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martedì 9 gennaio 2018

Di là dal mare, per scoprire il nostro futuro

A volte bisogna andare molto lontano per scoprire ciò che è vicino. Affrontare miserie e  ferite antiche per capire cosa sarà di noi domani. O forse cosa è già oggi. Bisogna attraversare il mare e guardare dall'altra sponda la nostra sponda.

Abitanti di un mondo in declino, trepidiamo soltanto per la nostra ricchezza, proprio come i popoli vecchi, le civiltà al tramonto. E non ci accorgiamo che nelle nostre tiepide città, in cui coltiviamo la nostra artificiale solitudine, vi sono già alveari ronzanti, di rumore e di colore, di preghiera e furore.  Il mondo di domani.

Così Domenico Quirico - uno degli ultimi grandi giornalisti italiani che il mondo lo girano e lo raccontano - conclude il suo Esodo (Neri Pozza), che non è solo libro autentico, è libro forte, toccante, spiazzante, è lobro che non offre quiete ma rimescola la coscienza, libro che sfugge a facili definizioni - è insieme reportage, atto di accusa, riflessione morale e molto altro - libro che non si dimentica.

Sull'altra sponda, dall'altra sponda. Dove ci sono villaggi assediati dalla sabbia e spopolati da chi si è mosso per speranza e per disperazione. Dove il primogenito sente in dovere di partire per alimentare una possibilità di futuro per la sua famiglia, e se non ce la fa si prova con il secondo e il terzo figlio. Dove ci si consegna a usurai, aguzzini, schiavisti, mercanti di carne umana per attraversare il deserto e poi il mare.

Sull'altra sponda, dall'altra sponda. Dove ci sono le carneficine della Siria e molti altri orrori la cui geografia non riusciamo a tenere a mente.

Polvere, sete, torture, violenze. Corpi ammassati in cassoni di camion che attraversano il deserto e in barconi che non si sa per quale miracolo o legge della fisica rimangano a galla. Eppure malgrado tutto questo la Grande Migrazione va avanti. C'è e continua, con i suoi tempi e le sue rotte, come per gli uccelli migratori: e migratore, in realtà, da sempre è anche l'uomo, più nomade che stanziale nella sua storia.

Più che i proclami serve capire. Servono giornalisti, ma prima ancora uomini come Domenico Quirico, che non si sottrae allo sguardo, alle voci delle persone che si sono messe in movimento. Uomini che si fanno viaggiatori - nel tentativo di spartire un'esperienza che non sarà mai la stessa - perchè solo nel viaggio si può intendere prima ancora del nostro presente il futuro davanti a noi. Storia del nuovo millennio, appunto, come recita il sottotitolo.

mercoledì 29 luglio 2015

Amos Oz, lo scrittore che si avventura nel deserto


Un grande scrittore? Quasi sempre un uomo che trascorre il tempo indossando i suoi personaggi. A volte un uomo che non ha paura a distruggere la sera ciò che la mattina ha inventato. Raramente anche un uomo che si avventura nel deserto, qualunque cosa sia quel deserto.

Questo almeno quanto ho imparato leggendo la splendida intervista di Francesco Battistini ad Amos Oz, pubblicata tempo fa da La Lettura del Corriere della Sera. Com'è la giornata di un grande scrittore come Amos Oz?

Una routine assoluta. Mi sveglio alle 5, cammino mezz'ora nel deserto. E' un isolato da qui. Silenzio e solitudine. Poi torno a casa e bevo un caffè. E' una parte molto importante della mia giornata. Penso alle cose da scrivere, ai personaggi, alla vita, a quel che è importante. Il deserto è un grande maestro di vita. Poi mi siedo al tavolo e comincio a chiedermi "se fossi lui" o "se fossi lei"... Tutto il giorno immagino d'essere altre persone.... Scrivo la mattina. Il pomeriggio, spesso, distruggo quel che ho scritto la mattina.

Ho l'impressione che ci sia una relazione profonda tra il deserto e la scrittura di Amos Oz. Tra i suoi libri e quella vita trascorsa ai margini del nulla, in quel kibbutz il cui segretario un giorno gli disse:

Tu potrai anche essere Tolstoj, non dico di no, ma se qui tutti si sentono artisti, chi le munge le mucche?

venerdì 25 aprile 2014

Freya Stark, la viaggiatrice di genio

Le distanze riempiono la vita. Non so chi l'abbia detto, però sono parole perfette per una donna come Freya Stark, grande viaggiatrice, grande scrittrice, un secolo di vita che non le è bastato per fare tutti i conti con le inquietudini e l'incapacità di fermarsi una buona volta.

Lei, la figlia di eccentrici inglesi - forse è necessario essere eccentrici e inglesi per segnare un destino così - che a solo otto anni aveva annunciato di voler scrivere il seguito dell'Isola del tesoro. E che presto non si accontentò di cercare l'altrove con le parole, perché c'era tutto un mondo da scoprire, a piedi, a cavallo, perfino a dorso di mulo.

