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giovedì 2 aprile 2020

In sidecar con Napoleone per sfidare il Generale Inverno

«Bisogna fare un vero viaggio, amico mio» dissi. «Ne ho piene le tasche di questa crociera di mormoni». 
 «Che cosa è un vero viaggio?» chiese lui.
  «Una follia che ci ossessioni, che ci porti nel mito; insomma una deriva, un delirio traversato dalla Storia, dalla geografia, innaffiato di vodka, una sbandata alla maniera di Kerouac, qualcosa che a sera ci lasci senza fiato, in lacrime, in riva a un fosso…».

Beh, queste poche battute sono un bel condensato della personalità di Sylvain Tesson e della sua filosofia di viaggio. L'allergia al buon senso, la fame di emozioni, la riluttanza a programmare, l'attenzione al passato dei luoghi non meno che al presente, la propensione per la bevuta omerica, il sentimento di amicizia.... 

Beresina. In sidecar con Napoleone, pubblicato da Sellerio, certamente non tradisce queste premesse. E non potrebbe essere altrimenti per un progetto - progetto? - di viaggio che di per sè non è privo di follia. Ripercorrere la ritirata di ciò che rimaneva della Grande Armata di Napoleone a 200 anni dal disastro di Russia - e fin qui ci si può stare. Farlo di inverno, per provare il morso del gelo che fu di quei poveretti è già un'altra cosa. Farlo con un sidecar di fabbricazione sovietica, poi, è proprio cosa da Sylvain Tesson.

Però dentro questo viaggio c'è soprattutto la sua capacità di far parlare i luoghi di ciò che è successo, anche quando di ciò che è successo non rimane testimonianza. Il massacro di Borodino, il tempo sprecato a Mosca, i morti assiderati, le incursioni dei cosacchi, la scia di cadaveri, gli eroismi e le bassezze, la beffa del passaggio della Beresina, colpo di genio in extremis di Napoleone per salvare ciò che poteva ormai essere salvato....c'è tutto in queste pagine, compreso il nonsense di una catastrofe militare subita dopo aver conquistato la capitale del nemico e non aver perso neanche una battaglia. 

Ps: quanto alla crociera da mormoni di cui all'inizio, si trattava di una spedizione in veliero tra i fiordi nel mare di Baffin. A ognuno il suo metro di giudizio, ma l'incipit resta sacrosanto: L'idea di fare un viaggio nasce sempre durante il viaggio precedente. L'immaginazione trasporta il viaggatore lontano dal ginepraio in cui è andato a cacciarsi.




giovedì 8 marzo 2018

Parole per i momenti che decidono la storia

C'è la lucida follia di Balboa, avventuriero di pochi scrupoli ed enormi ambizioni, che dopo  essersi fatto largo nella giungla a colpi di machete arriva a contemplare il Pacifico - primo europeo in un mondo che d'ora avanti non sarà più lo stesso. C'è l'incrollabile determinazione di Maometto, il sultano non il profeta, che non arretrerà di fronte a niente per conquistare Costantinopoli, genio e crudeltà per abbattere quelle mura e cambiare una storia millenaria. E c'è la musica che prima ancora che in uno spartito è dentro il cuore di un uomo morto e rinato, perché un giorno, dopo tanta pena, si componga un capolavoro che sarà riscatto e ringraziamento, quel capolavoro che è il Messiah di Händel.

Momenti fatali di Stefan Zweig (Adelphi) - non sono sicuro che questo titolo mi piaccia -  più che un libro sui grandi della storia è un libro sui grandi momenti che hanno segnato la storia. Momenti segnati da una scoperta, una rivelazione, un'impresa - e che come tali si staccano da tutti gli altri. Momenti che hanno rotto un equilibrio, cambiato un destino, chiamato a un bivio decisivo.

Gli uomini no, non è detto che siano stati altrettanto grandi. Come quel momento fatale che ha deciso Waterloo, senza avere come protagonista né Napoleone nè Wellington, ma un mediocre generale che decidendo di non decidere decise le sorti del conflitto.

