscar Mondadori), solo che queste due solitudini non sono fini a se stesse, non si bastano. Sono il guscio che contiene un'idea, una possibilità, una riserva di umanità da condividere.

Chissà se ci riusciranno, in questa Gerusalemme raccontata come non avevo letto mai, con le sue bande di bulli e dropout, con la droga che gira e le gang criminali. Come il Bronx, ma con una luce diversa, un vento caldo che può spazzare via tutto, che non ti rinchiude in un vicolo cieco.

Forse ce la faranno, Assaf e Tamar. Forse i loro sguardi riusciranno a incrociarsi e allora tutto sarà diverso. Perché non provare a correre dietro quel cane? Chissà dove ci porterà.

mercoledì 12 giugno 2013

E io, oscuro viaggiatore, percorrendo le rotte dimenticare delle navi che portavano i grandi della Grecia e dell'Italia, andavo in cerca delle muse nel loro paese, ma io non sono Virgilio, e gli dèi non abitano più l'Olimpo.

(Francois-Auguste de Chateaubriand, Itinerario da Parigi a Gerusalemme, 1811)

giovedì 17 gennaio 2013

Sorpresa, il grande Kapu era anche poeta

Lo conoscevo come un grandissimo reporter dal mondo, autore di alcuni dei libri di viaggio più belli pubblicati in questi anni. Non sapevo che fosse anche poeta, anche se in realtà avrei dovuto aspettarmelo: i suoi viaggi, i suoi reportage, non prescindono mai dallo sguardo, dal bagaglio - leggero o pesante che sia - delle emozioni: ingredienti imprescindibili per chi cucina poesia. Non lo sapevo, ripeto. Ma l'altro giorno mi sono imbattuto in questa poesia  di Ryszard Kapuscinski: bellissima. Non potrò che cercare le altre. 

IL POETA ARNOLD SLUCKI IN VIA NOWY SWIAT

Prima
di andarsene per sempre
a Gerusalemme
camminava per via Nowy Swiat
guardava senza vedere niente
un vecchio cappotto senza un bottone
la fronte sempre sudata

le tasche piene di poesie

le tirava fuori una dopo l’altra
davanti a un portone
me le metteva in mano
e me le faceva leggere

È buona?
Non è buona

Dispiaciuto
prendeva la successiva
la quinta la decima

Alla fine trasse di tasca una colomba
E questo cos’è? domandai


Non lo vedi?
La mia ultima poesia!
Non sai che un uccello è una poesia?
Poesia che vola?

lunedì 14 gennaio 2013

Storia e fantasia dal Casentino a Gerusalemme

Che questo sia un romanzo storico o una storia della prima crociata 'attraversata' da un racconto più o meno immaginario, o qualunque altra cosa, non sono io a doverlo decidere: perché rispetto i generi letterari ma, grazie a Dio, non me ne occupo.

E allora, potrei provare io a rispondere a proposito di L'avventura di un povero crociato di Franco Cardini. Questo è di gran lunga più il libro di uno storico che di un romanziere. Di uno storico che per una volta ha usato un espediente narrativo e da esso si è fatto portare lontano.

Un documento, da questo è partito Franco Cardini: una donazione a un tale Rimondino di Donnuccio - magnifico nome medievale o forse da Armata Brancaleone - per il servizio reso al suo signore a Gerusalemme. Di Rimondino non si sa nient'altro, esiste solo questo documento, che quindi è assai meno espediente dei documenti inventati per le loro narrazioni da Alessandro Manzoni o da Umberto Eco. Però è sufficiente per accendere il riflettore della curiosità e della fantasia e per accompagnare Rimondino dalle terre del Casentino, montagna toscana, fino alla piana riarsa di fronte alla Città Santa, per l'assedio e poi il terrificante massacro che per la storia è la Prima Crociata: quella della Gerusalemme Liberata.

Forse la narrazione funziona così e così, perché il narratore poi si lascia prendere dallo storico, il grandissimo storico che ha voglia di descrivere, spiegare, illuminare tutto. E di Rimondino si perdono più volte le tracce. Ma che bellezza, il viaggio raccontato in queste pagine (a partire dall'Arno disceso con le zattere, tra molteplici rischi). E quanto ci sarebbe da ragionare sul sottile gioco di rimandi e corrispondenze tra la fantasia e la verità storica.

Per questo, forse, qua e là mi è capitato di avere la sensazione di 'toccare' la verità della prima crociata - e , diciamo così, il suo odore - più da vicino di quanto non mi sia accaduto quando l'ho avvicinata con i soli strumenti della ricerca storica.

