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lunedì 28 agosto 2017

Quando il greco funziona come un tappeto volante

Se sarò stata in grado di guidarvi nel labirinto del greco con la mia fantasia, arriverete alla fine del cammino con nuovi modi per pensare il mondo e la vostra vita, in qualunque lingua la esprimiate a parole. 


Così dice Andrea Marcolongo nelle prime pagine di La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco (editori Laterza), quasi a volere mettere le mani avanti di fronte alla stranezza di un libro, frutto della sua stessa stranezza. Possibile amare una lingua morta come il greco? Possibile scriverci persino un libro per trasmettere questo amore?

Sì, è tutto molto strano, compreso il fatto che questo libro diventi un notevole caso editoriale, conquistando persino chi, dopo aver sudato le proverbiali sette camicie sui banchi del liceo, ha provveduto a immediata e completa rimozione del greco. E persino chi con il greco non ha mai avuto a che fare, almeno con consapevolezza. 

Strano, come strane spesso e volentieri sono le storie di amore. E si può amare anche una lingua impossibhile, si può amare soprattutto coloro che una lingua l'hanno parlata.Si può amare il mondo che quella lingua esprime, in questo caso quel mondo greco così distante e così vicino, così misterioso e così necessario.

No, questo non è un libro per addetti ai lavori, non è nè un manuale nè un saggio. E è una grammatica prima di tutto lo è delle emozioni. Anche se, a dire il vero, si imparano tante cose sorprendenti di una lingua che, solo per essere fatta così, esprimeva un'incredibile visione del mondo.

Così ho capito che c'era un senso, nella follia dei verbi greci, perché per il greco contava più il come che il quando. Ho capito che l'aoristo è bellissimo e ancora più bello è il duale, pensate, una lingua che ha un modo specifico per dire: noi due.  

E io, che ho ancora una vaga reminiscenza dei pomeriggi di primavera trascorsi a ingoiare a memoria i paradigmi - un'era geologica fa - più volte ho sollevato lo sguardo da queste pagine e mi sono domandato: perché non me l'hanno spiegato così, perché non me l'hanno nemmeno mai detto?

No, non è un libro per addetti ai lavori. Semmai, anche questo, è un libro di viaggio. Ti fa saltare su un tappeto volante e ti deposita nell'Atene di Socrate oppure in un'isoletta greca dove ti incanto sono spariti i cocktail bar e le moto d'acqua.

E' al greco che torniamo - diceva Virginia Woolf - quando siamo stanchi della vaghezza,della confusione e della nostra epoca.

Questo libro è un biglietto per il ritorno.

venerdì 31 gennaio 2014

Il tempo della solitudine per il lettore

Era il 1925 e già Virginia Woolf ammoniva su quanto fosse difficile leggere un romanzo. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e le difficoltà - non solo per i romanzi ma per i libri in genere - sono cresciute come montagne. Non ultime, logicamente, quelle legate all'uso dilagante di nuove tecnologie che sembrano indirizzare verso una lettura rapida, superficiale, estemporanea.

Però c'è da riflettere anche sulla difficoltà di cui recentemente ha parlato Valerio Magrelli su Repubblica, in La solitudine del lettore, titolo particolarmente eloquente. Solitudine, certo, si capisce in un mondo in cui viene meno la propensione alla lettura. Ma quella di cui parla Magrelli è anche un altro tipo di solitudine, legata alla scomparsa di figure di riferimento che indirizzino alla lettura, che selezionino e consiglino le buone letture.

Vale anche per la musica, dove è finito il tempo dei musicologi e gli ascolti casomai sono influenzati dalle scelte dei dj (ovvero dei disc-jockey, notare la parola jockey, in inglese fantino: ovvero chi cavalca la musica, verso le vette delle classifiche). Allo stesso modo non ci sono più critici letterari, casomai testimonial che, con meccanismi più vicini alla pubblicità che ai discorsi della letteratura, fanno in modo che i best-seller diventino best-seller.

In effetti, sono tra coloro che non rimpiangono molti i critici di un tempo e che hanno trovato e trovano noiose e superflue tante recensioni, quasi fossero presidiate più dal piacere della critica che dall'amore della lettura. Eppure il pericolo segnalato da Magrelli è reale:

Il rischio, insomma, è che, con la scomparsa di librai e critici, abbiano la meglio i fast-book, ossia quei testi che richiedono solo un contatto rapido e sbrigativo. Se ciò si avverasse, il nostro paesaggio intellettuale risulterebbe impoverito come dopo un bombardamento di defolianti.

E certo questa solitudine deve rimpiangere anche altre assenze. Si comincia dagli editori che non sono più editori - e non lo sono se sono a pagamento, ma anche se rinunciano a una loro proposta culturale  - e si arriva per forza alle librerie che non ci sono più o sono solo di catena e magari finiscono per trattare il libro come un capo di abbigliamento. Ce ne sarebbe di che discutere.

sabato 4 febbraio 2012

Se Dickens è un giaguaro, anzi no, un gatto

Pochi giorni ancora e, per chi crede a questi appuntamenti, avremo modo di celebrare i 200 anni dalla nascita di Charles Dickens: l'autore di Oliver Twist, David Copperfield, Grandi Speranze, Canto di Natale, solo per ricordare i primi titoli che mi vengono in mente.

