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lunedì 31 agosto 2015

La Lisbona di Tabucchi e di tutti noi

Ci sono città che sembrano vivere nella carta prima ancora che nelle pietre di cui sono fatte. Città immaginarie, ma a differenza di quelle di Italo Calvino reali, così reali da poter essere rintracciate in una carta, spiegate in una guida, percorse con i nostri piedi e affrontate con tutti i nostri sensi. Immaginarie e reali, ma soprattutto raccontate, plasmate, reinventate dalla letteratura. 

Come Buenos Aires, per cui non riesco a prescindere da Jorge Luis Borges. E che grazie a Borges sento di aver visitato, anche se in realtà non ci ho messo mai piede.

A Lisbona invece ci sono stato e volentieri ci ritornerei. Intanto è come se ci fossi stato un'altra volta, grazie a un libro che consiglio caldamente: A Lisbona con Antonio Tabucchi di Lorenzo Pini (Giulio Perrone editore). Sottotitolo secco e non casuale: Una guida. Attenzione, non una guida letteraria. Perché Lisbona, che è un'altra delle grandi città della letteratura, qui è raccontata nella sua verità. 

Ed è davvero Lisbona, anche se la inseguiamo attraverso il filo delle vicende di Sostiene Pereira. Oppure nell'allucinazione di Requiem, che allucinazione è, ma anche vagabondaggio per una città che non è da meno della Dublino di Joyce o della Praga di Kafka. 

E' davvero Lisbona, perfino quando seguiamo l'ombra del grande Fernando Pessoa e di tutti in suoi eteronomi - in un gioco di specchi e rimandi tra l'uno e i molti che siamo - Quel Fernando Pessoa che Antonio Tabucchi non ha solo amato e tradotto, perché siamo molto oltre sulla via della complicità e della immedesimazione....

Lisbona attraverso Tabucchi, in un libro che è tutt'altro che un gioco letterario o uno sfoggio di erudizione. Ci sono nomi, luoghi, circostanze.... Ma c'è soprattutto Lisbona, bellissima, e ancora più bella attraverso la forza della parola scritta. 

sabato 31 gennaio 2015

Un libro di Tabucchi per compagno di viaggio

E poi mi ha chiesto se conoscevi il rumore del tempo. No, ho detto io, non lo conosco. Bene, fa lui, basta mettersi a sedere sul letto, durante la notte, quando uno non riesce a dormire, e restare a occhi aperti nel buio, e dopo un po' si sente, è come un muggito in lontananza, come l'alito di un animale che divora la gente....

Che fortuna doversi scegliere un libro per un viaggio - un libro abbastanza voluminoso, magari, in grado di accompagnarti per l'intero viaggio - e per una volta scegliere bene. Uno di quei libri su cui è bello anche indugiare su una singola pagina, lasciandosi andare al suono di una frase, alla sensazione che può lavorare dentro di noi, tra un gesto e un passo.

E dunque: cinque giorni in Spagna, a Valencia, accompagnato dai Racconti di Antonio Tabucchi (Feltrinelli). E lo so che sarebbe stato meglio a Lisbona. Ma non si può volere tutto. Sono contento così.

Davanti ai banchi delle tapas o beandomi al sole di un tiepido gennaio alla Città delle arti e delle scienze mi è capitato di indugiare su uno di questi racconti. Alcuni di essi capolavori - come Il gioco del rovescio, Piccoli equivoci senza importanza, I treni che vanno a Madras - altri forse meno.

In ogni caso sempre accogliendo dentro di me uno scrittore che sento come un amico, senza averlo mai conosciuto se non sulle sue pagine (una volta o due, di sfuggita, a qualche incontro). Come un amico che se n'è andato troppo presto, privando il mondo di molte altre storie degne della sua parola. 

mercoledì 22 gennaio 2014

Antonio Tabucchi: Quando tornano sul loro volto non c'è scritto niente

Più di una volta sono andato ad aspettare l'autobus di ritorno da qualche parte, fingendo di aspettare qualcuno anche se non aspettavo nessuno, per guardare le persone che scendevano. Sul volto hanno meraviglia, eccitazione, stanchezza, a volte non sono più tanto giovani, qualcuno ha portato anche i nipoti più grandicelli.

