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lunedì 15 luglio 2019

Viaggio sentimentale nelle strade perdute del mondo

Proviamo a mettere la geografia al servizio della storia, e non viceversa; e magari riusciremo a ritrovare qualcosa di noi che forse era perduto.

Ecco, a questo ci esorta Alessandro Vanoli, all'inizio del suo nuovo, ottimo libro, Strade perdute, uscito in queste settimane per Feltrinelli. Come se fosse il consiglio di un amico o meglio ancora di un compagno di viaggio, che sa bene che ciò che del viaggio conta non sono i chilometri macinati ma le storie raccolte e poi condivise.

Poi è lui stesso che si mette in viaggio, insieme nel tempo e nello spazio, e quasi non gli si sta dietro, è un viaggio da vertigine, un viaggio che parte prima ancora che cominci la nostra storia, nelle grotte dell'uomo di Neanderthal, per arrivare all'altro ieri, in quella Route 66 che, prima di cedere il posto alle grandi autostrade, è stato il simbolo delll'America sulle quattro ruote e insieme del viaggio verso Ovest, del commesso viaggiatore come del poeta beat. 

Viaggio sentimentale sulle vie che hanno fatto la storia, è questo il sottotitolo del libro, che oltre a evocare il capolavoro della letteratura di viaggio di Laurence Sterne ci restituisce la consapevolezza del viaggio quale esperienza che coinvolge la testa e il cuore. 

Pagine dove c'è lo storico, che sa bene che la storia discende anche da scelte e che non è mai male cambiare il punto di vista, passando per esempio dalle città alle strade che le città uniscono, dai confini di stato alle frontiere mobili che i mercanti e i pellegrini hanno sempre attraversato.

Pagine dove c'è il narratore che sollecita l'intelligenza e riscalda il cuore del lettore, si parli della discesa del Nilo - magari riandando persino al terrore adolescenziale per La Mummia di Boris Karloff - come degli antichi romani che si sono spinti fino in India, oppure sulle ferrove quali la Transiberiana che nell'Ottocento hanno reso meno lontani tanti luoghi del pianeta. 

Non siamo esseri in movimento? 

Così si domanda a un certo punto Alessandro e ovviamente la risposta, dovuta e doverosa, si vorrebbe scontata - sì, da sempre siamo esseri in movimento - benché oggi muri e amnesie la rimettano in discussione. Meno male che ci sono libri come questo, che sono già zaino leggero per una nuova partenza.

 

giovedì 4 maggio 2017

Il piacere della gentilezza, arte dei camminatori

Ciò di cui vorrei parlare è la gentilezza universale, vale a dire non la regola da applicarsi in un determinato posto e in una certa circostanza, ma l'intelligenza delle regole. 

Gentilezza universale, che bella espressione. Come per dire che non è che possiamo permetterci di essere gentili solo a casa propria, oppure di essere gentili solo con i nostri vicini e non ncon coloro che arrivano da lontano. E' qualità che ci riguarda sempre, la gentilezza. E' qualità che non va mai presa sottogamba, quasi fosse solo una questione di forma. A parte che anche la forma è importante, quali possono essere le conseguenze di un saluto non dato, di un rimgraziamento fatto mancare?

Ecco, di tutto questo parla Bertrand Buffon, ne Il piacere della gentilezza, ultima scoperta che ho fatto tra le ormai numerose uscite di quella splendida collana che è la Piccola filosofia di viaggio di Ediciclo. Intrigante fin dal titolo che incrocia il piacere con la gentilezza - e non  era scontato - in queste pagine si ritrova il senso di ciò che deve rappresentare davvero la buona educazione.

E già che ne parli io mi suona strano, dopo una vita trascorsa a sbuffare su tante regole che, a mio parere, avrebbero duvuto far la stessa fine del Galateo del Monsignor Della Casa - roba da cortigiani, roba da gente snob.

Ma ovviamente c'è anche un'educazione del cuore. Ovviamente ci sono parole che è bene coltivare - poco importa se quasi sempre sono pronunciate per abitudine, come in una stanca liturgia.

