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giovedì 20 novembre 2014

Due grandi scrittori nel dolore della Grande Guerra

Due grandi scrittori molti diversi, accomunati dallo stesso destino nell'inferno della Grande Guerra. Non come soldati, ma come padri: entrambi saluteranno un figlio che dal fronte non tornerà più.

E dunque, da una parte c'è Conan Doyle, il padre di Sherlock Holmes, l'investigatore che è lucidità, ragione, rigorosa deduzione capace di scartare tutto ciò che non è logico. Sconvolto dal dolore, alla morte del figlio Kinsley, si tuffò nello spiritismo: la negazione privata della morte, come qualcuno l'ha definita. Doveva esserci un modo per comunicare ancora col figlio perduto. Fece di tutto per crederci, lui che a Londra contribuì addirittura a fondare una chiesta spiritista.

Dall'altra c'è Rudyard Kipling, altro grandissimo della letteratura, che ci evoca profumi e misteri d'oriente, leggende, folletti che compaiono all'improvviso per spingere bambini in altre epoche. Forse anche lui fu tentato dallo spiritismo. Però non andò molto oltre su questa strada. Piuttosto trascorse il resto della sua vita a curare la memoria pubblica dei morti sui campi di battaglia. Dei moltissimi, tra cui anche suo figlio. Si impegnò nella Commonwealth War Graves Commission e fu lui a scegliere la frase biblica all'ingresso di molti cimiteri di guerra: Il loro nome vorrà in eterno - in effetti tremenda illusione anche questa.

Leggo le loro vicende nel bel libro di Jay Winter edito da Il Mulino, Il lutto e la memoria. E fanno riflettere, come no. Tra le altre cose, anche sulle incommensurabili distanze che separano la vita dentro i libri dalla vita fuori. 

martedì 16 ottobre 2012

Invece di Sherlock Holmes la caccia alle balene

Successe in un pomeriggio freddo e umido a Edimburgo, una cornice ideale, quasi scontata, per uno dei romanzi che un giorno avrebbe scritto.

Arthur Conan Doyle, lo scrittore che in futuro tutto il mondo avrà modo di conoscere per Sherlock Holmes, per ora è solo un giovane sui 20 anni, che frequenta il terzo anno di medicina, una vita da dottore che lo aspetta e qualche uggia che dentro non lo lascia tranquillo.

Quel pomeriggio freddo e umido un suo compagno di corso bussa alla sua porta con una proposta che sembra una convocazione del destino: perché non interrompe gli studi e non si imbarca, come medico di bordo, sulla Hope, una baleniera che sta per partire per i mari artici?

Conan Doyle, pare, non ci pensa due volte. Prende e parte. Quella spedizione sarà dura ma ricca di un singolare fascino. Alla fine il capitano Gray - nome perfetto per il capitano di una baleniera - gli proporrà di partire anche l'anno successivo, con stipendio raddoppiato e la possibilità di impiegarsi anche come fiociniere.

Non si sa quanto Conan Doyle ci rifletta sopra. Si sa solo che alla fine non ne farà di niente. Riprenderà gli studi, comincerà a scrivere sul serio.

Chissà però se avesse ripreso il mare con la sua baleniera. Chissà se ci sarebbe stato Sherlock Holmes, nella sua vita. Chissà se altri non sarebbero stati i suoi libri, di spedizioni artiche e non di delitti. Ha sempre un particolare fascino la strada che non viene presa, no?


Ps:  Pare che in effetti a convincere Conan Doyle a non ripartire sia stata la madre. Che per dire, anni più tardi convincerà il figlio a restituire la vita a Sherlock, dopo che lui l'aveva "ucciso" nell'ultimo romanzo. Che madre, dietro il figlio.

martedì 21 agosto 2012

La quasi vittoria che rese grande Dorando

Quello è Dorando, il grande campione di maratona che quasi vinse alle Olimpiadi di Londra.

Le Olimpiadi di cui si parla non sono quelle che si sono appena chiuse, sono quelle del 1908. Più di un secolo è passato, insomma, e ancora la storia di Dorando non è stata dimenticata. Ancora quella quasi vittoria rimane viva più di qualsiasi altra vittoria nelle tante maratone che da allora si sono disputate.

Dorando Petri, cioé il garzone di bottega italiano che corre sempre. Corre quando consegna il pane, quando si riposa dal lavoro, quando sfida gli altri pionieri di uno sport per cui ancora non ci sono divise griffate e integratori alimentari. Corre fino ad arrivare alla gara olimpica, corre tra gli sguardi di sufficienza e il razzismo nemmeno velato di chi si intende di sport e non può prendere in considerazione quell'omino di una nazione disgraziata. Corre e quel giorno stacca tutti, tranne smarrirsi sul traguardo e farsi squalificare per la spinta di un giudice - qualcuno disse che si trattava di Conan Doyle, sì, proprio colui che ci ha regalato Sherlock Holmes.

In seguito quell'omino vinse molto, nella sua vita. Guadagnò anche molto, tranne poi perdere tutto. Ma per tutta la vita e anche dopo - più di un secolo dopo - sarà sempre quello della quasi vittoria.

E con Il sogno del maratoneta (Garzanti) Giuseppe Pederiali ci racconta questa storia. Storia buona anche per chi alla corsa è allergico, perfino alla televisione. Storia di un'impresa mancata e di un'epoca andata. Parabola di una vita tenace e stralunata, che rovesciò anche una certa idea degli italiani in giro per il mondo. Da leggere.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...