Mi piace guardarle, queste persone: hanno davvero fatto un viaggio, anche se solo di poche centinaia di chilometri. Magari, non so, al mio paese sono stati ad Assisi o sul lago Trasimeno. E il viaggio ce l'hanno negli occhi assonnati dove è rimasto il disagio e l'allegria di quella breve evasione.

Invece, al contrario, mi è capitato di osservare certe giovani coppie, oggi, che magari non hanno mai visto gli Uffizi o il Colosseo e che quando si sposano vanno in viaggio di nozze alle Seychelles o alle Isole Comore. Quando tornano, sul loro volto non c'è scritto niente.

Del resto, cosa ci fa uno alle Isole Comore? Sono solo abbronzati. Lo stesso risultato l'avrebbero ottenuto standosene seduti nel cortile di casa o sul terrazzo.

(Antonio Tabucchi, tratto da Ogni viaggio è un romanzo di Paolo di Paolo, Laterza)

venerdì 18 ottobre 2013

I libri che Antonio Tabucchi cercava

Accadeva spesso che lo scrittore si alzasse all'improvviso per pescare un libro dagli scaffali, aprirlo e leggere a voce alta dieci versi.

A volte cercava, o mi chiedeva di cercare, un volume che non c'era, gli dicevo: non c'è, e lui: cerca bene; ma non c'era davvero, perché l'officina di Tabucchi era un'officina mobile, divisa fra Vecchiano, Parigi, Lisbona. I libri si muovevano insieme a lui, lo precedevano o seguivano negli spostamenti, e così poteva capitare che se ne perdessero le tracce.

Una mattina, sul tavolo della cucina a Vecchiano, ho trovato un post-it con la domanda "Dov'è Cèline?". Doveva ricordarsi di chiedere alla moglie, la Zè, in quale biblioteca fosse. 

Lì per lì, mi era sembrata una domanda più astratta, quasi un'invocazione. Simile a quella che anch'io, e con me molti suoi amici e i suoi lettori, mi ripeto spesso: "Dov'è Tabucchi?".

Domattina la segnerò su un post-it giallo, e aspetterò la risposta.

(Paolo di Paolo, da Nell'officina della malinconia, Il Sole 24 Ore)

martedì 23 aprile 2013

L'Europa, per Tabucchi, è uno stato d'animo....

In lungo e largo, sulla mappa del Vecchio Continente, Tabucchi si è mosso e ha fatto muovere i suoi personaggi.

E' un'Europa bella e malinconica, carica di ferite, di cicatrici, di muri, di rovine, e naturalmente di fantasmi. Talvolta tornano, di libro in libro, con gli stessi nomi: Ferruccio, Isabel, Tadeus.

Sono ombre fuori tempo o, direbbe Tabucchi, "controtempo": hanno attraversato le intemperie del ventesimo secolo, ne portano tutti i segni.

Ma accade anche ai vivi di sentirsi sfasati, fuori orario rispetto al presente: in un racconto di "Il tempo invecchia in fretta", un uomo cammina per le strade di Berlino, e la città gli sembra irriconoscibile: "Ah, il muro, che nostalgia del muro". E' un ex spia della Stasi, attraversa la Unter den Linden e riflette su un segreto che intende confidare alla tomba di Brecht. 

L'Europa di Tabucchi è un museo della Storia messo sotto assedio.

Il rumore del cambiamento spinge uomini e donne a cercare se stessi nel passato, a vagare nella memoria - la propria e quella del mondo -, all'indietro fino a toccare il mito; oppure a proiettarsi in un futuro che somiglia a un dejà vu.

L'Europa, per Tabucchi, è uno stato d'animo: mutevole come la luce che cambia...