Il senso della gentilezza va ricercato nella relazione che si stabilisce - spiega Buffon - Il suo scopo è di attirare gli uni verso gli altri e, in un certo senso, di farli incontrare.

Cosa evidente per chi, come me, cerca spesso di partire per qualche cammino. In città quasi sempre ci si incrocia per strada e nemmeno si solleva lo sguardo. Ma in un sentiero di montagna c'è sempre il modo di scambiarci un saluto: e in quel modo diventiamo comunità, anche con chi dopo pochi secondi ci sparirà per sempre alla vista. La gentilezza - dice ancora l'autore - è un'arte collettiva.

Un'arte - aggiungo io - che va particolarmente coltivata da chi viaggia. A volte basta una parola. Magari un arrivederci o un grazie in una lingua che non è la nostra.


sabato 25 ottobre 2014

I libri di viaggio fanno girare la testa


I libri di viaggio sono di moda, ma più che il mondo ti fanno girare la testa.

I libri di viaggio mi piacciono quando dell’autore conosco la patria, la famiglia e l’indirizzo di casa: quando insomma uno dei due termini, il viaggiatore e le terre viaggiate, m’è già noto. 

I viaggi invece descritti dall’uomo spugna che oggi si chiama cosmopolita mi ricordano il vano gioco delle nuvole che si riflettono nell’onda. Né di qua né di là sai dove appoggiarti. 

Per un attimo ammiri, poi sbadigli e prendi sonno.

(da i Taccuini di Ugo Ojetti) 

martedì 7 ottobre 2014

Perchè ogni minuto di viaggio è malinconico

In qualsiasi posto vai, lo fai per vederlo ma anche per eliminarlo, per non andarci mai più.

Per dire: lì ci sono già stato e quindi devo andare in un altro posto, dove non sono ancora stato.

E poichè i posti che non hai visto sono infiniti, non potrai più tornare negli stessi, perché ormai la giudichi come una perdita di tempo.

In questo modo, ogni minuto di ogni viaggio diventa così malinconico perché sei fermo davanti a qualcosa che, se hai abbastanza coscienza della vita futura, sai che non vedrai mai più. Che da quel momento fino a quando morirai non ci sarà un'altra volta in cui potrai essere di nuovo qui.

Anche per questo non puoi fare a meno di vedere "tutto"; perché non ci tornerai "mai più".

(Francesco Piccolo, Allegro occidentale, Einaudi)

lunedì 7 luglio 2014

Buone parole per raccontare buoni viaggi


È stato al termine di un'intensa giornata di docenza alla Scuola di narrazioni “Arturo Bandini”, qualche tempo fa. Avevo appena salutato le persone con cui avevo trascorso otto ore di confronto su molte esperienze e molte parole. Il tempo era volato via e anch'io me ne tornavo a casa con qualcosa in più di quando, quella mattina, mi ero presentato in aula. Prima di andarmene lo sguardo mi era caduto su alcuni fogli: gli appunti che mi ero preparato per l'occasione.

Non che li avessi seguiti passo passo. Anzi, tutto sommato li avevo trascurati, affidandomi agli interessi e agli umori di chi avevo davanti. Però erano stati utili – se non altro perché mi avevano aiutato a mettere a fuoco alcune idee sulla scrittura legata al movimento nel tempo e nello spazio. Ora li avevo abbandonati sul tavolo, come una cartella stampa dopo che si è scritto un articolo o come il biglietto di uno spettacolo appena concluso. Peccato, però. Forse, lavorandoci sopra, a qualcosa potevano ancora servire.

È stato in quel momento che mi sono venute in mente alcune persone che con me condividono la passione per il viaggio e soprattutto per la scrittura di viaggio. Buoni viaggiatori – senz'altro in questo migliori di me – in confidenza con la parola che si mette in cammino per raccontare quella fondamentale esperienza dell'uomo che è, appunto, il viaggio. Amici che scrivono, che leggono molto, che raccontano. Amici che, quando non sono in viaggio, spesso e volentieri sono impegnati in presentazioni, incontri, lezioni. Figurarsi se anche loro non avevano qualcosa, anzi, molto da condividere. Perchè non assem
blare le nostre esperienze, i nostri sguardi, i nostri consigli, per costruire insieme una piccola guida per la scrittura di viaggio?

