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mercoledì 4 marzo 2015

Sorpresa, un giallo che non annoia dalla Danimarca

Pensare che era un pezzo che mi erano venuti a noia i cosiddetti "gialli scandinavi", con tutto il parlare che se n'è fatto. Però un giorno hai bisogno di un bel romanzone da leggere per distrazione, di quelli che ti vedi già sul divano con teino e plaid, a divorare pagine per vedere come va a finire. E che sia anche bello lungo, per concederti il piacere dell'immersione. Senza motivo apparente - non è che la copertina sia di quelle che conquistano - la scelta ricade su questo titolo, di un autore a me sconosciuto, danese di successo: Il messaggio nella bottiglia di
Jussi Adler-Olsen (Marsilio). 

E sorpresa, il libro è scritto bene, mai appiattito su ciò che del genere è più trito e ritrito. Quanto a tensione riesce a reggere perfino verso la conclusione, laddove i più cadono miseramente. E sorpresa, non c'è solo la tensione su come andrà a finire. Perché c'è almeno un bel personaggio, questo ispettore svogliato e perennemente alle prese con una burocrazia che a modo suo infesta anche la Danimarca. E c'è questo colpo di occhio sul mondo sfuggente e inquietante delle sette religiose. Poi certo, c'è anche il solito serial killer... però, che dire, si sopporta anche lui. E non è davvero poco.

mercoledì 2 maggio 2012

I luoghi più lontani, in quel lembo di Nord

Il ricordo è un vento freddo, incessante, che in estate increspa un mare colore del piombo e che di inverno spazza una distesa di ghiaccio.

Il ricordo è un lembo di terra sigillato nel silenzio, nella rarefazione degli affetti, nella sensazione che la vita è tutta qui, che non ci sia una seconda chance, una possibilità di fuga.

Però il ricordo sa essere anche sogno, intuizione di libertà, crampo di nostalgia.

E' un libro singolare, I luoghi più lontani di Per Petterson, norvegese che ambienta questa sua storia nell'estremità più settentrionale della Danimarca. Singolare soprattutto per le emozioni che ti fa scorrere dentro. Libro ruvido come carta vetrata, accogliente come il tepore di un camino.

Forse le stesse sensazioni che possono procurare certe terre settentrionali, dove la sottrazione delle cose e delle persone sa conquistare con ciò che è davvero essenziale.

Una donna spinge il suo ricordo fino all'adolescenza, in questo Nord che è vero Nord, senza tanti fronzoli, gelo, alcol, inni religiosi, solitudine. Lei, una ragazzina. E lui, il fratello, di qualche anno più grande, come un fiore nel deserto, con il suo carattere solare e ribelle.

Quanti sogni, nelle giornate dei due ragazzi, quante parole condivise e gelosamente serbate. Quanti luoghi che sono altri luoghi, mondi interi coltivati in questa lingua di terra.

Luoghi come sogni, in effetti, o sogni come luoghi. L'altrove di altre possibilità. Lei la Siberia, lui il Marocco. I luoghi più lontani, e allo stesso più vicini, perché non è mai una questione di geografia.

Poi la guerra, l'invasione nazista, la separazione, il cammino di una liberazione che non è solo liberazione da un nemico... e il ricordo che forse non è più quel vento freddo, che forse ora è il camino che riscalda.

lunedì 9 aprile 2012

Se anche la Danimarca è il posto sbagliato

Quando la campanella suonava la ricreazione per gli altri, per me suonava il supplizio, e cercavo di sopravvivere all'intervallo. Sapevano chi ero, lo avevano imparato durante le lezioni. Ero il porco tedesco...

Narra di se stesso, Knud Romer, della sua adolescenza di ragazzino figlio di una tedesca che per le combinazioni della vita si è trasferita in Danimarca, dopo la seconda guerra mondiale. E che per quanto faccia, finisce per attrarsi addosso tutti i risentimenti che i danesi hanno accumulato nei confronti dei tedeschi durante il nazismo.

E Porco tedesco è il titolo di questo libro particolare, curioso, che vuole essere molte cose insieme, trovando proprio in questo il suo limite e la sua ricchezza.

Non impiccatevi al titolo, che dà una chiave di lettura riduttiva e banalizzante.