(da Paolo di Paolo, Antonio Tabucchi, da Lisbona a Parigi, viaggi di un europeo ficcanaso, su Venerdì di Repubblica)

domenica 24 marzo 2013

Da Kafavis a Tabucchi, il viaggio che si giustifica


Ma, a conti fatti, ho viaggiato molto, lo ammetto; ho visitato e ho vissuto in molti altrove.

E lo sento come un grande privilegio, perché posare i pidi sul medesimo suolo per tutta la vita può provocare un pericoloso equivoco, farci credere che quella terra ci appartenga, come se essa non fosse in prestito, come tutto è in prestito nella vita.

Costantino Kafavis lo ha detto in una straordinaria poesia intitolata Itaca: il viaggio trova senso solo in se stesso, nell'essere viaggio.

E questo è un grande insegnamento se ne sappiamo cogliere il vero significato: è come la nostra esistenza, il cui senso principale è quello di essere vissuta.

(da Antonio Tabucchi, Viaggi e altri viaggi, Feltrinelli)

mercoledì 13 marzo 2013

I viaggi e gli altri viaggi di Antonio Tabucchi

Nati dalle occasioni più diverse, sempre da viaggi ma mai da viaggi fatti per poi diventare letteratura di viaggi, questi testi vagavano come isole in un arcipelago fluttuante....

E' così che Antonio Tabucchi presenta il suo Viaggi e altri viaggi (Feltrinelli), raccolta di articoli, memorie, scritti vari legati al suo peregrinare per il mondo e in genere al grande dono che gli ha fatto la vita, ovvero la possibilità di abitare molti altrove, dall'India a Creta, dall'Australia al Portogallo.

Si tratta del primo libro che ho avuto modo di leggere o rileggere dopo la sua morte, mettendo inevitabilmente in conto un crampo di nostalgia. Libro diseguale, tra l'altro, che contiene pagine più o meno felici, di diverso valore e di diverso coinvolgimento emotivo. Però un libro a suo modo necessario, non fosse altro che per abbracciare con un solo colpo d'occhio queste isole in un arcipelago fluttuante,  isole, forse, a loro modo alla deriva.

E quindi per condividere la consapevolezza che fu di Tabucchi, oltre i viaggi che qui sono raccontati.

Ma forse mancano i viaggi più straordinari. Sono quelli che non ho mai fatto, quelli che non potrò mai fare. Restano non scritti, o chiusi in un loro segreto alfabeto sotto le palpebre, la sera. Poi arriva il sonno, e si salpa.




mercoledì 29 agosto 2012

Se il tempo invecchia in fretta

In primo luogo mi piace il titolo, di questo libro che credo sia stato l'ultimo di Antonio Tabucchi:. Il tempo invecchia in fretta. Un titolo bello, profondo, vero. Un titolo capace di risvegliare da una amnesia ricorrente.

Poi si sa, c'è tempo e tempo. E il tempo che richiama Tabucchi in questi racconti non è solo il tempo personale o famigliare, è anche il tempo della Storia che si incrocia con la vita degli uomini e delle donne.

Anche della fragilità di questo tempo siamo spesso poco consapevoli. A volte serve proprio un viaggio, per non sottavalutarla.

A me è capitato lo scorso settembre a Berlino, cercando le tracce del Muro nella città che un tempo fu divisa. Oggi il Muro è scomparso, tranne che per un pezzettino meglio conosciuto come East Side Gallery, una successione di bellissimi murales. Per il resto non c'è più. C'è solo un finto Checkpoint Charlie a uso e consumo dei turisti, un euro a foto, oppure un acciottolato che segue il vecchio tracciato... tutto qui.

Anche Tabucchi, nel più bello dei racconti, ci porta nella Berlino d'oggi, dietro i passi di colui che ai tempi fu un agente della Stasi, la terribile polizia tedesca della Ddr, e oggi è un pacifico insospettabile pensionato che si reca sulla tomba di Bertolt Brecht: il suo obiettivo di un tempo.