L'idea è piaciuta ed ecco che n'è venuto fuori: questa piccola guida che vi proponiamo con la convinzione che in realtà si tratti dell'inizio di un percorso. Di un viaggio di parole – diciamo così – che intendiamo fare insieme – insieme anche a voi – per riflettere sul significato, sulle possibilità e anche sulle tecniche della scrittura.

Si parte da qui, con questa nostra squadra e con questo titolo nella collana Fuorirotta della Romano editore che contiamo diventi occasione per incontri, lezioni, seminari, chiacchierate in luoghi accoglienti e partecipati. E chissà che grazie a questo lavoro, fatto anche di proposte, approfondimenti, stimoli, perfino critiche, altre edizioni di questa guida e altri strumenti non possano vedere presto la luce.

Noi siamo qui. Pronti a questo viaggio. 

(Paolo Ciampi, con Alessandro Agostinelli e Tito Barbini, Parole in viaggio, Romano editore)

domenica 15 giugno 2014

Come da piccolo, quando viaggiavo sui libri di avventura

Come da piccolo, quando una febbre vera, oppure dichiarata e generosamente riconosciuta, mi liberava dalla scuola. Non erano brutte giornate, quelle, però non filavano mai. Le ore erano un cargo appesantito che risale la corrente e chissà se e quando arriverà a destinazione.

Chiunque l'abbia detto aveva ragione: i decenni volano via, sono certi pomeriggi che non finiscono più.
E la televisione non era mica come ora, che a ogni momento c’è il cartone animato, il supereroe alle prese con i mali del mondo, la partita del campionato brasiliano. A parte L’isola dei Gabbiani e Avventura – da brividi la sigla, Joe Cocker con She came in through the bathroom window – tutto era di una noia mortale. Corsi di tedesco per principianti, lezioni sui principi della termodinamica, documentari sulle api o sul baco da seta, cose così insomma.

Meno male che c’erano i libri. Meno male che c’era Emilio Salgari.

Se il tempo passava e non passava, per farlo passare meglio avevo molti amici che si erano raccolti intorno a me per tenermi compagnia. Sandokan e quella simpatica canaglia di Yanez. Tremal-Naik e tutti i tigrotti di Mompracem. Il Corsaro Nero e la bella Jolanda.

Leggevo, in giornate così. Leggevo finché la testa faceva male, le righe ballavano sotto gli occhi, le pagine diventavano una macedonia di lettere. Se perdevo il segno era un problema ritrovarlo, perché la pagina girata si confondeva con quella ancora non letta. Tanto era un pezzo che la storia aveva abbandonato il libro.

Oppure no, ero io che avevo abbandonato quella stanza e già veleggiavo verso Maracaibo, sempre che non mi fossi perso tra i coccodrilli del delta del Gange.

A un certo punto il libro scivolava dalle ginocchia, le palpebre si abbassavano a saracinesca. Me ne andavo via, sul serio.
A volte mi portavo dietro una manciata di parole. A volte erano loro a inseguirmi, come un’eco. Parole tipo quelle del fratellino Yanez.

Noi non siamo uomini da condurre una vita tranquilla. Siamo invecchiati fra le urla di guerra dei malesi e dei dayachi ed il fumo delle artiglierie, e rimpiango sempre Mompracem.

Sapete, hanno continuato a risuonarmi anche molti anni più tardi, queste parole. Anche quando mi sono ormeggiato a una scrivania con computer e ho insediato la mia Tortuga in una bella casa di un quartiere residenziale. Noi non siamo uomini da condurre una vita tranquilla. Anche quando ho messo su pancetta e famiglia, quelle parole.

E come è vero, rimpiango sempre Mompracem.
La rimpiango e la cerco ancora sulla mappa dei miei sogni.