Dichiarazione, poi, che va a riconoscimento della sincerità e dell'umiltà dello storico.

giovedì 10 gennaio 2013

Storia di Hannah, che non è Emma Bovary

Scrivo questa storia perché le persone che ho amato sono morte. Scrivo questa storia perché quando ero giovane avevo una grande capacità di amare, e ora questa capacità di amare sta morendo. Ma io non voglio morire.

Non fatevi sviare dal titolo: Michael mio è un libro dove Michael c'è poco, e quando c'è non è molto più di una possibilità. A esserci, in qualche modo, è Hannah.

Non accontentatevi di confronti troppo facili: perché Hannah non è un'Emma Bovary prelevata dal nord della Francia e trapiantata nella Gerusalemme di un altro secolo.

E poi, dopo aver riconosciuto che questo libro comincia e si conclude dentro la testa di Hannah, nel bisogno di una vita che si possa fare racconto, di una vita che in questo modo sappia trovare alibi e riscatto, ecco, dopo aver riconosciuto tutto questo, non fidatevi: perché Hannah non è Hannah.

Hannah è il suo silenzio. Hannah è un cimitero di emozioni e desideri. Hannah è ciò che gli altri pretendono che sia. Hannah è l'impossibilità di un sentimento pieno, di un'aspettativa realizzata.

E' ciò che non è, ben oltre questa storia di un matrimonio fallito.

E Gerusalemme sa essere perfino autentica in queste pagine. Autentica ma anche luogo letterario perfetto, come lo è stata Parigi alla fine di un secolo (di diversi secoli) o New York in altri tempi, per raccontare questa storia di distanze e frasi spezzate. Il luogo ideale per la scrittura di Amos Oz.



giovedì 9 febbraio 2012

Il viaggiatore che parlava solo di se stesso

Parlo eternamente di me

Così afferma perentoriamente Francois-Auguste de Chateaubriand nell'introduzione al suo Itinerario da Parigi a Gerusalemme, pubblicato nel lontanissimo 2011, libro che molti indicano come inizio della letteratura di viaggio moderna, capostipite di una genealogia che nel tempo ci regalerà i Chatwin, i Bouvier, i Leigh Fermor.

E come nota Stenio Solinas nel suo bel libro (Da Parigi a Gerusalemme, Vallecchi) su questo nobile fuori dal tempo e dalla storia, che seppe essere diplomatico della Francia reale e vagabondo senza una meta, Chateuabriand era certo uno molto pieno di sè. Di lui il perfido Talleyrand assicurava:


Da quando non sente più parlare della sua gloria, si è convinto di essere sordo

Eppure la nostra letteratura di viaggio nasce proprio da lì, da quel parlo eternamente di me, somma vanità dell'uomo che si mette in viaggio. E che si permette di parlare dei paesi che incontra parlando solo di se stesso.

Eppure è così: prima c'erano i diari di bordo, i resoconti scentifici, i cataloghi naturalistici, le relazioni. Dopo c'è l'uomo, c'è lo scrittore, che sta nel mondo che attraversa, che lo racconta attraverso i suoi sguardi e le sue emozioni.

Perché il viaggio è questo: scoprire incidentalmente il mondo scoprendo se stessi.

martedì 7 febbraio 2012

Chateaubriand chi, quello della bistecca?

Chateuabriand è quello della bistecca?

Comincia con questa domanda irriverente, però poi sono ben altre le domande che si pone e pone Da Parigi a Gerusalemme. Sulle tracce di Chateaubriand, il bel libro di Stenio Solinas proposto dall'editore Vallecchi. Domande che solo incidentalmente hanno a che vedere con la gastronomia e molto invece con il nostro cammino nel mondo.

Libro inaspettato, questo, libro da ascrivere nell'elenco sempre un po' avaro delle belle sorprese. Libro allo stesso tempo denso e leggero, e che è molte cose, saggio, reportage, racconto di viaggio, riflessione sui fatti della vita e della storia.

Libro che ha a che vedere con la passione giovanile per il visconte Francois-Auguste de Chateaubriand, letterato, intellettuale a cavallo tra due secoli, tra due epoche, ultimo dei classici, primo dei romantici, uomo immerso nelle vicende della storia eppure irrevocabilmente esule della storia.

Controrivoluzionario che celebra il passato e lo sotterra, eroe per caso dei tanti nostalgici che non gli legavano le scarpe, solitario tra i solitari che si dava già per morto mentre si lasciava portar via da una piena di emozioni e passioni, tanto da raccontare la sua vita come se fosse morto, nel suo straordinario Memorie d'Oltretomba.

Con tutto questo, chi legge oggi Chateaubriand? Chi lo conosce?

