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martedì 16 agosto 2016

Cimiteri, parole, treni: la Bosnia di Azra è di tutti

E dunque, in primo luogo mi viene da ringraziare la casa editrice - la Spartaco di Santa Maria Capua Vetere - che ha proposto questo piccolo grande libro: ennesima conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che un'editoria piccola ma coraggiosa ci fa respirare l'aria di un mondo più vasto. In secondo luogo mi viene da ringraziare il libraio di una delle mie librerie predilette - l'Ora Blu di Firenze - che questo libro me l'ha messo tra le mani con la più incoraggiante delle frasi: prova a leggerlo, non te ne pentirai. In terzo luogo, mi viene da ringraziare l'autrice, Azra Nuhefendic, che con il suo Le stelle che stanno giù, mi ha dimostrato che c'è ancora spazio per una scrittura che sa insieme essere testimonianza, reportage, denuncia, narrazione elegante e partecipata.

Azra è una giornalista bosniaca musulmana, che ai tempi ha lavorato per la tv di Belgrado e oggi vive a Trieste. Nelle sue cronache - ma è riduttivo chiamare cronache, quasi fossero lavori destinati al consumo di un giorno - ci racconta la Jugoslavia - il paese che c'era prima - e quindi la Bosnia Erzegovina nel mezzo dell'orrore sopportato anche in prima persona. Ciò che è successo, come le cose sono cominciate e cosa ne è disceso, perché una guerra non si conclude mai solo con il cessate il fuoco.

Azra cerca ragioni, indaga sugli scheletri negli armadi, insegue parabole di vita, si interroga prima di tutto su ciò che è stato della sua vita, al crocevia come una delle grandi tragedie del Novecento.  Riepiloga terribili nefandezze, ma sa anche commuovere con giganteschi lampi di umanità, raccontando per esempio di quei "nemici" serbi, che nei giorni più duri, l'hanno nascosta, protetta, sfamata (un popolo è sempre al plurale, ci sono volti, nomi, storie, persone come un vicino di casa che ti può consegnare oppure salvare). 

Parla di cimiteri che ora dividono le comunità anche da morti, in un paese dove prima era comune accendere una candela per un'icona ortodossa, passare da una chiesa cattolica e poi condividere una preghiera con i musulmani. Parla di una lingua che prima era uguale per tutti e ora è il croato per i croati, il serbo per i serbi, il montenegrino per i montenegrini, il bosniaco per i bosniaci, con i linguisti al servizio dei nazionalisti per inventarsi ridicoli neologismi e gli interpreti chiamati per i primi incontri ufficiali dopo la guerra. Parla del treno tra Sarajevo e Belgrado che per diciott'anni non c'è più stato e delle altre linee, delle altre strade che sono state interrotte - Ci costringevano a stare in territori sempre più piccoli, dentro confini sempre più stretti, a non muoverci, a interrompere i contatti non solo fisici ma anche mentali, finché la rottura non fu completa, fino a che l’isolamento non si trasformò in assedio - non senza rammentare con nostalgia i treni della vecchia Jugoslavia socialista, che i giovani della sua generazione prendevano d'estate, per andare al sud, al mare: affollati, lenti, arroventati dal sole, ma anche carichi di un'idea di futuro che doveva essere per forza diverso.

Cimiteri, parole, treni: quante cose in questo libro. Quanti campanelli d'allarme da far funzionare, sempre e comunque. Quanta umanità di cui far tesoro in un mondo che non ha smesso di essere difficile. 

mercoledì 9 luglio 2014

Carlo Pisacane finalmente raccontato come si deve

Combatteranno con me tutti i dolori e tutte le miserie d'Italia.

Combatteranno e non riusciranno a imporre la loro verità, a manifestare la fame di giustizia di questo nostro paese. Combatteranno per andare incontro, quasi sempre, a disastri annunciati e a belle morti buone per il ricordo di chi verrà. Allo stesso modo dell'uomo che quelle parole le ha pronunciate, in una sorta di testamento che riguarda tutti noi.

