Visualizzazione post con etichetta Malcom Lowry. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Malcom Lowry. Mostra tutti i post

mercoledì 6 luglio 2011

Geoffrey, Guy, Dean e tutti gli altri

Per uno come me, che cercava la lucidità nell'alcol, anche la calligrafia aveva un andamento ubriaco
(Geoffrey Firmin, da Sotto il vulcano di Malcom Lowry)

Vi basti sapere che mi chiamo Juan Pablo Castel e sono un pittore e un assassino. So per mestiere che gli essere umani possono essere paesaggi, scogliere, finestre, navi che partono, ma il più delle volte sono legno marcio
(Juan Pablo Castel, da Il tunnel di Ernesto Sàbato)


Per chi come me ha la radice del nome nel primo giorno della settimana non era proprio possibile resistere alla tentazione che tutto potesse ricominciare
(Guy Montag, da Fahrenheit 451 di Ray Bradbury)

Per il mio amico Sal, il mio è un altro dei nomi che si possono dare all'irrequietezza
(Dean Moriarty, da Sulla strada di Jack Kerouac)

Forse Dio, mi chiedo nelle pause del mio smisurato lavoro, è un operaio come me. Chissà se anche la sua solitudine sia altrettanto assordante
(Hanta, da Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal)

 Ecco, sono personaggi così a cui Fabio Stassi in Holden, Lolita, Zivago e gli altri dona la voce.

Parlano in prima persona e in questo modo è come se si staccassero dalla pagina, ombre che si alzano e ci vengono dietro. Compagni di vita che è bello immaginarsi intorno a noi. Con tutta l'umiltà che ci è necessaria per ascoltare cosa davvero ci dicono.

martedì 18 maggio 2010

Con Nesi l'industria che sparì all'improvviso




Mentre lavoravo nel lanificio avevo sempre desiderato - ardentemente desiderato - di poter fare solo lo scrittore nella vita: e scrittore mi sono sempre sentito mentre parlavo con clienti e fornitori, con le banche e con gli agenti, con il commercialista e i dipendenti...


Che singolare parabola di vita, quella di Edoardo Nesi, imprenditore (ex imprenditore) sui generis, scrittore contro un destino (e un senso comune) che lo avrebbe voluto a inseguire solo conti in banca e fuoriserie, piuttosto che parole.

Lui che quando dirigeva l'azienda di famiglia teneva Sotto il vulcano di Malcom Lowry nel cassetto e fremeva per tornare alle pagine di Fitzgerald, però poi a San Francisco - "quella" San Francisco - si stupiva perché quella città pareva vivere senza fabbriche.

Lui che ha vissuto una bella fetta degli anni in cui Prato era Prato, il più florido, il più sorprendente dei distretti industriali italiani, tempi in cui fare l'imprenditore non era solo facile, era addirittura entusiasmante, per tutte le porte che si aprivano, per tutte le tessere del mosaico che andavano sempre subito a infilarsi nel posto giusto.

Lui che un giorno si è trovato senza la sua azienda e magari avrebbe dovuto persino fregarsi le mani, perchè ha colto il momento giusto, quello in cui aveva appena cominciato a scivolare dalla cresta dell'onda, solo che poi oltre a qualche risparmio gli è rimasto un terribile peso sullo stomaco:
Quando vendi un'azienda, vendi anche la sua storia. E noi una storia l'avevamo.

Lui che a quel punto ha potuto fare davvero lo scrittore a tempo pieno, solo che a quel punto aveva le parole, ma non aveva più il mondo che aveva abitato da sempre, un mondo spazzato via, con i suoi capannoni, le sue macchine, i suoi denari, i suoi operai. Spazzati via a una velocità da rimanere come un pugile suonato.

Lui che ora racconta tutto questo in Storia della mia gente, un libro che non sarà un capolavoro, che non si sa nemmeno bene cosa sia, che comunque a me è piaciuto molto, anche se più per la sua storia di vita che per la sua analisi della crisi - globalizzazione, globalizzazione, ma sarà che oltre ai cinesi di Cina anche gli imprenditori pratesi ci hanno messo del loro?

Lui che mette il dito nella piaga, che sa raccontare con straordinaria intensità il "risentimento" che segue l'età dell'abbondanza. Che racconta la sua storia e quella della sua gente. Così come il nostro presente e temo anche il nostro futuro.

E io chiudo questo libro e rimugino su tante cose. Anche sul fatto che da sempre vivo a meno di 20 chilometri da Prato. E sarà per la puzza sotto il naso del fiorentino, eppure non sono mai riuscito ad accorgermi di questo mondo accanto al mio, della sua fortuna di un tempo come del suo disastro di oggi, del suo dolore e del suo orgoglio.

O forse ho fatto sempre finta di non accorgermene. Da oggi, con questo libro, mi sarà più difficile.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...