Bello questo libro, che squaderna la storia per fissarne gli attimi di svolta. Bello perché ci sono gli uomini, protagonisti e allo stesso tempo vittime degli eventi. Bello perchè mescola volontà e destino e all'una e all'altro presta la forza della parola.

La parola quale quella di un grande scrittore come Zweig: di cui è facile raccomandare tutto.

lunedì 22 gennaio 2018

Le Alpi che sono rifugio alle anime libere e contrarie

E' un altro modo per provare a dipanare la matassa della storia, non solo città e campagna, ma anche terre alte e terre basse. Cos'è la storia vista dalle terre alte, dagli uomini che generazioni dopo generazioni le terre alte le hanno abitate e presidiate? Come si racconta la storia da questo punto di vista, dalla cima delle montagne?

Le Alpi, per esempio: si fa fatica a considerarle luoghi della storia, se non per qualche ricaduta secondaria e involontaria, effetto collaterale verrebbe da dire. O solo perché qualcuno di tanto in tanto - da Annibale a Napoleone - le ha attraversate con qualche indubbia conseguenza a valle.

E invece le Alpi - e in genere la montagna - andrebbero intese non solo come terre marginali e come barriere naturali - tanto più che sono sempre state anche luogo del movimento, dello scambio, dell'incontro, non solo confine.

E in ogni caso c'è anche una storia che è altra e che appartiene a queste vette. La racconta splendidamente Enrico Camanni - alpinista e giornalista - nel suo Alpi ribelli. Storie di montagna, resistenza, utopia (Laterza editore).  Titolo che già dà il senso di quale storia altra si parli: una storia raramente scritta al contrario di chi la storia la fa davvero. Storia che parla il linguaggio della possibilità, della libertà, persino dell'utopia. Storia di resistenza che non è solo quella contro i nazifascisti, ma è resistenza di idee, di convinzioni religiose, di riti e tradizioni, di comunità cacciate via dalle terre basse.

Dal Medioevo ai giorni nostri - spiega Camanni - come una risorgiva carsica che emerge dalle profondità del tempo, la montagna ogni tanto si ricorda di essere diversa e fa sentire la sua voce fuori dal coro.

E tutto questo racconta Camanni, in un libro che è anche un bel libro di viaggio attraverso le montagne e le parabole di vita che con le montagne si sono intrecciate.

Tuttora - dice - si alza il grido di chi rivendica una diversità geografica e culturale, compiacendosi dell'antico vizio montanaro di sentirsi speciali e ospitare i diversi, i ribelli, i resistenti, gli antagonisti, gli eretici, per diventare rifugio e megafono della anime libere e contrarie. 

E io ho teso l'orecchio e ascoltato questo grido. Spero che la montagna dei trafori, delle ovovie, dello shopping non abbia spento questo grido, anzi, che lo abbia reso più forte e più gonfio di ragioni.  



lunedì 22 febbraio 2016

La battaglia di Waterloo e la verità degli scrittori

La battaglia di Waterloo? Un enigma, per quanto se ne sia scritto e riscritto. Un enigma che resiste alle ricostruzioni più o meno attendibili e alle interpretazioni degli storici. Un enigma che prima ancora che la verità dei fatti chiama in causa il senso stesso delle vicende umane, lungo quei crinali che decidono un'epoca. Come sono cambiate le traiettorie della vita, anzi, delle tante vite che ebbero qualcosa a che vedere con quel fatidico 18 giugno?  Fu destino o concomitanza di cause? E poteva andare diversamente?

Domande così, non da poco, che forse più che il mestiere dello storico chiamano in causa qualcos'altro. E in questo libretto pubblicato da Sellerio qualcos'altro troviamo davvero. E' il racconto della battaglia fatto da due dei più grandi autori di romanzi dell'Ottocento europeo, Walter Scott e Victor Hugo. Due  scrittori, due paesi diversi e contrapposti a Waterloo, due modi di vedere gli eventi, di descriverli, di trarne un senso.

E già questo dice molto, della verità della storia. Del resto vietato stupirsi, se anche Waterloo in effetti non è stata Waterloo, in una battaglia decisa in località che portano ben altri nomi: ma si sa, anche i nomi delle vittorie sono appannagio dei vincitori e Waterloo suonava ben più inglese di tutti gli altri.

