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martedì 6 settembre 2011
giovedì 17 febbraio 2011
Quando la parola porta oltre il filo spinato
Così scrive Visar Zhiti, poeta albanese che ai tempi del regime fu condannato a 10 anni di carcere per aver inviato un manoscritto di poesie ermetiche e pessimiste a un editore (che poi ero lo stesso Stato, perchè allora non c'era niente che non fosse sotto lo Stato). Figlio di arte, peraltro, perchè prima di lui era stato il padre, attore e drammaturgo, a finire dentro:
Ecco infine un segreto: scrivevo in carcere, non solo perché volevo lasciare la mia testimonianza, il mio testamento di poeta.... ma, cosa più importante, volevo trovare, e ci riuscii, l'emozione viva, incredibile, bella, di chi crea, quella che fose mi fece sopravvivere nell'abisso, una sorta di miracolo, perché quando scrivevo mi sdoppiavo e il mio doppio come un fantasma varcava il filo spinato della recinzione e così restavo a lungo con tutti quelli che scrivevano nelle stesse mie condizioni, o che leggevano.... Così potevo emigrare nel destino, nel ruolo stabilito dalle divinità e non restare nella sventurata esistenza assegnatami dagli assassini
E' una grande lezione di libertà malgrado tutto, di libertà grazie alla forza della parola scritta. E' una lezione contenuta in un libro, Parole di libertà, che sono felice di poter presentare lunedì prossimo, 21 febbraio (sala Pistelli della Provincia, via Cavour, ore 16.30), in un'iniziativa promossa insieme da Associazione Stampa Toscana (il sindacato dei giornalisti) e Pen Club (l'associazione internazionale che difende il diritto all'espressione degli scrittori).
Una lezione che fa bene tenere stretta, sempre. Perché come dice Grigorij Pas'ko, un altro degli autori del libro:
Il lettore forse è stufo delle memorie di prigionia, ma l'argomento non si esaurisce
Ecco infine un segreto: scrivevo in carcere, non solo perché volevo lasciare la mia testimonianza, il mio testamento di poeta.... ma, cosa più importante, volevo trovare, e ci riuscii, l'emozione viva, incredibile, bella, di chi crea, quella che fose mi fece sopravvivere nell'abisso, una sorta di miracolo, perché quando scrivevo mi sdoppiavo e il mio doppio come un fantasma varcava il filo spinato della recinzione e così restavo a lungo con tutti quelli che scrivevano nelle stesse mie condizioni, o che leggevano.... Così potevo emigrare nel destino, nel ruolo stabilito dalle divinità e non restare nella sventurata esistenza assegnatami dagli assassini
E' una grande lezione di libertà malgrado tutto, di libertà grazie alla forza della parola scritta. E' una lezione contenuta in un libro, Parole di libertà, che sono felice di poter presentare lunedì prossimo, 21 febbraio (sala Pistelli della Provincia, via Cavour, ore 16.30), in un'iniziativa promossa insieme da Associazione Stampa Toscana (il sindacato dei giornalisti) e Pen Club (l'associazione internazionale che difende il diritto all'espressione degli scrittori).
Una lezione che fa bene tenere stretta, sempre. Perché come dice Grigorij Pas'ko, un altro degli autori del libro:
Il lettore forse è stufo delle memorie di prigionia, ma l'argomento non si esaurisce
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Lui è l'americano Joseph Pennell, 24 anni, quotato illustratore di libri e riviste. Lei è Elizabeth Robins, inglese, scrittrice che ha già dato alle stampe, tra le altre cose, una biografia di Mary Woollstonecraft.
Ma la cosa davvero strana è il marchingegno che si sono portati indietro. Bisogna farci mente locale per capire quello che in effetti è: un velocipede.
Chiamiamolo così, anche se con le sue tre ruote (due enormi ai lati più una da triciclo davanti),i suoi due posti a sedere e il suo portabagagli rammenta piuttosto una carrozza a pedali.
Joseph ed Elizabeth hanno le idee piuttosto chiare: con quell'affare partiranno da Firenze e raggiungeranno Roma.
La gente li prende per matti. Una cosa del genere non si è mai vista nè sentita, non è mica come oggi che tanti poveri Don Chisciotte in bicicletta sfidano le automobili per strada.
Alla partenza da Piazza Santa Maria Novella i due sono salutati dalla folta colonia anglo-americana con molte apprensioni. C'è chi teme malaria e colera, chi li mette in guardia dagli osti senza scrupoli e addirittura dai briganti. E poi le strade: pessime ovunque. Quella era un'impresa da disperati. Una follia.
Forse anche un peccato, se è vero che una povera monaca, al loro passaggio, si farà il segno della Croce nemmeno avesse visto il Diavolo sui pedali.
E loro appena fuori da Firenze registreranno il primo guasto e certo avrebbero di che scoraggiarsi.
Però basta sollevare la testa, guardarsi attorno. Guardare tutta quella gente che sgomita per salutarli, spinta dalla curiosità e dalla meraviglia. Guardarsi intorno e godersela:
E' vero che spesso accade di vedere tutte queste cose in fretta, dai finestrini del treno in corsa. Ma solo seguendo il serpenteggiare della strada o i lunghi rettifili come facevamo noi, fermandoci a nostro agio o rallentando, si può godere dell'intensa bellezza del paesaggio e provare gli stessi sentimenti degli uomini del passato che sapevano bene come rendere piacevoli i loro viaggi”
E a noi non resta che inseguire quei due sulle pagine de L'Italia in velocipede (Sellerio). E con loro inseguire un'Italia che non c'è più, un'altra possibilità di viaggio, un desiderio di lentezza sempre e comunque salutare.