Pensare che il suo viaggio fino a Gerusalemme, che Solinas oggi ripercorre, ha segnato anche la nascita della moderna narrativa di viaggio.

Il fascino di questo libro è anche questo, imbattersi in un uomo dei nostri tempi, penso ora a Solinas, che, prima ancora di scrivere un libro, ha intrattenuto un dialogo fitto fitto con un uomo di due secoli fa, indagando nelle pieghe della sua vita, lasciandosi conquistare dalle sue parole.

Mi intriga quel ragazzino che teneva questo autore scampato alla ghigliottina nel posto di onore della sua libreria, che passava le serate rincorrendo le sue righe. Succede che da predilezioni come queste, o anche più strampalate, discenda qualcosa di buono per la vita.

Un libro, magari. Oppure una bistecca come il visconte comandava.

giovedì 3 febbraio 2011

Quel pezzo di Italia che emigrò in Palestina

Qui scrivo il mio nome da destra a sinistra, mentre in Italia ero Edoardo, scritto da sinistra a destra. Sono nato a Livorno...

Ecco, comincia così una delle tante testimonianze raccolte in Quest'anno a Gerusalemme (a cura di Angelo Pezzana, con un saggio di Vittorio Dan Segre, Giuntina editore), un libro che attraverso le storie personali fa emergere un pezzo di Storia con la esse maiuscola, poco noto e poco riconosciuto, almeno in Italia, eppure straordinariamente affascinante. Quello dei tanti ebrei italiani che nel Novecento abbandonarono il paese dove erano nati e dove erano nati i loro genitori e i genitori dei loro genitori per cominciare una nuova vita in Israele.

Furono diverse migliaia, soprattutto dopo le leggi razziali del fascismo e dopo i terribili anni della Shoah. Ci fu chi lasciò l'Italia per scelta e chi per necessità. Chi si sentiva tradito e chi non aveva più la forza di guardarsi indietro. Chi non aveva più niente con sè e chi soprattutto aveva voglia di ricominciare.

Tante storie confluite in un altro paese. Popolo migrante anche questo, che forse ha reso più povera l'Italia, privata di tante energie, di tante intelligenze, tante speranze. E che pure ha portato qualcosa dell'Italia in un nuovo paese, tutto da inventare e costruire, nelle sue immense difficoltà e talvolta nelle sue contraddizioni.

Questo libro racconta tutto questo e racconta anche il senso di un legame tra il prima e il dopo, tra il paese abbandonato e quello trovato, che le storie personali non hanno potuto recidere.

E questo si capisce ancora di più che in un saggio, semplicemente dando la parola al ricordo.

Uomini e donne che donano il senso di una vita intera. In case dove magari non si parla più italiano eppure si mangiano ancora lasagne e spaghetti e per i bambini c'è sempre una ninna nanna in una lingua sconosciuta. La lingua che era dei nonni.

sabato 10 aprile 2010

L'Italia riscoperta da Brizzi con i suoi piedi


Ho letto su Tuttolibri della Stampa (in realtà solo ieri il numero della scorsa settimana, i miei soliti tempi) che Enrico Brizzi è appena partito per un lungo viaggio a piedi che attraverserà tutta l'Italia a piedi - dall'Alto Adige a Capo Passero in Sicilia - per riscoprire il nostro paese che si appresta a celebrare i suoi 150 anni.

Racconterà tutto questo anche in un blog e credo che prima o poi tutto questo diventerà anche un libro, non il primo, del resto, che Brizzi dedica a viaggi fatti a piedi (per esempio il viaggio dall'Adriatico al Tirreno raccontato in Nessuno lo saprà, oppure il pellegrinaggio laico che ha ispirato La via di Gerusalemme).

Mi piace che i fatidici 150 anni siano l'occasione di iniziative, percorsi, riflessioni che escono dalle solite commemorazioni - corone d'alloro, corazzieri e fanfare, insomma. Mi piace anche che si parta dall'assunto che questo paese sia proprio da riscoprire (magari, come fa Brizzi, ritornando anche allo straordinario Viaggio in Italia di Guido Piovene)

Dice Brizzi a Tuttolibri:

Camminare è un modo per entrare in contatto con la realtà che ci circonda. La vita sta nella pioggia che ti bagna, nel vento freddo che ti schiaffeggia il volto, non nello schermo della televisione o di un computer


E' bello, spiega, viaggiare non come ospite d'onore, ma entrando in contatto con le persone chiedendo loro di riempire la boraccia d'acqua.

Lo sapete, che preferisco i viaggi in bicicletta. Ma condivido, condivido in pieno.

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