Visualizzazione post con etichetta libano. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta libano. Mostra tutti i post

venerdì 21 ottobre 2016

Se con l'Antigone possono tacere le armi

Questa volta non si trattava di recitare tre repliche di un teatro in un centro giovanile, ma di ergersi contro una guerra. Era sublime. Era impensabile, impossibile, grottesco. Andare in un Paese di morte con un naso da clown, riunire dieci persone senza sapere chi fosse chi. Prendere un soldato da ogni fronte e giocare alla pace. Andare in scena. 

Alzi la mano chi conosce Sorj Chalandon. Credo assai pochi, per ora: ed è un peccato. Nemmeno io ne avevo sentito parlare fino a qualche settimana fa. Poi al Festival della letteratura di Mantova, con il tutto esaurito agli incontri che avevo per la testa, mi sono imbattuto nel suo nome. Sorj Chalandon, francese, corrispondente per 30 anni di Libération, inviato in molte guerre e autore di reportage importanti sull'Irlanda del Nord e al processo a Klaus Barbie, il boia nazista.

Mi attendevo un incontro sulla sua carriera di giornalista più che navigato - meglio di niente - invece mi sono imbattuto in un romanzo che mi ha subito allettato.Titolo La quarta parete, pubblicato in Italia da Keller.  L'ho preso subito, alla libreria del festival, ho cominciato a leggerlo nel cuore della notte, ho fatto fatica a smettere.

E' la storia di Georges, giovane che viene dai sogni più estremi del maggio francese, per anni militante duro e puro deciso a inseguire la sua rivoluzione e per essa pronto alla guerra, convinto come molti all'epoca che c'è guerra e guerra.

Col tempo ha riposto nel cassetto molte illusioni, è diventato uomo di teatro e si trascina in una vita un po' così, direi di piccolo cabotaggio. Ma un giorno l'amico Samuel, regista greco fuggito alla dittatura dei colonnelli, gli chiede un sacrificio quale mai ha mai fatto prima. Lui è malato, non coronerà più il suo sogno, può pensarci Georges al suo posto?

Il suo sogno: rappresentare per una volta, per una sola volta, l'Antigone. Non in un tranquillo teatro parigino, ma nel Libano dilaniato dalla guerra civile - una guerra, tra l'altro, da cui sono discesi molti dei problemi che ancora ci attanagliano.

Sarà a Beirut, in ciò che rimane di un teatro sulla linea del fronte, sotto tiro da una parte e dall'altra. Con attori che sono palestinesi dei campi profughi (ricordate l'eccidio di Sabra e Chatila?), cristiani maroniti, drusi, sciti.... tutte le parti che si stanno massacrando, ma che per una sera, per quelle due ore, per quel lavoro teatrale che proverà a sostituirsi alla vita reale, magari riusciranno a far tacere le armi.

Mi fermo qui, non dico come va a finire. Vinceranno le leggi del cuore o quelle degli uomini indifferenti al cuore e al sangue? Però non poteva che essere l'Antigone, nei giorni dei cecchini e dei bombardamenti. Non poteva che essere la speranza della cultura, come possibilità di pace.

ps: La quarta parete del titolo è la parete invisibile che separa gli attori - e il palcoscenico - dagli spettatori e che fa sì che siano davvero sulla scene e nella storia. Ma forse la quarta parete è anche il sogno del teatro - della cultura - quale altra vita, altro mondo.

mercoledì 3 febbraio 2010

Le scintille delle anime vagabonde

More about Scintille
Bello, questo libro, bello fin dal titolo, Scintille, che non evoca soltanto frammenti di vita che si accendono e si spengono, tracce di luce che solcano la storia, perché sono storie nella storia, evocano ancora di più, si riallacciano addirittura alla Qabbalah ebraica, rimandano al frenetico incessante movimento di anime vagabonde, all'impossibilità di trovare pace per chi ha dovuto sopportare la violenta separazione dal corpo e prima ancora dalle proprie radici, dai propri luoghi.

Anime vagabonde in questo senso, non in quello della canzone italiana, sono anche tante figure della famiglia Lerner, una famiglia ebrea segnata, mutilata, plasmata dalle grandi tragedie del Novecento. Famiglia errabonda, famiglia in movimento, appunto, famiglia che negli anni, per scelta o per costrizione, ha costruito ponti tra l'Europa Orientale e il Mediterraneo levantino.

Poi quei ponti sono crollati, anzi, peggio, sono sparite le terre stesse che quei ponti dovevano unire. Inghiottito nel nulla il secolare mondo dell'Est europeo che pareva inconcepibile senza i suoi ebrei, nei villaggi e nelle grandi città come Leopoli che raccoglievano milioni e milioni di anime con i loro partiti, i loro mistici, i loro grandi scrittori: un popolo cancellato, una lingua svanita, una presenza che si è fatta ombra.

Ma sparito è anche il Levante come era prima del 1945 e dell'esplosione dei nazionalismi, passato che facciamo fatica a immaginare, ugualmente inconcepibile, quando lungo le coste bagnate dal Mediterraneo una strada senza frontiere poteva unire Beirut a Tel Aviv.

In questi mondi svaniti, inseguendo i nomi e i ricordi di famiglia, prova a inoltrarsi Gad Lerner, uomo nato in Libano, arrivato apolide in Italia (e chissà se oggi un altro apolide potrebbe costruirsi un'analoga carriera nel nostro paese... ma questa è solo una divagazione).

Bello, questo libro, che non si volge solo al passato, ma è viaggio anche nel presente, che esalta il senso del viaggio allungando lo sguardo, la capacità di vedere, con altre importanti letture, che non si chiude nella genealogia domestica, nell'album di famiglia, ma costruisce un mosaico di storie.

E' il primo libro che leggo sulla Beirut di questi anni, ma che mi racconta anche i "viaggi della memoria" in paesi dove solo il vuoto, il deserto, può dire qualcosa di quello che è stato. Meno convincenti, a mio parere, le pagine sul padre, dure senza essere necessarie. Anche se, va detto, Gad Lerner su questo è fin dall'inizio franco e diretto, senza possibilità di equivoci. E la sincerità merita sempre.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...