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lunedì 27 maggio 2019

Due ragazzi, due amici, nell'inferno a Est

Non c'era quasi vento e aveva smesso di nevicare; a una certa distanza, dove il fumo dello scappamento del taxi soffiava sulla strada, il negozio di fiori risplendeva illuminato, e sebbene i fiocchi di neve fossero caduti senza rumore, disperdendosi muti, a un tratto ci fu ancora più silenzio.

Da dove cominciare? Forse proprio dalla fine, da un mazzo di fiori portato in un cimitero una sera di inverno, tanti anni dopo. Oppure no, meglio cominciare da dove la storia comincia davvero, dalla primavera che sboccia e da due amici che si affacciano alla vita, Walter e Fiete. 

Germania del Nord, anno 1945, ultimi terribili mesi di una guerra che i nazisti hanno perso ma che intendono combattere fino alla fine, senza risparmiare e risparmiarsi nessun crimine. Walter e Fiete sono ragazzi di campagna, mungono mucche, sognano ragazze, fanno discorsi che sono i discorsi della loro età: forse la guerra gli passerà sopra o a lato, ci si può illudere.

Un giorno, strano, le SS organizzano una festa, ci sono barili di birra, un'orchestrina per ballare: però è solo un modo per reclutare chi ancora può servire all'esercito di Hitler. La Wehrmacht ormai è ridotta a questo, a spedire al fronte adolescenti senza peli della barba e dai corpi che spariscono in divise troppo larghe.

Dell'inferno che Walter e Fiete troveranno in Ungheria - gli ufficiali che tirano bombe sui talloni dei ragazzi per spmgerli all'attacco, le carneficine di un esercito allo sbando, i massacri di poveri contadini - non risparmia niente  Morire in primavera di Ralf Rothmann (Neri Pozza e poi Beat): per me uno dei libri più belli e toccanti sulla guerra di Hitler e sulla barbarie che inondò l'Europa. 

E già dire così mi sembra dire poco, senz'altro meno del dovuto: perché questo è anche un romanzo, scritto splendidamente, sulla giovinezza che è primavera di vita a volte destinata a pagare la sua esuberanza; sui sogni violati degli adolescenti; sull'amicizia che sa farsi coraggio; su ciò che rimane, malgrado tutto.

E sì: è un libro che mi piacerebbe suggerire ai ragazzi e alle ragazze di un'Europa sempre più smemorata.



 


 

domenica 22 settembre 2013

Scrivere un libro non è facile, però....

Scrivere un libro non è facile, ho ripetuto le sue parole mentre serpeggiavo verso il mare, verso il basso, per via Freud.

Non è facile, ma ce l'ho fatta. Mi sono mosso. Sono uscito dal mio recinto e sono andato avanti a galoppare per due mesi. Senza che mi finisse l'ossigeno.

Certo, l'ho fatto in nome di Ofir. In nome dell'armonia dei bigliettini. Ma se l'ho fatto una volta significa che posso farlo di nuovo. Posso liberarmi dalle mie catene. Dal pessimismo paludoso. Dall'autocontrollo scettico. Posso esprimere dei nuovi desideri per i Mondiali del 2006, e questa volta realizzarli. Posso cambiare. Rivelarmi. Trovare uno scopo. Posso amare un'altra - non Yaara.

Posso - davanti a questo mare che mi si spalanca davanti in tutto il suo scintillio - posso persino continuare a essere amico dei miei amici in futuro, e non solo congelarli nel tempo attraverso la scrittura.

E' vero, la loro vita prossimamente diventerà molto diversa dalla mia, ma ciò non significa che il libro sia destinato a essere un requiem.

(Eshkol Nevo, La simmetria dei desideri, Neri Pozza)

venerdì 20 settembre 2013

I quattro amici che si ritroveranno per i Mondiali

Ognuno potrebbe scrivere su un bigliettino dove sogna di trovarsi fra quattro anni. Dal punto di vista personale, professionale. Da tutti i punti di vista. E ai prossimi Mondiali apriremo i biglietti e vedremo cos'è successo nel frattempo.

Ecco, è così che si mette in movimento la storia che Eshkol Nevo racconta in La simmetria dei desideri, uno dei libri che più mi hanno emozionato da parecchio tempo a questa parte. Non fatevi ingannare dal titolo, certo non troppo allettante. Queste sono pagine che divertono, commuovono, tengono col il fiato sospeso. Lasciandoti poi, oltre che con molte altre suggestioni, anche con la solita domanda: ma com'è che da un paese come Israele non finiscono mai di arrivarci libri che ci conquistano? E non solo dei soliti, gli Oz  e gli Yehoshua per intendersi.