Seguitelo anche voi, mentre al cimitero si lascia andare a una sua sorprendente confessione, per poi puntare su uno dei migliori ristoranti.  

Ai nostri tempi locali così non ce n'era, caro mio, mormorò tra sé e sé, ci siamo persi il meglio.

E a proposito di tempo, cosa pensate della domanda triste di Tabucchi?

Ti ricordi com'era bella l'Italia?

martedì 31 luglio 2012

Antonio Tabucchi magnifico ladro di storie

C'era del genio, in Tabucchi, un'incredibile lucidità e un ascolto del mondo, degli altri. 


Si definiva volentieri come un ladro di storie, e molti dei suoi racconti fanno riferimento a quest'idea di costruire la narrazione usando brani di frasi captate dalla strada, prese al volo da una conversazione.


Pezzi di destino anche, che nel loro concatenarsi finiscono per dar forma a un personaggio il cui percorso si perde nella nebbia del dubbio e delle ipotesi aperte.

In fondo, Tabucchi credeva nella sua buona stella. E l'ispirazione apparteneva per lui all'ordine della visitazione: degli angeli, benefici o malefici, che venivano verso di lui per consegnargli delle storie. 

(Bernand Comment, su Libération e su L'Indice)

sabato 21 luglio 2012

Mi chiamo Tabucchi, come tutti

Non inganniamoci: scriviamo sempre dopo gli altri.


Nel mio caso, a questa operazione di idee e frasi di altri che acquisiscono un altro senso quando vengono ritoccate livemente, bisogna aggiungere un'operazione parallela e quasi identica: l'invasione nei miei testi di citazioni letterarie totalmente inventate, che si mescolano con quelle vere. E perché, mio Dio, lo faccio?

Credo che in fondo, dietro quetso metodo, ci sia un tentativo di modificare leggermente lo stile, forse perché è già da tempo che penso che, nel romanzo, sia tutta una questione di stile...

Sì, è vero. Scriviamo sempre dopo gli altri. E a me non provoca problemi ricordare di frequente questa evidenza. Di più: mi piace farlo, perché dentro di me si annida un dichiarato desiderio di non essere mai unicamente me stesso, ma di essere anche, sfacciatamente, gli altri.

Mi chiamo Tabucchi, come tutti....

(Enrique Vila-Matas, da La Repubblica)

sabato 21 aprile 2012

Antonio Tabucchi: cosa vuol dire essere scrittore

Essere scrittore non vuol dire solo maneggiare le parole.


Significa soprattutto stare attenti alla realtà circostante, alle persone, agli altri.


Ho l'impressione che se c'è una disattenzione da parte tua è perché stai facendo troppe cose e hai troppo fronti aperti. Questo rende frettolosi, e nuoce alla scrittura.


Una volta alla settimana chiuditi in camera tua, stacca il telefono e mettiti a fissare il muro per un pomeriggio. Senza fare nient'altro che fissare il muro.


E' un'ottima scuola di scrittura. Io lo faccio ancora oggi, alla mia età. Svuotati la testa; metti un disco di Schubert, apri a caso i "Dubliners" e vedrai che ti dimentichi di quello che sulla pagina culturale del "Corriere" Tizio ha scritto di Caio e cosa ha replicato Caio su "Io donna".

(Antonio Tabucchi)

lunedì 26 marzo 2012

Antonio Tabucchi e tutti i suoi ospiti notturni

Mi piacciono le storie. Sono anche un ottimo ascoltatore di storie.

So sempre, anche se a volte resta vago, quando un'anima o un personaggio sta viaggiando in aria e ha bisogno di me per raccontarsi. 

Ascoltare e raccontare, è un po' la stessa cosa. 

Bisogna essere disponibile, lasciare sempre la sua immaginazione aperta. Le mie storie, i miei libri, li ho semplicemente accolti. 

Lo sapevate: credo nelle muse. Ho un immenso affetto per i miei ospiti notturni. 