Quante domande salgono da queste pagine. E se quel giorno non fosse piovuto? Se Napoleone si fosse circondato di migliori generali? E cosa sarebbe successo se Napoleone avesse sbaragliato l'esercito di Wellington arrivando a Bruxelles?

Ma forse, nella verità del romanzo (che non è quella della storia), è solo così che poteva andare a finire. Con l'ultimo atto della gloriosa avventura di Napoleone, dalle stelle alla polvere. Con l'eroe sconfitto dal fato. Con tutti gli altri uomini inghiottiti nelle fosse comuni. Con il silenzio di un luogo che anni più tardi sembra non rivelare più nulla, non fosse per lo sguardo di uno scrittore che non si rassegna all'evidenza.

mercoledì 3 settembre 2014

Carrère: preferisco ciò che mi rende simile agli altri

Da sei mesi a questa parte, ogni giorno, di mia spontanea volontà, ho trascorso qualche ora davanti al computer a scrivere di ciò che mi fa più paura al mondo: la morte di un figlio per i suoi genitori, quella di una giovane donna per i suoi figli e suo marito.

La vita mi ha reso testimone di queste due disgrazie, una dopo l'altra, e incaricato, o almeno così ho capito, di renderne conto. 

A me le ha risparmiate, e prego perché continui a farlo.

Mi è capitato di sentir dire che la felicità si apprezza a posteriori. Che pensiamo: non me ne rendevo conto, ma a quel tempo ero molto felice.

Per me non è così. Sono stato a lungo infelice, e molto cosciente di esserlo; oggi amo quello che è il mio destino, e della sua amabilità non ho un grande merito, la mia filosofia si riassume nella frase che, la sera dell'incoronazione, avrebbe mormorato Madame Letizia, la madre di Napoleone: "Speriamo che duri".

Ah, e poi: preferisco ciò che mi rende simile agli altri a ciò che me ne distingue. Anche questa è una cosa nuova.

(Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia, Einaudi)

sabato 29 giugno 2013

Beato Napoleone, che aveva previsto tutto


Sto per confidarvi una cosa che non ho ancora detto a nessuno.

Non ho mai avuto un piano preciso, sono sempre stato guidato dalle circostanze, ho sempre saputo approfittarne, le ho sempre dominate, le ho sempre padroneggiate: non mi è mai accaduto niente che non avessi previsto e voluto e sono il solo a non essere sorpreso di ciò che ho fatto nel passato.

Ugualmente prevedo il mio avvenire e ugualmente arriverò là dove mi sono riproposto di andare.

Quando il mio grande carro politico è lanciato occorre che passi.

Peggio per chi si trova sulla mia strada!

(Napoleone Bonaparte, in La Conversazione di Jean d'Ormesson, Edizioni Clichy)

sabato 8 dicembre 2012

Quando Firenze era la capitale dell'umorismo

E allora meglio rovesciare la medaglia e soffermarsi su tutto quello che hanno rappresentato i giornali per ridere nella cultura, nella storia, nella coscienza civile e politica. Meglio ragionare su quanto ha contato, nell'immaginario dei fiorentini, l'arte della caricatura: e sottolineare la parola arte, anche se pochi hanno il coraggio di dirla tale.

 Meglio raccontare di penne come Collodi, il babbo di Pinocchio, e come Vamba, il babbo di Gianburrasca. O di matite come  Angiolo Tricca, Adolfo Matarelli, Nicola Sanesi, tanto per ricordare alcuni grandissimi illustratori.

Con il piacere delle scelte arbitrarie questa storia comincia poco prima dell'Ottocento e si arresta al cospetto della Grande Guerra. Arbitrarie, ma non senza fondamento. Perché è negli anni della Rivoluzione Francese e poi di Napoleone che Firenze tiene a battesimo i suoi primi quotidiani, molto seri, è vero, ma anche capaci di strappare i primi sorrisi. E perché con la mattanza nelle trincee niente sarà più come prima, anche ridere.

