
“Il sogno è l'ombra di una cosa vera”, dicono gli aborigeni australiani. E se le fiabe sono intessute della stessa materia del sogno, allora c'è molta verità, nella vita vera di Hans Christian Andersen, l'uomo che le fiabe le ha regalate a tutto il mondo.
Ci pensavo l'altro giorno, la vita di Andersen è una fiaba che potrebbe cominciare così: C'era una volta un povero ciabattino, che viveva nella città di Odense, a Fionia, la più dolce e ridente delle isole della Danimarca...
Andersen era il figlio di questo calzolaio e per la verità anche di una lavandaia alcolizzata. In passato c’è stato chi ha ipotizzato una lontana parentela con la famiglia reale danese, ma è facile si tratti solo di una leggenda, la realtà è che quella famiglia era tanto povera da vivere in una singola stanza e da mettere insieme il pranzo con la cena solo con molta fatica.
A soli 11 anni Andersen rimase orfano e si trasferì a Copenaghen per guadagnarsi da vivere come garzone di bottega. I suoi compagni di lavoro lo angariavano in continuazione, perché era brutto e goffo, e anche perché aveva un carattere introverso e modi effeminati. Oggi forse si chiamerebbe mobbing, o peggio.
Anche a scuola il preside lo disprezzava apertamente e gli diceva: “sei un ragazzo stupido, non combinerai niente di buono”.
Insomma, una vita apparentemente destinata alla solitudine e all'infelicità... non vi rammenta un po' la storia del brutto anatroccolo?
Però nella vita di questo ragazzo a un certo punto arrivò qualcosa. Oppure fu questo ragazzo che decise qualcosa e poi portò avanti questa determinazione: non si può dire.
O meglio, questo qualcosa c'era già da prima, perché vedete, quel povero ciabattino che lo aveva messo al mondo di pane in casa ne portava poco, però cercava di rallegrare il suo bambino raccontandogli storie e fiabe di ogni tipo.
Come un seme che gettiamo nel solco e che aspetta il suo tempo per germogliare.
Anche Andersen combatteva la tristezza raccontando fiabe ai più piccoli, che lo ascoltavano incantati. Poi un giorno decise di dedicarsi alla scrittura. E la scrittura divenne la sua vita.
Nel 1837 uscì
La sirenetta. Hans Christian Andersen divenne una celebrità. Ma fu proprio
Il brutto anatroccolo a consacrarlo grande scrittore. Un grande scrittore capace di consolare i brutti anatroccoli di tutto il mondo con Mignolina e la Principessa sul pisello, con il Soldatino di stagno e con la Regina della neve.
Sì, la vita di Andersen è stata proprio una fiaba. Una fiaba per rassicurarci che ogni bambino può diventare davvero uno splendido cigno. Sempre che non si sciupi il suo talento, che lo si coltivi come si farebbe con il più fragile, il più bello dei fiori.
Il ricordo è un lembo di terra sigillato nel silenzio, nella rarefazione degli affetti, nella sensazione che la vita è tutta qui, che non ci sia una seconda chance, una possibilità di fuga.
Però il ricordo sa essere anche sogno, intuizione di libertà, crampo di nostalgia.
E' un libro singolare, I luoghi più lontani di Per Petterson, norvegese che ambienta questa sua storia nell'estremità più settentrionale della Danimarca. Singolare soprattutto per le emozioni che ti fa scorrere dentro. Libro ruvido come carta vetrata, accogliente come il tepore di un camino.
Forse le stesse sensazioni che possono procurare certe terre settentrionali, dove la sottrazione delle cose e delle persone sa conquistare con ciò che è davvero essenziale.
Una donna spinge il suo ricordo fino all'adolescenza, in questo Nord che è vero Nord, senza tanti fronzoli, gelo, alcol, inni religiosi, solitudine. Lei, una ragazzina. E lui, il fratello, di qualche anno più grande, come un fiore nel deserto, con il suo carattere solare e ribelle.
Quanti sogni, nelle giornate dei due ragazzi, quante parole condivise e gelosamente serbate. Quanti luoghi che sono altri luoghi, mondi interi coltivati in questa lingua di terra.
Luoghi come sogni, in effetti, o sogni come luoghi. L'altrove di altre possibilità. Lei la Siberia, lui il Marocco. I luoghi più lontani, e allo stesso più vicini, perché non è mai una questione di geografia.
Poi la guerra, l'invasione nazista, la separazione, il cammino di una liberazione che non è solo liberazione da un nemico... e il ricordo che forse non è più quel vento freddo, che forse ora è il camino che riscalda.