Forse una delle risposta è la capacità della letteratuta israeliana di riuscire a combinare insieme le storie individuali con la storia collettiva, sarà che di Storia con la esse maiuscola ce n'è tanta, in quell'angolo di mondo. Funziona così anche in questo libro, con le partite dei Mondiali di calcio viste in tv e le amare vicende dell'Intifada, solo per dire le prime cose che mi vengono in mente.

A proposito dei Mondiali, non è solo per le partite, è che capitano una volta ogni quattro anni, e che in questo modo il tempo si può spezzare. Non è più un unico, ma una serie di periodi su cui si possono misurare ciò che si è fatto e ciò che non si è fatto. I desideri e le realizzazioni. E' per questo che a quattro amici, prima della finale, viene in mente di scrivere ciò che si attendono dai prossimi anni. Ai successivi Mondiali si ritroveranno, come sempre. Leggeranno i bigliettini e vedranno cosa ne è stato.

Parte da qui la storia, e di più non racconto. Il resto sono quattro personaggi che sarà difficile dimenticare, soprattutto colui che racconta in prima persona, il più taciturno e inconcludente, eppure quello senza cui niente sarebbe possibile. Il resto è un atto di amore. Nei confronti dell'amicizia. E anche della scrittura, perché così altro c'èà che può ridare un ordine ai desideri e restituire un senso al caos della vita?  

giovedì 26 luglio 2012

Se hai una biblioteca col giardino, hai tutto

E' un piccolo delizioso libro, quasi obbligatorio per chiunque i libri li ami davvero. Piccolo ma con tante cose dentro, in una cavalcata attraverso i secoli, le letture, i personaggi che hanno animato i nostri ozi e i nostri sogni. Libro e libertà di Luciano Canfora è uscito qualche anno fa per Laterza, non so se oggi sia facile trovarlo, ma se vi casca sopra l'occhio non perdete l'occasione.

Tra tutte, parlano uno strano linguaggio del cuore le pagine dedicate alle antiche biblioteche dei signori romani. Luoghi di raffinata cultura che non si sottraevano ma si condividevano con le persone amiche.

Cicerone poteva scrivere un biglietto ad Attico solo per comunicargli la gioia di trovarsi, proprio in quel momento, nella biblioteca di un'altra persona. E al dotto Varrone spiegava: Se hai una biblioteca col giardino, hai tutto.

Come in altri tempi chi avrà mezzi a disposizione inviterà a un ricevimento o a una partita di caccia, allora ci si poteva invitare per trascorrere qualche ora in biblioteca. Tempo da passare insieme, tempo da trascorrere ognuno assorto nella propria lettura.

E in questo c'è qualcosa che, a mio parere, ha a che vedere molto con il sentimento dell'amicizia, non solo con le emozioni dei libri.  

lunedì 10 ottobre 2011

La vera amicizia che sa dirsi addio

In attesa di cercarmelo in libreria leggo su Tuttolibri quanto Marco Belpoliti ci dice de Gli amici non si danno del tu di Bruno Moroncini (edizioni Cronopio).

A dire il vero, Belpoliti parla soprattutto dell'eleganza e dell'equilibrio della copertina pensata da questa piccola casa editrice. E mi piace che in questi tempi in cui si parla - e straparla - di editoria digitale ci sia ancora possibilità per una riflessione che ci ricorda che un libro è anche la carta (e il cartoncino della copertina) con cui è fatto, è oggetto che si presta al tatto, è piacere per tutti i sensi.

Ma questo è un altro discorso, quello che mi intriga davvero di questo testo è il suo girare intorno al concetto di amicizia, relazione oggi assai meno oggetto di attenzione di altre, di interesse o di amore che siano. E lo fa recuperando la vita e l'opera di Maurice Blanchot, intellettuale francese scomparso nel 2004 e ormai uscito dal cono di luce.

Blanchot era uno che affermava che sono i compagni e i camerati che si danno del tu, mentre gli amici usano rigorosamente il lei. Cosa che suona strana, solo che poi aggiungeva che l'idea di amicizia oggi dominante deriva dall'idea greca di philia, cioé rimanda alla reciprocità e alla simmetria, però quello che conta è piuttosto l'alterità. La vera amicizia si basa non sul riconoscersi uguali, ma sulla differenza.

Ce n'è da meditarci sopra. L'amicizia non è un colpo di fulmine, diceva Blanchot. Vera amicizia è solo quella che sa dirsi addio. Quante cose che ci possono essere in poco più di 40 pagine... 

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