Non so quanti di voi abbiano avuto un'adolescenza segnata anche dalla lettura delle pagine di Dickens. Io sono tra quelli, anche se tra Dickens e Salgari c'è di mezzo tutto un mare di emozioni e sogni.

E' passata una vita da quando mi sono lasciato alle spalle quelle pagine. E solo ora scopro, grazie a un bell'intervento di Antonio Debenedetti sul Corriere della Sera, quanto sia dibattuto questo scrittore, allo stesso tempo amato e detestato, lodato e criticato.

Se non lo avessi letto, chissà quale percezione avrei avuto di lui. A chi avrei potuto credere? AVirginia Woolf che lo stronca senza pietà con parole come queste (e non solo queste)?


E' uno scrittore per tutti e non, è lo scrittore di nessuno in particolare; è un istituto, un monumento, una strada pubblica continuamente calpestata da milioni di piedi.

O piuttosto sarei stato propenso a fare mio il giudizio di un critico cone Edmund Wilson?


E' il più grande scrittore drammatico che gli inglesi abbiano avuto dopo Shakespeare

Davvero, nella critica, si dice tutto e il contrario di tutto - ed è giusto che sia così, perché questo non è certo il terreno della verità, sempre che questo terreno esista.

Giorgio Manganelli però diceva che Dickens era un animale letterario tra il giaguaro e il gatto domestico. Non so bene cosa intendesse, ma tra tutti è questo il giudizio che mi piace di più.

Giaguari e gatti hanno popolato le mie fantasie di ragazzino, in quella stanza che con i libri diventava un tappeto volante.

Ci sta che Dickens sia un giaguaro. Anzi no, un gatto che fa le fusa.




lunedì 25 ottobre 2010

Il cane e la poetessa, biografia di un amico

L'una parlava. L'altro era muto. L'una era donna; l'altra era cane. Così strettamente uniti, così immensamente divisi, si guardavano. Poi, con un salto Flush fu sull'ottomana e si accucciò là dove per sempre sarebbe stato il posto suo, da quel dì in poi - sulla coperta, ai piedi di Madamigella Barrett

 Non sono un grande lettore di Virginia Woolf e questo libro, devo confessarlo, l'avevo comprato più che per il soggetto - la biografia di un cane adottato da una grande poetessa - per la poetessa stessa e per la speranza di raccogliere qualche particolare intrigante sulla vita di quest'ultima. Elizabeth Barrett Browning e la sua storia squisitamente romantica, Elizabeth e la battaglia per l'unità italiana, Elizabeth e quella casa fiorentina frequentata anche da un altro personaggio a me caro, Jessie White.

E invece dalle pagine mi è subito balzato incontro  Flush, questo simpatico cagnolino che per una vita intera ha
accompagnato la vita di Elizabeth, entrando anche nei suoi versi. Che meraviglia, questo rapporto senza la forza delle parole, in una casa dove si viveva di parole. Non era un cane ordinario, ci dice Virginia Woolf, non lo poteva essere un amico a quattro zampe che viveva in un posto così.

A forza di starsene disteso con un lessico greco per cuscino, è naturale che finisse col prendere in uggia l'abbaiare e il mordere

E allora non cercate la poetessa, in queste pagine. Cercate proprio Flush e con lui il mistero dell'amicizia tra l'uomo e l'animale.

lunedì 30 agosto 2010

Un po' come Macondo, solo che c'è il mare

Perchè se di Scauri non ci interessa poi molto, ci piace tanto, ma proprio tanto, attribuire un valore esorbitante, sfacciato, fuori luogo alla provincia, in qualsiasi declinazione, che ci ha cresciuto

Dedicato a tutti coloro che a Scauri non ci sono mai stati e che forse non sanno nemmeno dov'è. Non importa. con Spiaggia libera tutti Chiara Valerio ci racconta Scauri e il fazzoletto di terra intorno (luoghi che è bene conoscere, in ogni caso. Per dire: Terracina, Sperlonga, Formia, Gaeta...), ma soprattutto ci racconta un mondo, che sa di salsedine e di provincia, di nostalgia e di orizzonti aperti.

E io che da queste parti ci sono stato diverse volte, per vacanze, ma anche per libri, non ho sentito affatto il bisogno di riconoscere questo o quello, di condividere un giudizio, di innescare una particolare complicità. Nemmeno tutto questo importa. Come mi successe anni fa leggendo un libro decisamente ponderoso (Prateria di Least Heat-Moon), tutto dedicato a un paesino del Kansas, nel centro del centro degli States, poche anime un bar e un distributore di benzina che mai avrò il piacere di conoscere. Però lì dentro c'era tutto, compreso il sottoscritto.

Allo stesso modo con Spiaggia libera tutti. Che non so bene cosa sia davvero, come succede spesso e volentieri con i libri di Contromano della Laterza (e questo mi piace, parecchio). Non so, perché è moltissime cose insieme: guida alternativa e memoir, divagazione letteraria e lessico famigliare, diario e quasi romanzo corale.

Non so bene cosa sia, però inizia così:
Scauri è un po' come Macondo. Solo che a Scauri c'è il mare

E poi continua e ci sono Virginia Woolf, Evelyn Waugh, Winston Churchill, Fabrizia Ramondino...


E così si capisce che i veri viaggi sono proprio questi, mica catapultarsi in Thailandia, piuttosto tuffarsi in altre pagine: e in questo modo ritrovare volti, sapori, amici. Ritrovare radici.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...