Li tratto come ospiti di riguardo.

                                                                                                               Antonio Tabucchi

giovedì 1 settembre 2011

Tito e Don Patagonia, cacciatori di ombre

C'è una frase che ci arriva dall'antica saggezza greca, per diventare un titolo di Antonio Tabucchi ma anche la chiave di lettura dell'ultimo bellissimo libro del mio amico Tito Barbini (Il cacciatore di ombre, Vallecchi, collana Off the Road)

Inseguendo l'ombra il tempo invecchia in fretta

E questo è davvero un libro in cui si insegue un'ombra per trovare molte ombre, popoli di ombre. Un libro che in questo inseguimento si impasta di tempo, si fa tempo, si preoccupa del tempo. Senza che in questo modo, necessariamente, il tempo debba invecchiare in fretta. Anzi, mi sa che è solo così, facendo in modo che il viaggio non sia solo distanza, ma anche profondità (e quindi tempo), che il tempo si rinnova e torna a farci compagnia.

Ho cominciato, in questo modo. Ma forse avrei dovuto dire subito che Tito questa volta ha spiazzato anche me. Spiazzerà anche voi, se grazie alle sue pagine vi siete fatti portare tra i ghiacciai della Terra del Fuoco o se con lui avete attraversato le distese dell'Antardide o risalito le correnti del Mekong.

Mi ha spiazzato, perché nel momento stesso in cui ci racconta un viaggio autentico -  e si respira la sua stessa aria, si sente la sua stessa fatica  - Tito riesce a sovvertire convenzioni, luoghi comuni, dati di fatto troppo scontati per non diventare prigione.

Insegue un'ombra, Tito, l'ombra di un uomo straordinario, Alberto Maria De Agostini (per inciso, il fratello del De Agostini sulle cui carte abbiamo tutti studiato e sognato), geografo, alpinista, fotografo, esploratore (uno degli ultimi grandi esploratori della nostra storia), missionario controcorrente, testimone del genocidio degli ultimi indios dell'America australe (altre ombre...). Un uomo che in Italia ci siamo troppo facilmente dimenticati, sarà perché pone qualche domanda imbarazzante, sarà che troppo spesso ci fa fatica guardare oltre il risaputo. In Argentina e in Cile, no, De Agostini è Don Patagonia, un mito, un monumento, un chiaro ricordo.

Ma non è questo, ovviamente, a spiazzare. Tito non cerca la biografia, ma il viaggio. E non il viaggio sulle orme di chi è già passato. Il viaggio in compagnia.


Non ho mai provato a definire in modo preciso le ragioni per cui mi sono messo a viaggiare con De Agostini, anche perché mi sembrava che fosse naturale. Succede che quando incontri per la prima volta alcune persone ti sembra di conoscerle da sempre.
Comunque uno dei motivi è di sicuro che con lui potevo andarmene via, puntare altrove

Viaggiano insieme, Tito e Don Alberto. L'ex militante comunista e il missionario cattolico. L'uomo che ci è contemporaneo e l'uomo a cavallo dell'Otto e del Novecento. Il vivo e il morto. I due vivi, anzi. I due cacciatori di ombre.

martedì 26 aprile 2011

Pessoa, il grande sedentario che sapeva viaggiare


La vigilia di non partire mai
almeno non ci sono valigie da fare


Non c'è solo Emilio Salgari, nel pantheon dei viaggiatori immaginari. Tra gli scrittori che ci hanno schiuso orizzonti rimanendo abbarbicati nello stesso luogo, quale fosse una condizione dell'anima, c'è anche lui, Fernando Pessoa, il portoghese dalla parola capace di dare forma all'inquietudine, al desiderio, al silenzio.

Viaggiatore dell'infinito. Grande sedentario. Poeta che seppe nascondersi dietro diversi altri nomi, poiché anche questo è un modo di essere altrove.