Lei su cui nessuno avrebbe davvero scommesso, da ragazzina. E che pure ai tempi in cui una donna sola non andava nemmeno al pub si lasciò incantare dall'Oriente e girò a lungo e in largo per i deserti. Imparò l'arabo, amò le oasi e le rose. Seppe inebriarsi di silenzio e lontananza.

Viaggiatrice di genio, così la onorò la Royal Geographical Society. E per quanto mi riguarda ammetto la mia ignoranza. A lungo non ho saputo chi fosse, Freya Stark. Solo ad Asolo, in Veneto, all'ingresso della villa abitata per molti anni, ho incontrato per la prima volta il suo nome. Me lo voglio tenere stretto, ora. Voglio leggere i suoi libri. Non può che meritare una scrittrice, anzi, una viaggiatrice che il piacere del viaggio lo spiegava così:


Si arriva, con un piacevole senso di gratitudine, a realizzare quanto ampiamente siano sparse nel mondo la bontà e la cortesia e l'amore per le cose immateriali, che fioriscono in ogni clima, su qualsiasi terreno. 

sabato 15 giugno 2013

Leggendo libri in groppa a un cammello

Uno dei nostri piacevoli passatempi nell'attraversare il deserto consisteva nel leggere libri di viaggio concernenti i luoghi per i quali stavamo transitando.

Talvolta, mentre si procedeva in groppa al cammello, qualcuno leggeva a voce alta a beneficio di tutti gli altri. 

Per le letture serali, ci riferivamo sovente ai passi delle Sacre Scritture ai quali lo scenario che ci circondava conferiva nuovo interesse, passi che narravano i viaggi dei primi ebrei verso l'Egitto.

(William  Cullen Bryant, Letters from the East, 1869)

mercoledì 18 luglio 2012

Se per scrivere c'è bisogno del deserto

Da anni è uno degli scrittori più conosciuti e apprezzati in tutto il mondo, ma vive ancora in una casetta ai margini del nulla, in una cittadina - Arad, in Israele - nata dal niente una cinquantina di anni fa.

Terra riarsa dal sole, distante da tutto. Eppure non la cambierebbe con nient'altro, Amos Oz, lui che ogni mattina si sveglia prima del sole, per inoltrarsi nel deserto. La sua scrittura, spiega in una recente intervista ad Antonella Barina, ha bisogno del deserto.

Ogni mattina alle cinque, quando è ancora buio, mi incammino tra rocce e sabbia. Da solo, nel silenzio più profondo, osservo il sorgere del sole. Il deserto rappresenta quel che è eterno contro ciò che è provvisorio. Mi è indispensabile per scrivere.

C'è quel silenzio, c'è quella luce che saluta il nuovo giorno, prima di ogni pagina di Amos Oz.


domenica 8 luglio 2012

Se nel deserto lo sguardo si spinge oltre le dune

A un certo punto, non so se per noia o per ripetere un gioco che spesso si fa da piccoli, ho chiuso gli occhi. 

Sono andata avanti per qualche minuto, camminando alla cieca e resistendo alla tentazione di guardare: all'inizio i passi erano incerti e scoordinati, poi man mano che avanzavo, l'andatura si faceva sempre più stabile e sicura. 

Ma è stata soprattutto la sensazione che ho provato a stupirmi: istintivamente immaginavo di sentire angoscia, invece un grande senso di libertà, del tutto inaspettato, ha incominciato a diffondersi nel corpo e nella mente. 

In quale altra situazione sarebbe possibile fare questo? mi sono chiesta. Solo nel deserto, ho concluso, si può camminare al buio senza paura.

Carla Perrotti, viaggiatrice innamorata del deserto, e Fabio Pasinetti, uomo di sport ipovedente dalla nascita, partono per un'avventura che è davvero di pochi: attraversare a piedi, in totale autonomia, il Deserto Bianco, in Egitto, distesa di dune incandescenti, pietraie infide e indescrivibili bellezze.

Racconteranno la loro impresa in questo Lo sguardo oltre le dune (Corbaccio). E con loro scopriremo che il deserto può essere un territorio dell'anima e che l'essenziale, come si legge nel Piccolo Principe, è davvero invisibile agli occhi.

 E visibile davvero solo a chi non smania per la linea dell'orizzonte, ma piuttosto sa guardarsi dentro. 

venerdì 22 giugno 2012

Johnny Cash, è con noi l'uomo in nero

Il grande solitario e la sua chitarra. Il fuorilegge onesto. Il vagabondo a cui si inchinò anche Bob Dylan.

Cos'altro dire del grande Johnny Cash, l'uomo che ha cantato l'America, l'America intera, dalle piantagioni di cotone alle pianure solcate dai treni, dai bar fumosi ai penitenziari?

