Così scoprii che non conoscevo il mio paese. Io, scrittore americano, che scrive sull'America, lavoravo a memoria, e la memoria è, al meglio, una cisterna fallosa e contorta.
Ecco, questo non te lo aspetti dallo scrittore che ha raggiunto il successo proprio grazie alle sue storie americane, di più, grazie alla capacità riconosciuta di raccontare l'America vera. Proprio lui, John Steinbeck, l'autore di Furore, l'uomo capace di dare voce e dignità ai contadini messicani della California.
Lui che ha vinto il Nobel per la letteratura poi ha riacciuffato il sogno che accarezzava sin da bambino, col primo libro che lo aveva conquistato: è andato in Europa, ha regalato la sua penna alle vicende di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Ma ora, dove è finita l'America?
L'America non è New York, come la Francia non è Parigi. Più facile che si possa trovare nelle parole che si ascoltano al banco di un bar o negli odori sul ciglio della strada. Da venticinque anni non toccavo il paese. Così dice e venticinque anni sono tanti, sono ancora di più se si misurano col calendario della nostalgia. Quando era più giovane, quando il lusso era viggiare su un furgone scassato e fermarsi dove si fermava la gente.
Ecco, di tutto questo ha bisogno John Steinbeck, premio Nobel. Rimettersi per strada e toccare il suo paese. Così attrezza un furgoncino che pare restituirgli l'ebbrezza della gioventù - ma che ribattezza Ronzinante. Per compagno sceglie Charley, un barboncino che saprà contendergli il ruolo di protagonista. Poi una bella mattina si lascia dietro la casa, la moglie e un bel po' di altre certezze.
Viaggi con Charley alla ricerca dell'America (Bompiani edizioni) racconterà tutto ciò che è successo nelle settimane successive, con un'intensità che rammento in pochi altri libri americani, senz'altro Strade blu di William Least-Heat Moon, senz'altro Mille miglia in cammino fino al Golfo del Messico di John Muir, molto altro non mi viene in mente.
Dentro c'è l'America profonda, c'è l'America che non è New York, l'America anni Sessanta che fa parte del mio, del vostro immaginario. Ma c'è soprattutto l'esperienza del viaggio, la considerazione di ciò che il viaggio può produrre a chi viaggia.
Fin dalle prime pagine:
Un viaggio è come un matrimonio. La maniera sicura per sbagliare è credere di tenerlo sotto controllo.
E perché mai, se così si è più giovani davvero.
Ecco, questo non te lo aspetti dallo scrittore che ha raggiunto il successo proprio grazie alle sue storie americane, di più, grazie alla capacità riconosciuta di raccontare l'America vera. Proprio lui, John Steinbeck, l'autore di Furore, l'uomo capace di dare voce e dignità ai contadini messicani della California.
Lui che ha vinto il Nobel per la letteratura poi ha riacciuffato il sogno che accarezzava sin da bambino, col primo libro che lo aveva conquistato: è andato in Europa, ha regalato la sua penna alle vicende di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Ma ora, dove è finita l'America?
L'America non è New York, come la Francia non è Parigi. Più facile che si possa trovare nelle parole che si ascoltano al banco di un bar o negli odori sul ciglio della strada. Da venticinque anni non toccavo il paese. Così dice e venticinque anni sono tanti, sono ancora di più se si misurano col calendario della nostalgia. Quando era più giovane, quando il lusso era viggiare su un furgone scassato e fermarsi dove si fermava la gente.
Ecco, di tutto questo ha bisogno John Steinbeck, premio Nobel. Rimettersi per strada e toccare il suo paese. Così attrezza un furgoncino che pare restituirgli l'ebbrezza della gioventù - ma che ribattezza Ronzinante. Per compagno sceglie Charley, un barboncino che saprà contendergli il ruolo di protagonista. Poi una bella mattina si lascia dietro la casa, la moglie e un bel po' di altre certezze.
Viaggi con Charley alla ricerca dell'America (Bompiani edizioni) racconterà tutto ciò che è successo nelle settimane successive, con un'intensità che rammento in pochi altri libri americani, senz'altro Strade blu di William Least-Heat Moon, senz'altro Mille miglia in cammino fino al Golfo del Messico di John Muir, molto altro non mi viene in mente.
Dentro c'è l'America profonda, c'è l'America che non è New York, l'America anni Sessanta che fa parte del mio, del vostro immaginario. Ma c'è soprattutto l'esperienza del viaggio, la considerazione di ciò che il viaggio può produrre a chi viaggia.
Fin dalle prime pagine:
Un viaggio è come un matrimonio. La maniera sicura per sbagliare è credere di tenerlo sotto controllo.
E perché mai, se così si è più giovani davvero.
Dedicato a tutti coloro che a Scauri non ci sono mai stati e che forse non sanno nemmeno dov'è. Non importa. con Spiaggia libera tutti Chiara Valerio ci racconta Scauri e il fazzoletto di terra intorno (luoghi che è bene conoscere, in ogni caso. Per dire: Terracina, Sperlonga, Formia, Gaeta...), ma soprattutto ci racconta un mondo, che sa di salsedine e di provincia, di nostalgia e di orizzonti aperti.
E io che da queste parti ci sono stato diverse volte, per vacanze, ma anche per libri, non ho sentito affatto il bisogno di riconoscere questo o quello, di condividere un giudizio, di innescare una particolare complicità. Nemmeno tutto questo importa. Come mi successe anni fa leggendo un libro decisamente ponderoso (Prateria di Least Heat-Moon), tutto dedicato a un paesino del Kansas, nel centro del centro degli States, poche anime un bar e un distributore di benzina che mai avrò il piacere di conoscere. Però lì dentro c'era tutto, compreso il sottoscritto.
Allo stesso modo con Spiaggia libera tutti. Che non so bene cosa sia davvero, come succede spesso e volentieri con i libri di Contromano della Laterza (e questo mi piace, parecchio). Non so, perché è moltissime cose insieme: guida alternativa e memoir, divagazione letteraria e lessico famigliare, diario e quasi romanzo corale.
Non so bene cosa sia, però inizia così:
Scauri è un po' come Macondo. Solo che a Scauri c'è il mare
E poi continua e ci sono Virginia Woolf, Evelyn Waugh, Winston Churchill, Fabrizia Ramondino...
E così si capisce che i veri viaggi sono proprio questi, mica catapultarsi in Thailandia, piuttosto tuffarsi in altre pagine: e in questo modo ritrovare volti, sapori, amici. Ritrovare radici.