 (da Paolo Ciampi, I due viaggiatori, Mauro Pagliai edizioni)

sabato 12 aprile 2014

Ai viaggiatori a piedi i buoni propositi di Jerome

Non riuscimmo ad attuare interamente il nostro programma, per il semplice fatto che le azioni umane sono sempre inferiori agli umani propositi. E' facile dire e credere, alle tre del pomeriggio, che "ci alzeremo alle cinque del mattino, faremo una colazione leggera alle cinque e mezzo, e partiremo alle sei".

"Così riusciremo a fare un buon tratto di strada, prima che il caldo diventi afoso" osserva uno.

"In questo periodo dell'anno, l'aurora è la parte migliore della della giornata. Non vi sembra?" aggiunge un altro.

"Oh, indubbiamente".

"L'aria è così fresca e pura".

"E la luce è così dolce!".

La prima mattina, si mantiene il proponimento. Ci si riunisce alle cinque e mezzo. Il gruppo è silenzioso; individualmente, si è alquanto rabbiosi, propensi a lagnarsi dei cibi e anche di tutto il resto; l'atmosfera sembra carica di nervosismo represso in cerca di uno sfogo. E la sera si ode la voce del tentatore:

"Se partissimo alle sei e mezzo precise, potrebbe bastare, io credo"

(Jerome K. Jerome, Tre uomini a zonzo, Bur)

giovedì 21 novembre 2013

Se Bruce Chatwin non affascina i ventenni di oggi

Con il tempo, Chatwin ha visto diminuire la sua popolarità, un fenomeno comune a molti scrittori famosi, forse troppo famosi in vita per continuare ad esserlo da defunti.

Ma nel caso di Bruce c'è anche un altro fattore: i suoi libri riflettevano talmente la sua persona - noi lo immagimavamo sempre in maglietta e calzoncini, di aspetto molto più tedesco che inglese, con The Road of Oxian di Robert Byron ficcata nel sacco da montagna, mentre attraversava il Taklamakan, il deserto in cui si entrava, ma dal quale non si usciva - che senza di lui i libri non avevano più il sex appeal.

Abbiamo molti amato le storie di Chatwin, ma è sempre stato un affetto riservato alla nostra generazione, che si riconosceva in lui nell'irrequietezza di quel viaggiare, sempre alla ricerca di qualcuno o di qualcosa.

Adesso non so se il vecchio e un po' abusato fascino del grande viaggiatore riesca ad attrarre a sé i ragazzi di vent'anni (che vedo piegati da mane a sera sull'Iphone) in modo tale da farli entrare in libreria. 

Ma loro viaggiano in internet, i veri protagonisti del grande ritorno dello stanziale e del sedentario. 

(Stefano Malatesta, Bruce Chatwin, lettere spedite dalla fine del mondo, da Repubblica)

domenica 28 luglio 2013

La nostalgia dei viaggiatori non è cosa d'oggi

In questo secolo dell'elettricità e del vapore, tutto si trasforma, persino i luoghi.

Nell'antica piana di Sharon si ode già il fischio della locomotiva. L'immortale via di Damasco, testimone della conversione di San Paolo, oggi non è altro che una volgare strada ferrata!

Prima che il progresso abbia avuto buon giuoco, prima che il presente che è ancora il passato sia scomparso per sempre, abbiamo cercato, per così dire, di fermarlo in una serie di vedute fotografiche che offriamo ai lettori di quest'album.

(Adrien Bonfils, fotografo dell'Ottocento, citato in Louis Vaczek e Gail Buckland, Travellers in ancient lands, Boston 1981)

martedì 23 luglio 2013

I pensieri che svaniscono appena in Asia

E' strano come i tetri pensieri svaniscono appena si mette piede in Asia.

Solo ieri eravamo ancora sballottati nel mare del pensiero europeo, con le sue ansie politiche, le sue miserie sociali e le sue irrequiete aspirazioni, eredità dell'instabile razza di Giapeto, mentre ora ci sembra di scivolare sull'acqua immobile dove possiamo riposarci e dimenticare e rendere grazie.