Cominciamo, allora. Magari con le parole di un altro grande intellettuale,  Carlo Cattaneo, che parlando di satira ne coniò una bellissima definizione - l'unica che in effetti troverete in questo libro.
La satira, affermò, è un esame di coscienza dell’intera società. Un esame che se non ci fosse bisognerebbe inventare, e non solo perché il buon umore fa bene alla salute, come si dice. La satira è anche il sale che impedisce la corruzione. E dov'è che essa ha campo libero? Cattaneo non aveva dubbi:

L’audacia della Satira è uno dei segnali della superiorità mentale di una nazione... La possente Inghilterra è la patria della caricatura; ogni giorno una legione di giornali si fa specchio inesorabile della vita pubblica e privata...

L'Inghilterra, appunto, la civile, democratica, invidiabile Inghilterra. Ma che dire di Firenze?
Firenze cercava di non essere da meno. E già, proprio così rideva Firenze…

(dall'introduzione a Paolo Ciampi, Così rideva Firenze, Romano editore)

lunedì 12 novembre 2012

Napoleone e la sua partita nell'inverno russo

Non era facile nemmeno capire se quella guerra la stava vincendo o perdendo.

La decisione che ripetutamente dovette prendere fu se fermarsi e dichiararsi vincitore, o continuare ad avanzare fino a che lo zar non si dichiarasse sconfitto. Sapeva che qualsiasi cosa avesse deciso, doveva deciderla in fretta perché l'inverno russo lo aspettava, come una trappola micidiale. 

Intorno a lui aveva solo gente che riteneva una follia andare avanti, e che mai si sarebbe tirata indietro se lui avesse deciso di essere folle.

Mi riesce difficile immaginarmelo nella sua tenda, chino sulla scacchiera. Ma conosco uno dei suoi principi, che ho sempre trovato, nella sua semplicità, geniale: non esistono piani giusti e piani sbagliati e non esistono regole migliori di altre.

Esistono piani che vincono, e quelli stabiliscono le regole che gli altri, ingenuamente, adotteranno come regole giuste.

Applicate alla vita quotidiana, e scoprirete che non aveva affatto torto.

(Alessandro Baricco, Per i russi combattere contro Napoleone era come giocare contro il Barcellona di Guardiola, da Repubblica)

domenica 21 ottobre 2012

La Corsica a un passo dalla sua verità

Un pugno di pagine, quattro capitoli che non sono nemmeno capitoli. Schegge di prosa, in questo modo ha preferito presentarle l'editore, forse a ragione. Quanto rimane di un grande libro che poteva essere e non è stato.

Le Alpi nel mare (Adelphi) raccoglie ciò che W.G. Sebald ha fatto in tempo a scrivere del suo ultimo vagabondaggio, in Corsica, prima che un incidente lo portasse prematuramente via. Ed è quanto basta per provare un enorme rimpianto.

Quante cose che ci sono qui dentro. La grandezza di Napoleone vista con l'occhio dei genitori, la solitudine di un cimitero solitario, il mare e le ruvide montagne dell'interno, lampi di genio sulla Storia e sui destini di tutti noi, frasi che ti si conficcano comunque dentro, come: Mi piace moltissimo andare al cinema in città straniere - cosa che mi ha fatto rincorrere ricordi per una sera.

Quattro schegge per disegnare un'isola di luci e ombre, di corpi pulsanti e di fantasmi, di un Mediterraneo che è Mediterraneo e che allo stesso tempo è qualcosa d'altro.

La Corsica che per me, toscano, è a poche ore di traghetto, l'isola dall'altra parte. E che pure, mi accorgo ora, è uno dei posti più indefiniti e sfuggenti su cui mi sia mai capitato di riflettere.

Sebald, forse, aveva cominciato a sbozzare il suo mistero. Ci sono rimasti solo i suoi primi colpi.

sabato 28 luglio 2012

Quando Napoleone mise su pancia



Giovanissimo Napoleone era assai magro
e ufficiale d'artiglieria 
divenne più tardi imperatore
mise su pancia e conquistò nazioni
e il giorno che morì aveva ancora 
una bella pancia
ma era diventato più piccolo

(Jacques Prévert, Composizione francese, da Poesie, Guanda)

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...