Anche in Italia è arrivata la sua autobiografia, pubblicata da Dalai editore Non l'ho ancora letta, ma ne sono sicuro, non sono pagine buone solo per i patiti del rock 'n roll stelle e strisce. C'è una grande storia lì dentro, una storia cominciata nell'Arkansas degli anni Trenta, la grande depressione e i campi calpestati a piedi scalzi, roba esattamente come in Furore di Steinbeck.

Le prime canzoni scritte da militare, il succcesso perfino troppo facile e poi una singola smania di insuccesso.

I vagabondaggi da un capo all'altro del continente, notti insonni nel deserto, qualche accordo per farsi compagnia, l'acqua di cactus per sopravvivere. I concerti in carceri come Folsom e San Quintino. Le tossicodipendenze, al plurale.

Il figlio di braccianti che diventa il man in black, l'uomo in nero che di sè dice:

Mi vesto in nero per i poveri e gli sconfitti, che vivono senza speranza, affamati ai margini della città.

E lui che vive ai margini del sogno americano. Ai margini e fuori dal tempo, dove tutto corre veloce, dove tutto è business.

Passano gli anni, sembra quasi dimenticata quella sua canzone insieme a Bob Dylan, contenuta in Nashville skyline, anno di grazia 1969.

Tutto cambia, tutto scivola via, come uno di quei treni nella notte americana. La sua musica appartiene davvero a un altro mondo? Chissà.

Johnny Cash nel frattempo è un mito, un mito involontario, forse anche un po' inconsapevole. Perfino chi si assorda con la musica rap gli si inchina.

Johnny Cash è tornato dal deserto. E la sua è come la voce del profeta. Dell'uomo che ha attraversato il deserto per indicarci qualcosa che è davanti a noi, solo che non ce ne siamo accorti.  

mercoledì 23 maggio 2012

Amos Oz, che di sera distrugge cosa scrive di mattina


Un grande scrittore? Quasi sempre un uomo che trascorre il tempo indossando i suoi personaggi. A volte un uomo che non ha paura a distruggere la sera ciò che la mattina ha inventato. Raramente anche un uomo che si avventura nel deserto, qualunque cosa sia quel deserto.

Questo almeno quanto ho imparato leggendo la splendida intervista di Francesco Battistini ad Amos Oz, pubblicata da La Lettura del Corriere della Sera. Com'è la giornata di un grande scrittore come Amos Oz?

Una routine assoluta. Mi sveglio alle 5, cammino mezz'ora nel deserto. E' un isolato da qui. Silenzio e solitudine. Poi torno a casa e bevo un caffè. E' una parte molto importante della mia giornata. Penso alle cose da scrivere, ai personaggi, alla vita, a quel che è importante. Il deserto è un grande maestro di vita. Poi mi siedo al tavolo e comincio a chiedermi "se fossi lui" o "se fossi lei"... Tutto il giorno immagino d'essere altre persone.... Scrivo la mattina. Il pomeriggio, spesso, distruggo quel che ho scritto la mattina.

Ho l'impressione che ci sia una relazione profonda tra il deserto e la scrittura di Amos Oz. Tra i suoi libri e quella vita trascorsa ai margini del nulla, in quel kibbutz il cui segretario un giorno gli disse:

Tu potrai anche essere Tolstoj, non dico di no, ma se qui tutti si sentono artisti, chi le munge le mucche?

sabato 18 febbraio 2012

Una vita intera nel deserto dei Tartari

Figurarsi che la prima volta che mi capitò di leggere Il deserto dei tartari di Dino Buzzati fu tanti anni fa, per portarlo all'esame di terza media: lettura non dico sconsigliata per un adolescente, ma certo intempestiva, perché questo è un libro che è come il vino che invecchia acquistando un corpo diverso, arricchendosi di sfumature che fanno la differenza.

In seguito a lungo mi sono fatto accompagnare dalle sue domande metafisiche, dalla vertigine dell'attesa che inghiotte  la vita intera del tenente Drogo, magari anche dalla fame di un nemico, perché anche un nemico può regalarti un senso...

Solo più tardi ho capito che il senso è piuttosto abbandonare la fortezza e scommettere su un altrove... ma è da qui, è dal deserto dei Tartari, che bisogna sempre partire... è il deserto dei Tartari che pretende sempre da noi una risposta...

E ancora oggi torno alle pagine che mi raccontano di quell'attesa, del giorno della battaglia che forse sarà domani, o domani ancora, ma mai oggi, di quella vita che aspetta perennemente la sua chiamata, il suo banco di prova, il gesto che le attribuirà un senso, pure nella sconfitta...

E tutto questo con il passo del romanzo di avventura (senza avventura), da ragazzino appunto...

Ci sono libri che fai fatica a catalogare anche come capolavori, perché devi andare oltre un giudizio sulla qualità, non ci sono stelle o voti o categorie di valutazione che esprimano quanto un libro è entrato nella tua vita, quanto ti è stato essenziale.

Per me un libro fondamentale. Credo per parecchi.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...