L'incanto dell'Est è l'assenza di riflessione intellettuale, è la libertà che la mente si prende dall'ansia di guardare avanti e dal dolore di guardare indietro.

Nessuno qui pensa al passato o al futuro, ma solo al presente, e fino al giorno della morte, credo che sia solo il presente a durare. 

(da Anne Blunt, A Pilgrimage to Nejd, 1881)

lunedì 22 luglio 2013

Quando l'Oriente era il sogno delle Mille e una notte

Quando l'Oriente non era ancora la Cina o il Giappone ma, con l'occhio dell'europeo, il continente affacciato su un mare comune. Quando l'Oriente era ciò che rimaneva del potente impero ottomano, spoglie che si contendevano le cancellerie europee, eppure anche immensamente di più, destinazione per pochi e eccitazione esotica per molti. Quando l'Oriente prima ancora che un luogo era un desiderio e un'invenzione letteraria sospinta dai racconti delle Mille e una notte e i viaggiatori erano prima di tutto mercanti di sogni.

E' proprio in questo mondo sospeso tra il viaggio e il sogno che ci accompagna Attilio Brilli con il suo Il viaggio in Oriente (Il Mulino), libro importante, libro imperdibile per chiunque voglia coltivare il senso del cammino tra i luoghi e i tempi.

Brilli, si sa, è uno dei più autorevoli esperti di letteratura di viaggio che ci siano in giro. Ma questa opera, benché poderosa e corredata da tutto quello che ci vuole - note e ampia bibliografia - non è solo per gli studiosi. Leggerla è come tuffarsi in un oceano di storie, di vite, di emozioni.

I paesaggi inondati di sole e le ombre delle antiche città arabe. I muezzin e le odalische. Le voci dei suk e i silenzi degli harem. Le carovane che arrivano dal deserto e i mari solcati dai pirati. E per gli europei, un frullato di emozioni, aspettative, esperienze raccontate e dicerie: l'Oriente misterioso, l'Oriente che si fa moda e arte, l'Oriente erotico e dispotico, molle e crudele. E poi i viaggiatori che si fanno essi stessi mito, per appartenere alla nostra storia: da Lord Byron a Francois-Renè de Chateaubriand, solo per ricordare i primi che mi vengono in mente.

Vita e arte che si intreccia con quell'enigma che per noi è stato e forse è l'Oriente.

venerdì 14 giugno 2013

Ma i veri viaggiatori partono per partire


Ma i veri viaggiatori partono per partire
e basta; cuori lievi, simili a palloncini
che solo il caso muove eternamente,
dicono sempre "Andiamo", e non sanno perché.

I loro desideri somigliano alle nubi;
e come il coscritto sogna il cannone, loro
sognano vaste, ignote, cangianti voluttà
di cui nessuno al mondo ha mai saputo il nome!

(Charles Baudelaire, Il viaggio)

giovedì 14 marzo 2013

Il viaggio non finisce mai, il viaggiatore ritorna

Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione.

Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero.

Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era.

Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito.

(Josè Saramago, da Viaggio in Portogallo, Einaudi)

domenica 9 settembre 2012

Un mondo nascosto nell'isola dello zucchero

Storia che viene da lontano, storia che sa di spezie e di sudore, di zucchero e di fame. Storia aggrovigliata a una frontiera che solo la follia o il cinismo hanno potuto concepire. Storia che porta i segni delle scudisciate, della fatica, del rancore. Le piantagioni e gli schiavi. Gli schiavi e le rivolte. Storia di dittatori e di disperati, di multinazionali che governano come Stati e di Stati come beni di famiglia. Storia di un'isola dove il mare non c'è, non si vede, non è nemmeno un orizzonte che si dischiude, un sogno di libertà.