Non è mica solo la questione di un adolescente che sente di essere nato nel posto sbagliato. Su queste pagine si può ragionare sul fatto che i ragazzini possono essere terribilmente crudeli nei confronti dei loro coetanei; che le radici di questa crudeltà affondano quasi sempre in quello che vivono e sentono in famiglia; che anche nella civilissima Danimarca non era (e presumibilmente non è) estranea ai germi dell'intolleranza, della xenofobia, del fare comunque di ogni erba un fascio.

Un libro che può essere interessante anche solo per questo. Ma che a me ha convinto di più nelle pagine in cui ci accompagna dentro la vita di una piccola cittadina danese e poi dentro gli interni di una famiglia decisamente squinternata.

ps: vorrei saperne di più su Knud Romer, personaggio che deve essere piuttosto particolare, di cui leggo che, oltre a essere stato attore in un film di Lars Von Trier, ha pubblicato un’antologia sulla stupidità, una guida ai bagni pubblici di Copenhagen e numerosi altri singolari trattati, sulle pasticche alla menta come sul suicidio autoerotico.

lunedì 31 ottobre 2011

Invidia per l'Irlanda e il suo presidente poeta rock

E dunque, ora invidio anche l'Irlanda, paese già invidiabile per molte cose, che inopinamente ha eletto presidente della Repubblica un poeta.

Invidio l'Irlanda con la stessa intensità con cui nei giorni scorsi ho invidiato la Danimarca, altro paese già invidiabile per molte cose, quando ho letto di come il nuovo governo si è insediato, andando tutti dalla regina in bicicletta, qualcuno dei ministri (e delle ministre) anche con il cestino della merenda sul manubrio, senza nemmeno l'ombra di un auto blu in giro (e per la cronaca, oggi in Danimarca il ministro del Fisco ha 26 anni, è studente di scienze politiche e di nome fa Thor).

Però ora invidio il paese che ha avuto il coraggio di eleggere un poeta alla sua massima carica istituzionale, preferendolo a una star della televisione e a un ex comandante militare.

Non conosco Michael Higgins, non ho avuto mai modo di leggere i suoi versi. E qualcuno, giustamente, può obiettare che essere poeta non è una garanzia sufficiente per essere un buon presidente. Così come i filosofi, fin dai tempi di Platone e della sua Repubblica, non è che abbiano convinto più di tanto alla guida di un paese.

Non lo so, ma quello che ho appreso di Higgins, mi fa ben pensare: poeta, ma anche pacifista; uno che ha fondato un canale tv in gaelico, ma scrive anche per una rivista rock.... che dire? Se non le istituzioni irlandesi è giusto invidiare almeno gli irlandesi, per quello che sono stati capaci di votare.

venerdì 5 agosto 2011

Quel medico nella sonnolenta Danimarca

Ascesa e caduta di un uomo che nel Settecento provò a cambiare il sonnolento regno di Danimarca realizzando un pezzo di utopia su questa nostra terra.

L'ho riletto in queste settimane, Il medico di corte di Per Olov Enquist, scrittore svedese pubblicato da Iperborea. L'ho riletto approfittando di un viaggio in Danimarca, in cui ho pensato anche a lui, per forza, ho pensato a questo medico che si fece grande riformatore, che provò a cambiare un paese - lui che per di più in quel paese era straniero - e finì per morire torturato e squartato.

Pare impossibile che una storia come questa - peraltro autentica - ti possa prendere e invece quando hai voltato l'ultima pagina è come se ti avessero strizzato lo stomaco.

Sarà che qui c'è tutta la grandezza e la miseria dell'uomo.

Sarà che nel dottor Friedrich Struensee c'è tutta la tragedia dei grandi sinceri rivoluzionari che alla fine soccombono travolti dalle loro idee, incapaci di convincersi che la loro società è troppo perfetta per il cuore imperfetto degli uomini....

Però alla fine cos'è quel suono del flauto, quasi sospeso nell'aria, quel suono che quasi ci ammonisce sulla splendida perserveranza di certe idee... idee che non si lasceranno mai decapitare?

Ps: speravo che questa figura fosse più ricordata, nella civilissima Danimarca, non fosse altro che per una sorta di riparazione. Solo nel palazzo reale a Copenaghen ho trovato una nota che lo riguardava. Che il problema della memoria, anzi, dell'amnesia, non sia solo nostro?

martedì 2 agosto 2011

Le fiabe di Andersen nella furia della guerra

Ci sono molte cose che meritano di essere viste e meditate, al bellissimo museo che la città di Odense, in Danimarca, ha dedicato a Hans Christian Andersen, l'uomo che regalò al mondo la Sirenetta e il Brutto Anatroccolo, lui stesso nella sua vita brutto anatroccolo che con le fiabe si scoprì cigno.

