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mercoledì 10 aprile 2013

Come Stevenson scoprì la sua isola del tesoro


Robert Louis Stevenson, ovvero lo scrittore che ci ha portato in dono il brivido dell'avventura, la possibilità di una giustizia che si fa largo anche attraverso il cozzo delle armi, l'emozione delle vele che si spiegano al vento per condurci fino ai Mari del Sud.

Ma com'è che nasce Stevenson scrittore?

Pensare che apparteneva a una solida famiglia di ingegneri e che avrebbe dovuto seguire le orme del padre, che peraltro faceva una delle cose più belle che possa mai fare un ingegnere, costruire fari.

Non troverete viaggi e imprese, prima dei suoi libri.

Troverete casomai una bambinaia, Alison, dotata di una fervida immaginazione e capace di trattenere l'attenzione dei bambini con una parola capace di dipingere storie. Troverete i tanti giorni che Smout (pesciolino, così lo chiamavano i genitori) era costretto a passare a letto, ammalato, dando briglia sciolta alla fantasia.

Un giorno racconterà di quel letto, in una delle sue poesie:

Per un'ora o giù di lì
guardavo i soldatini marciare variopinti
lungo le lenzuola, su per le colline.
E talvolta mandavo intere flotte
a solcare il lenzuolo 
o tiravo fuori alberi e case,
per creare città all'intorno

Così il letto di un bambino diventò il mondo intero. Così il mancato ingegnere dei fari un giorno scoprirà la sua Isola del Tesoro.

domenica 22 gennaio 2012

Cosa ci insegna lo spezzatino di New York

E' un libro che mi sta conquistando, La bellezza del mondo di Michel Le Bris e, quando lo avrò finito (un po' ci vorrà data la mole), ne avrò modo di parlare parecchio. Ci sono i viaggi, le esplorazioni, le avventure, c'è il business, che non può mai mancare, c'è soprattutto la giungla più giungla di tutte, il cuore pulsante del mondo, New York, qui raccontata nei suoi magnifici, travolgenti, assurdi anni Venti, quelli di Francis Scott Fiztgerald, del proibizionismo, dei gangster e del jazz. E c'è un atto di amore per la Grande Mela, crogiuolo di popoli, città dove si può incontrare di tutto, che fa maledettamente bene leggere oggi, ovunque noi siamo:

Chicago aveva i suoi chicagoani, Boston i suoi bostoniani, Ne York aveva irlandesi, tedeschi, francesi, italiani, siriani, turchi, svedesi, cinesi, indù, russi, texani, georgiani, californiani, messicani, portoricani, canadesi, cajun, eschimesi, cechi, cubani, spagnoli, portoghesi, lituani, greci, arabi, ma ognuno di loro, fosse pure vestito con gli abiti tradizionali, preoccupato dei suoi usi e costumi, si vantava di essere newyorkese, come se i grandi cuochi del pianeta avessero inviato a New York le loro spezie più prelibate per insaporire quel enorme pot-au-feu - ognuno, smanioso di dare spettacolo di sè, pretendeva di essere attore di quell'immenso "show" che era diventata la città. New York, il teatro del mondo! New York, come una sfida lanciata al resto dell'universo, in preda all'ebbrezza della sua insolenza sfoggiata, avida d'infrangere tutti i tabù, di opporsi ai pregiudizi, di affermare la sua smagliante giovinezza....


(Michel Le Bris, La bellezza del mondo, Fazi)

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