Avevamo bisogno di una buona penna che ci ricordasse chi è stato Carlo Pisacane, che ci raccontasse di come è morto e prima ancora di come è vissuto questo ufficiale borbonico che le bizzarrie della storia ci hanno consegnato come il primo socialista italiano. L'abbiamo trovata, la buona penna intendo, in Emilia Sarogni, scrittrice che da tempo ci consegna personaggi che meritano attenzione e gratitudine.

L'amore. L'Italia. Il socialismo. Questo è  il sottotitolo della biografia pubblicata per le edizioni Spartaco. Tre parole che sembrano poter contenere una vita che invece, nei pochi anni a disposizione, tentò sempre di oltrepassare ogni confine dettato dalle convenienze e dal conformismo.

Emilia Sarogni questa vita la dipana con il rigore di studi scrupolosi, ma anche con la passione di chi sa che ha una grande storia da narrare, un personaggio che meriterebbe un romanzo definitivo. E no, non cede alla tentazione del romanzesco, agli effetti speciali. Semplicemente mostra, lascia che gli eventi parlino da soli.

E così ecco che in qualche modo ci siamo anche noi, a fianco di Carlo Pisacane. Magari mentre fugge da Napoli, non per una cospirazione fallita ma per amore della sua Enrichetta. Eccolo, mentre va incontro al suo destino, alla mattanza che più tardi entrerà nei versi della spigolatrice di Sapri - Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! 

E quasi non si vorrebbe proseguire per quelle pagine che raccontano di una sconfitta già scritta, di una morte fin troppo messa in conto, di una solitudine insopportabile, magari anche di quell'ultimo atto di generosità, l'ordine di non sparare sui massacratori.  

Quasi non si vorrebbe proseguire, tranne poi congedarsi con un pensiero che può essere anche un impegno: farà bene al nostro paese far conoscere Carlo Pisacane, raccontarlo ai ragazzi, nelle scuole, spiegare loro che non è solo un monumento, il nome di una strada.

venerdì 30 maggio 2014

Dieci persone intorno al vulcano

C'è Janet che desidera un amore, c'è Hans che è ossessionato da un disco raro, c'é Consuelo che ha una missione, c'è Roberto che è in cerca di una nota, c'è Kevin che insegue suo padre, c'è Vanessa che pretende giustizia, c'è Antoine che anela un rifugio, c'è Richard che vuole un trampolino, c'è Yumi che ambisce a un lavoro, c'è Ingrid che sul ciglio della morte attende una risposta....

Dieci personaggi, ma Dieci piccoli indiani di Agatha Christie non c'entra niente. Dieci personaggi che inseguono qualcosa, o che scappano da qualcosa. Dieci personaggi in viaggio, lungo le loro traiettorie geografiche ed esistenziali, le più disparate. E per tutti un punto di arrivo e incrocio, al cospetto dell'undicesimo personaggio, il personaggio che non è un personaggio, anzi lo è: Iddu, ovvero il vulcano di Stromboli. Potente, metafisico, magnetico, pagano.

Che bel libro che è Iddu. Dieci vite per il dio del fuoco, opera prima di Andrea Vismara (edizioni Spartaco) che dell'opera prima non ha certo i difetti - è scrittura matura, storia potente - ma semmai i pregi - freschezza, e originalità.

Ho avuto la fortuna di presentare questo libro, l'altro giorno al caffè letterario delle Murate, a Firenze. Più che una presentazione, in realtà, una conversazione sospinta da letture intense e dalla musica - al basso - dello stesso Andrea. E quelle pagine sono state ritmo ed emozione che mi ha confermato la prima lettura.

Quella di Andrea è una nuova voce che si affaccia sul panorama non esaltante della narrativa italiana. Ci scommetto sopra: ne sentiremo ancora parlare. Sarà che è anche fotografo: e le storie che racconta in Iddu mi sembra di vederle scorrere come sequenze cinematografiche. Sarà che è anche musicista: e a leggere questo libro pare di riacciuffare le note dei Sigur Ros, o di Keith Jarret, o di Miles David.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...