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mercoledì 9 settembre 2015

Una panchina al centro dell'universo

Poiché amo le panchine, poiché amo perdere, anzi, guadagnare il mio tempo sulle panchine, magari guardando la gente che passa, magari nascondendomi dietro la copertina di un libro (mi piace anche far prendere aria ai miei libri) a lungo mi sono fatto accompagnare da Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne di Beppe Sebaste (Laterza).

Sono pagine in cui ho trovato uno straordinario catalogo delle panchine usate e amate - chissà se un giorno anch'io non tenti qualcosa del genere. E anche una serie di definizione di panchina che mi piace riportarne tre o quattro.

Una panchina perfetta è come una 'piega' del mondo, non un luohgo nascosto ma una zona franca, liberato o salvata, dove semplicemente sedersi è già in sé una meditazione.

A definire le panchine, tuttavia, non è solo il sedersi, ma un certo tipo di sedersi, un certo uso, non solo e non tanto del proprio corpo quanto del proprio tempo, e della propria mente. Lasciare libera la mente di vagare, divagare. Passeggiare da fermi.

La panchina è un luogo di sosta, un'utopia realizzata.

Ovunque si trovi, la panchina è per chi si siede il centro dell'universo.

Mica male: la panchina come utopia realizzata. Come centro dell'universo. Tutto è relativo, il tempo e lo spazio. Seduti su una panchina. 

martedì 18 dicembre 2012

Se il mio leggere fa andare avanti il mondo

L'altro giorno ero nella fase finale della lettura dell'ennesimo mastodontico giallo svedese - libri che da qualche tempo prediligo per la loro lussuosa lentezza. Dopo quelli di Henning Mankell, ora sto dedicandomi a quelli di Stieg Larsson. 

Dovevo lavorare (cioé scrivere, lavoro reso difficilissimo dalla quasi totale assenza di un capufficio), ma me la godevo troppo a continuare a leggere il giallo svedese, a lasciare scorrere il tempo senza fare nient'altro che quello, continuare a seguire la storia dei personaggi che erano in quel momento la mia famiglia e i miei amici. 

E improvvisamente mi è venuta per la prima volta l'idea che non era vero che non stavo facendo niente, e non era vero nemmeno che ero da solo mentre leggevo. 

Ho pensato anzi che leggere sia un benefico e generoso lavoro collettivo, o comunque fatto anche per gli altri, come i riti e le preghiere. 

Avevo l'idea che il mio leggere facesse andare avanti il mondo, che in qualche modo lo tenesse in piedi, e comunque tenesse in piedi il mondo del libro che stavo leggendo. 

Senza di me, cioé se avessi smesso di leggere, che ne sarebbe stato della storia e dei suoi personaggi?

(da Beppe Sebaste, Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne, Contromano di Laterza)

lunedì 17 gennaio 2011

Su una panchina, passeggiando da fermi

Poiché amo le panchine, poiché amo perdere, anzi, guadagnare il mio tempo sulle panchine, magari guardando la gente che passa, magari nascondendomi dietro la copertina di un libro (mi piace anche far prendere aria ai miei libri) a lungo mi sono fatto accompagnare da Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne di Beppe Sebaste. Nelle cui pagine ho trovato oltre a uno straordinario catalogo delle panchine usate e amate - chissà se un giorno anch'io non tenti qualcosa del genere - anche una serie di definizione di panchina che mi piace riportare.

Una panchina perfetta è come una 'piega' del mondo, non un luohgo nascosto ma una zona franca, liberato o salvata, dove semplicemente sedersi è già in sé una meditazione


A definire le panchine, tuttavia, non è solo il sedersi, ma un certo tipo di sedersi, un certo uso, non solo e non tanto del proprio corpo quanto del proprio tempo, e della propria mente. Lasciare libera la mente di vagare, divagare. Passeggiare da fermi


La panchina è un luogo di sosta, un'utopia realizzata


Ovunque si trovi, la panchina è per chi si siede il centro dell'universo

martedì 28 dicembre 2010

Se la panchina è il luogo dell'utopia

Una buona panchina fa sentire al riparo chi vi si siede, e fa apparire il suo ozio come un'attività non soltanto legittima, ma di qualità superiore, da intenditore - un po' come quando al ristorante uno ordina un piatto molto semplice e il cuoco gli fa capire di considerarlo un buongustaio

Che bello questo Panchine. Come uscire dal mondo senza uscire (Laterza, collana Contromano), di Beppe Sebaste, libro leggero e profondo allo stesso tempo, poetico di una poesia che scaturisce in primo luogo da uno sguardo inconsueto sul mondo...

Perché è questo che fa, in buona sostanza, Beppe Sebaste: si siede e guarda davanti a sè, si siede e usa il suo tempo senza ansia e senza pretesa. E lo usa assai bene, perché spesso e volentieri il tempo usato meglio è quello che quasi quasi sembra dilapidato.

Soprattutto oggi, in questo mondo dove pare che si sia posto solo per la rapidità, per gli spostamenti rapidi e ripetuti, per giornate imbevute solo di movimento. E sarà anche per questo che le panchine - avete notato anche voi? - stanno scomparendo dalle nostre città o sono confinate in posti - per esempio le hall dei centri commerciali - dove è chiaro che potrai fermarti solo per tirare il fiato e quindi tirarti su e fare subito quello che devi fare (produci, consuma, crepa...). Il tempo è denaro, come fai a perderlo su una panchina?

E allora questo libriccino non è solo poesia, è anche presa di coscienza, protesta, riappropriazione di giornate e spazi e tempi. Per dirla con Beppe Sebaste:

Stare in panchina, nel elssico attuale, è il contrario dello scendere in campo. Ma la panchina è l'ultimo simbolo di qualcosa che non si compra, di un modo gratuito di trascorrere il tempo e di mostrarsi in pubblico, di abitare la città e lo spazio. La panchina è un luogo di sosta, un'utopia realizzata

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...