Che gran libro che ha scritto Andrea Semplici, a mio parere uno dei più grandi giornalisti scrittori italiani di viaggio, sarà che per lui il viaggio non è mai solo viaggio, sarà che i suoi passi attraversano anche la storia ignorata e molti libri amati, sarà che il suo cammino è un bagaglio leggero con le poche cose che contano: curiosità, inquietudine, voglia di mettersi in gioco, fame di sguardi e di abbracci.

L'isola lontana dal mare, il titolo, uscito per Terre di Mezzo. E l'isola è Hispaniola, la prima terra delle Americhe toccata da Cristoforo Colombo, sipario spalancato sul Nuovo Mondo. Haiti da una parte, Santo Domingo dall'altra. Miseria e terremoto da una parte, miseria e spiagge bianche per turisti, dall'altra.

Solo che Andrea si spinge lontano dai posti dove è bello sedersi e sorseggiare un cocktail, accogliendo il respiro del mare. All'interno, dove si spalancano le piantagioni di canna da zucchero, dove si nascondono i batey, le baracche di chi ci lavora, universo chiuso di dolore, violenza, vite che si intrecciano e si sprecano.

Dalle navi negrerie alle rivolte, dai generali sterminatori a un presente dove la carne da lavoro non serve più, sembra non servire più, e anche le multinazionali sono più attente, più disponibili, più eque e perfino solidali, figurarsi, però i figli e i nipoti dei neri sono sempre lì, sempre aggrappati a un presente senza futuro.

Che libro, che ha scritto Andrea Semplici, accompagnato da Andrés, il vecchio raccoglitore di canna, e dalle parole di Garcia Marquez. Convinto, con la forza del cuore, che a queste stirpi condannate a cento anni di solitudine debba essere data una seconda opportunità.

E si può cominciare anche da un libro. Corridoio di luce nel folto delle piantagioni dello zucchero. 

lunedì 16 luglio 2012

Se Amsterdam diventa una farfalla

L'Olanda e la bicicletta possono essere un connubio scontato, così come l'Olanda e i mulini a vento o l'Olanda e i tulipani, ma certamente non è scontato ciò che ci racconta Marino Magliani nel suo Amsterdam è una farfalla (Ediciclo): un libro che è molto di più di una guida alternativa su un paese che, al di là dei luoghi comuni, conosciamo abbastanza poco e che poche tracce ha lasciato nella letteratura più diffusa in Italia. E ancora, un libro che non è nemmeno un resoconto di viaggio su due ruote, in una delle destinazioni più appetibili per gli appassionati di cicloturismo.

La sovversione delle regole e delle consuetudini della più conosciuta scrittura di viaggio è evidente fin dalle prime pagine: l'autore, chiamato a scrivere una guida di Amsterdam in bicicletta, inforca una bicicletta e comincia la sua peregrinazione nei giorni e nelle notti olandesi, tra le case affacciate sui canali e i pascoli fuori città, tra scorci sui tetti e discese nel ventre di Amsterdam.

Così la guida viene raccontata nel suo farsi e non è più guida, ma romanzo, o più precisamente, romanzo nel romanzo che prende corpo, tra divagazioni e digressioni, in un alternarsi e confondersi di personaggi, avvenimenti, tempi – dall'Olanda del secolo d'Oro al futuro dell'anno 2100 – e luoghi – perché ci sono i Paesi Bassi ma anche la Liguria dell'autore, le terre piatte e le montagne.

Magliani poi ci mette tanto di suo, con la sua penna inquieta, il suo linguaggio allo stesso pulito e ipnotico, la sua capacità di svoltare e offrire un nuovo scenario a ogni pagina.

Mi piace quando ci si riesce ad avventurare in territori inesplorati della letteratura di viaggio. Non importa andare nemmeno molto lontano. Magliani ci offre molto di più di un itinerario olandese, mescolando la puntuale descrizione di eventi e contesti con la vertigine esistenziale e metafisica di certi autori sudamericani – Borges su tutti.

E dal bozzolo di una città raccontata anche nei suoi lati oscuri riesce davvero a prendere il volo la farfalla di Amsterdam.


mercoledì 11 luglio 2012

Il mondo via terra, mollando tutto


Eddy Cattaneo è uno che da bambino passava i pomeriggi a sfogliare un atlante dalla copertina blu e a colorare le bandiere, sognando chissà quali viaggi attraverso oceani e cime inviolate.

