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lunedì 4 marzo 2013

Che bello leggere un libro sui Rolling Stones

Possono scrivere un libro insieme il chitarrista di un gruppo folk-rock e un docente universitario di storia contemporanea che in passato si è occupato di democrazia divisa e nazione perduta, temi, sia detto per inciso, che mi suonano maledettamente attuali?

Sì, possono scriverlo, la prova ce l'ho sotto gli occhi. Possono scriverlo, se alle spalle c'è una lunga passione condivisa. Possono, se a unirli sono una banda come i Rolling Stones, con tutto ciò che questo richiama e comporta.

Il libro si chiama semplicemente I Rolling Stones, è stato scritto a quattro mani da Andrea Orlandini e Luca Polese Remaggi ed è edito da Ediesse, in una collana bella e autorevole, dove, per dire, sono usciti lavori seri dedicati a Maria Montessori e a Fernando Pessoa.

E questo è davvero un libro serio: documentato, attento, che non indulge a compiacimenti, che se necessario mette il dito nella piaga. Un libro, tra l'altro, che offre un bel punto di osservazione per seguire oltre 50 anni di storia, dalla grigia, sonnolenta, conformistica Inghilterra del dopoguerra a oggi. Un libro, aggiungo, che potrebbe essere letto con piacere anche da chi dei Rolling Stones conosce solo Satisfaction e poco altro.

Ma soprattutto un libro scritto con passione - serietà e passione, perfetto equilibrio - una passione condivisa da due amici, esplosa tra i banchi del liceo, tra una versione di latino e l'ascolto di un Lp, una passione che ci ha messo 30 anni per arrivare a questo libro.

E io che dei Rolling Stones non sono un grande conoscitore, me lo sono goduto, questo libro. E per due tre sere, stravaccato sul mio divano, ho letto, preso appunti, riascoltato Sticky Fingers o Let it Bleed. Che bellezza.
 

giovedì 19 luglio 2012

La rivolta impossibile di Lucio Mastronardi

L'unico posto a Vigevano dove non si fabbricano scarpe è il carcere, lì si fabbricano penne a sfera.

Così scriveva della sua città Lucio Mastronardi, grande scrittore che ci siamo lasciati alle spalle come le stagioni che passano, coscienza inquieta e perdente di genio come quell'altro scrittore che a lui mi piace accostare, Luciano Bianciardi: entrambi uomini di provincia, entrambi condannati a raccontare un paese intero colto in un trapasso che sa di mutazione antropologica, entrambi capaci di dissipare con disinvoltura il proprio talento.

Di Mastronardi ho letto in altri anni Il maestro di Vigevano, storia di un maestro alle prese con un lavoro che conta sempre meno in un paese che, con il boom, pensa solo a produrre e arricchirsi. E' l'Italia della provincia grassa, delle fabbrichette che ingrossano i conti in banca e l'evasione fiscale, dei furbetti che sanno come funzionano le cose.

Oggi Vigevano non è più quella Vigevano, le fabbriche sono chiuse, le scarpe arrivano dalla Cina o dal Vietnam. Però le piaghe su cui Mastronardi metteva il dito ci sono ancora tutte: hanno a che vedere, per esempio, con un'Italia in cui la cultura vale sempre poco, forse ancora meno.

Lucio Mastronardi era uno scrittore che piaceva a gente come Eugenio Montale e Italo Calvino, ma era prima di tutto un maestro. Non ebbe vita facile e nel 1979 si suicidò, gettandosi nel suo Ticino. Da poco è uscito per Ediesse un libro che lo racconta, opera di Riccardo De Gennaro. Il sottotitolo dice già tutto: La rivolta impossibile.

Lo leggerò, sperando di ritrovarci le emozioni che a suo tempo mi destò la Vita agra di un anarchico, scritta da Pino Corrias per l'altro, per Luciano Bianciardi.


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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...