Ne parla Antonio Tabucchi, nel suo ultimo libro, Racconti con figure (Sellerio). Ricordando, per esempio, che l'unico vero viaggio della sua vita fu quello che lo riportò da Durban, in Sudafrica, a Lisbona, città da cui non si sarebbe più allontanato.

Scrive Tabucchi:


Altri sarebbero stati i suoi viaggi: eroici, visionari, furibondi viaggi di avventure e di scoperte, ma tutti immaginari

So di cosa sono fatti questi viaggi: impalpabili e autentici, come lo sono i moti dello spirito.

mercoledì 4 agosto 2010

Elvira Sellerio, l'editore che ci mancherà

Ne sono sempre stato convinto, ma oggi lo sono ancora di più, con la consapevolezza che ti infligge il peso di una scomparsa a cui non ti eri preparato: ci sono libri che, necessariamente, non sono solo dei loro autori, che portano, indelebile, anche l'impronta dei loro editori.

Sempre che si tratti, è ovvio, di editori intelligenti, coraggiosi, innovativi. Che amano il loro lavoro, che sanno che i libri non sono solo dei prodotti da piazzare. Che difendono la loro impresa – uso questo termine per richiamare sia gli obblighi dell'economia che il senso dell'avventura – sicuri che in primo luogo si tratta di difendere un'identità.

I libri della Sellerio erano in realtà i libri di Elvira Sellerio. E oggi mi manca Elvira Sellerio, una donna che non ho mai incontrato di persona, ma che credo di aver conosciuto attraverso le sue scelte editoriali.

Proprio domenica scorsa, una domenica piacevolmente oziosa, ho indugiato a lungo su tutti i libri della Sellerio che anno dopo anno ho acquistato (sono fatto così, nella mia libreria i titoli sono ordinati per casa editrice). In particolare di quella fantastica, immensa, imprescindibile collana che è La memoria: quei piccoli grandi libriccini che sono una macchia di blu, con la carta vergata e la riproduzione di una pittura al centro della sovraccoperta. Una gioia solo a guardarli. 

E quello che c'è dentro poi, perché non è solo eleganza. Spesso con loro in libreria sono andato sulla fiducia, confidando sulla scoperta: un marchio di qualità.

Ed è in questo modo che nella mia vita sono entrati Gesualdo Bufalino e Andrea Camilleri, due nomi per andare sul sicuro, perché poi non si contano i viaggi che ho fatto grazie a queste pagine: sono stato alle Azzorre con Antonio Tabucchi e a Sarajevo con Adriano Sofri, sulla strada di Sintra con due autori portoghesi che mi sa oggi non dicono niente a nessuno e nell'antica Grecia con Aristotele che si improvvisa detective.

Domenica guardavo quell'esplosione di blu, due scaffali pieni. E mi sono detto: per loro devo trovare altro posto. 

E anche questo è un modo per essere grati.




lunedì 5 luglio 2010

Quel luogo a cui a un giorno arriviamo

Ha detto una volta Antonio Tabucchi: 

Un luogo non è mai solo “quel” luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati

Sono d'accordo: quel luogo non è mai solo quel luogo. Quel luogo è quello che ci portiamo dentro. E' l'altrove che sta dentro il nostro immaginario, l'approdo di ciascuno di noi, la terra che ci appartiene o a cui apparteniamo.

Per Antonio Tabucchi è facile che quel luogo siano le Azzorre. Per altri sarà la Patagonia - mi viene in mente Tito Barbini - oppure la Mongolia - ricordo ciò che di questa terra ha scritto Giovanni Lindo Ferretti. Altri ancora coltiveranno il loro altrove in una baitina di montagna o nella pineta al mare di sempre. E ci sarà pure anche chi - forse il sottoscritto? - guarderà a Mompracem o piuttosto a qualche altra isola che non c'è.

L'importante è tenerne di conto, di quel luogo. Di non smarrirlo. Di non consentire che il tempo lo spazzi via con la sua terrificante capacità di amnesia.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...