Eddy Cattaneo è uno che poi deve avere messo la testa a posto, si è laureato e ha trovato un buon lavoro, solo che non ha chiuso in un cassetto i suoi sogni di bambino, così come si fa con i quaderni delle elementari e le lettere delle fidanzatine.

A un certo punto ha mollato tutto ed è partito, perchè i suoi passi potessero dare sostanza al desiderio che sotto sotto (sotto sotto?) aveva sempre covato: fare il giro del mondo, prendendosi tutto il tempo necessario, senza dover andare dietro alle coincidenze degli aerei, anzi, senza mai prendere gli aerei, restando sempre con i piedi per terra, oppure sul ponte di una nave.

E così c'è stato prima il viaggio e poi questo libro, Mondo via terra (Feltrinelli), in cui il viaggio viene raccontato come lo potrebbe raccontare un amico, intelligente e disposto al sorriso.

Un amico che sei ben contento di ascoltare, senza mai interromperlo, fino alla fine. Nascondendo ben bene la peggiore delle invidie: quella di chi vorrebbe fare lo stesso, sapendo che tutto sommato si accontenterà di leggere qualche altro libro.

domenica 8 luglio 2012

Se nel deserto lo sguardo si spinge oltre le dune

A un certo punto, non so se per noia o per ripetere un gioco che spesso si fa da piccoli, ho chiuso gli occhi. 

Sono andata avanti per qualche minuto, camminando alla cieca e resistendo alla tentazione di guardare: all'inizio i passi erano incerti e scoordinati, poi man mano che avanzavo, l'andatura si faceva sempre più stabile e sicura. 

Ma è stata soprattutto la sensazione che ho provato a stupirmi: istintivamente immaginavo di sentire angoscia, invece un grande senso di libertà, del tutto inaspettato, ha incominciato a diffondersi nel corpo e nella mente. 

In quale altra situazione sarebbe possibile fare questo? mi sono chiesta. Solo nel deserto, ho concluso, si può camminare al buio senza paura.

Carla Perrotti, viaggiatrice innamorata del deserto, e Fabio Pasinetti, uomo di sport ipovedente dalla nascita, partono per un'avventura che è davvero di pochi: attraversare a piedi, in totale autonomia, il Deserto Bianco, in Egitto, distesa di dune incandescenti, pietraie infide e indescrivibili bellezze.

Racconteranno la loro impresa in questo Lo sguardo oltre le dune (Corbaccio). E con loro scopriremo che il deserto può essere un territorio dell'anima e che l'essenziale, come si legge nel Piccolo Principe, è davvero invisibile agli occhi.

 E visibile davvero solo a chi non smania per la linea dell'orizzonte, ma piuttosto sa guardarsi dentro. 

venerdì 15 giugno 2012

Tre buoni propositi per questo viaggio


Rügen, finalmente: la nostra isola al termine di questo ponte che non finiva più, chissà come sarà con il vento contro. Ernesto, tanto per fare il buffone, si distende e bacia la terra. Io mi sento meglio.
Ora che siamo dall'altra parte, ora che il mare è distanza che separa e rassicura, è già più semplice rispondere a certe domande. Per esempio quella dell'altro giorno, vigilia di partenza: ma chi me l'ha fatto fare? Che, tra l'altro, è quanto si domandava pure Bruce Chatwin, con la sua domandina usata e abusata: che ci faccio qui?
Potrei rispondere che ritrovarmi qui con Ernesto già basta e avanza.

Però visto che ci sono aggiungo altri tre alibi. O se volete, altri tre propositi.
Proposito numero uno: dimostrare che non è vero che per i grandi viaggi sia sempre necessario il trampolino della solitudine. C'è un mio amico, Tito Barbini, che dopo una vita di impegno politico e di incarichi pubblici a un certo punto ha deciso di mollare tutto. Zaino in spalla si è messo a girare per il mondo raccontando le sue esperienze in libri bellissimi, come Le nuvole non chiedono permesso, Antartide, I giorni del riso e dell'oblio.
Tito sostiene che viaggiare da soli è una condizione necessaria per incontrare gli altri sulla strada. Capisco cosa vuol dire, ma io non sono lui. Mi piacerebbe partire per rimanermene solo, potendo contare, tra l'altro, su un decente livello di convivenza con me stesso. Però mi vedo ancora meglio a tuffarmi nell'altro che è al mio fianco semplicemente perché è venuto via con me. Anche se è un bambino: è un intero universo, un bambino.
Proposito numero due: dimostrare che ci sono grandi viaggi che non hanno bisogno di voli transoceanici, di drastici mutamenti di civiltà, di giornate a dorso di cammello. Che insomma posso rimanere nel mio continente senza passare per il forzato del villaggio turistico, escursione con guida, grazie. Viaggiatore vero anche a un'ora di volo da casa, se non a un'ora di cammino.
Proposito numero tre, peraltro strettamente collegato al proposito numero due: provare che se non è necessario finire in Birmania o in Namibia, non lo è nemmeno macinare chilometri e chilometri ogni giorno. Ci sono viaggi importanti che non si nutrono di grandi spazi, ma di movimenti lenti. Ci sono terre che per accogliervi esigono solo la capacità di scavare nelle loro profondità.
Rügen è una di queste terre, lo so. Sono qui per questo. Anche per questo. E crepi la pigrizia.

(da Paolo Ciampi, Le nuvole del Baltico, Mauro Pagliai editore)

sabato 10 dicembre 2011

Come le nuvole, che non chiedono permesso

Ci sono dei titoli così azzeccati da dirci già tutto, o quasi tutto. Prendete le nuvole, per esempio, così leggere, così libere, che non devono chiedere permesso, che semplicemente non possono essere fermate. Le nuvole, come le idee, si muovono senza carte di credito e senza visti di ingresso. A volte, quando gli alisei soffiano potenti, possono varcare oceani interi.

Ed è questa la storia di questo libro: la storia di un uomo con un passato importante nelle istituzioni e nella politica, la storia di un uomo che per perdersi e poi ritrovarsi ha abbandonato tutto portandosi dietro solo un bagaglio leggero di pochi indumenti, qualche libro indispensabile e alcune domande da cui non è possibile prescindere.

Tito Barbini lo conosco, so che questo libro è autentico. Le nuvole non chiedono permesso (Mauro Pagliai editore) è uscito due anni fa e io ho avuto la fortuna di leggerlo subito e di parlarne a lungo con lui. Ogni tanto ci ripenso: sarà che serve a rimarcare la differenza tra un viaggio e una vacanza in qualche altro posto che non sempre è un vero altrove.

E così ho ripercorso questo viaggio di Tito: dall'estrema punta dell'America del Sud, dove il sogno si può spingere solo fino ai ghiacci antartici, su su, senza mai prendere un aereo, a volte a piedi attraverso le frontiere, sempre assecondando solo uno spiritaccio vagabondo e curioso, su su fino all'Alaska.

Da solo, ma con una consapevolezza: che dopo le nuvole ritorna sempre il sole, come un cammino che riprende, come un pezzetto di utopia realizzato su questa nostra terra.

lunedì 14 novembre 2011

Il viaggio che è prima di tutto ritorno a casa

Chi viaggia è sempre un randagio, uno straniero, un ospite; dorme in stanze che prima e dopo di lui albergano sconosciuti, non possiede il guanciale su cui posa il capo né il tetto che lo ripara.


E così comprende che non si può mai veramente possedere una casa, uno spazio ritagliato nell'infinito dell'universo, ma solo sostarvi, per una notte o per tutta la vita, con rispetto e gratitudine.


Non per nulla il viaggio è anzitutto un ritorno e insegna ad abitare più liberamente, più poeticamente la propria casa.

(Claudio Magris, L'infinito viaggiare, Mondadori)

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...