L'altro giorno ero a Odense e al museo ci ho trascorso una mezza giornata senza alcun rimpianto, anzi.

Sono entrato in ciò che rimane della casa natale dello scrittore, ho seguito passo passo la sua vita, più disgraziata di quanto si possa in genere presumere, malgrado il successo e la ricchezza.

Per tutta la vita Andersen inseguì amori impossibili senza mai a farsi una famiglia. Però riuscì a incantare i bambini di tutto il mondo, generazione dopo generazione. Non avendone di suoi, passava molto tempo con i figli dei suoi amici più cari, strampalata figura di "zio" che faceva sognare con le sue parole.

Però la cosa che più mi ha commosso l'ho scovata nella sala dove si conservano alcune delle edizioni più rare e particolari delle sue fiabe. Per dire, ce n'è una in lingua della Groenlandia e una degli anni del nazismo, dalla quale è stato scrupolosamente cancellato ogni riferimento a una famiglia ebrea.

Ma ce un libro, soprattutto. Porta una data e un luogo: Leningrado, 1943.

Proprio così, è stato stampato durante l'assedio, uno dei più terribili della nostra storia. Quando i sovietici riuscirono a fermare l'avanzata dei tedeschi e a imprimere una svolta alla guerra. Mancava tutto, a Leningrado. C'era solo fame, con quei 125 grammi di una specie di pane che erano la razione giornaliera per ogni uomo e donna.

Mancava tutto, però trovarono il modo di stamparlo, quel libro.

E non erano i discorsi di Lenin. Erano le fiabe di Andersen.

giovedì 21 luglio 2011

Il Fantasma del Padre in un pub inglese


Come nell'Amleto, solo che il marcio non è in Danimarca, ma in una cittadina inglese che più inglese non si può, tanto che un bel pezzo della storia scivola nei pub. Come nell'Amleto, perché fin dall'inizio compare il Fantasma del Padre a svelare il suo assassinio e a chiedere vendetta, solo che qui non c'è Ofelia, non c'è Amleto e per la verità non c'è nemmeno Shakespeare.

Ci sono libri che ti deludono non per quello che sono ma per le aspettative che ti hanno alimentato, sarà per il titolo azzeccato, la copertina accattivante, l'idea che te ne sei fatta grazie a qualche recensione.

Non è un brutto libro, Il club dei padri estinti di Matt Haig, che qualcuno vorrebbe paragonare, per intensità e originalità, a Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte. Scorre che è un piacere, i dialoghi funzionano piuttosto bene, provi una necessaria simpatia per il ragazzino, l'undicenne Philip, e un'altrettanto necessaria avversione per lo zio Alan, l'omicida (non vi rivelo nulla, si sa fin dall'inizio).

Poi però quello che ti rimane tra le dita è niente. Sabbia che è scivolata via e qualche retropensiero su un tentativo malriuscito di costruire un caso editoriale. Nel caso, un pessimo servizio anche a Matt Haig.

E a proposito di libri originali, che giocano tra la sofferenza della morte e la possibilità di continuare un pezzo di strada con i cari defunti, volete mettere Alice Sebold e il suo Amabili resti?

lunedì 7 dicembre 2009

La vita da fiaba dello scrittore da fiaba


“Il sogno è l'ombra di una cosa vera”, dicono gli aborigeni australiani. E se le fiabe sono intessute della stessa materia del sogno, allora c'è molta verità, nella vita vera di Hans Christian Andersen, l'uomo che le fiabe le ha regalate a tutto il mondo.

Ci pensavo l'altro giorno, la vita di Andersen è una fiaba che potrebbe cominciare così: C'era una volta un povero ciabattino, che viveva nella città di Odense, a Fionia, la più dolce e ridente delle isole della Danimarca...

Andersen era il figlio di questo calzolaio e per la verità anche di una lavandaia alcolizzata. In passato c’è stato chi ha ipotizzato una lontana parentela con la famiglia reale danese, ma è facile si tratti solo di una leggenda, la realtà è che quella famiglia era tanto povera da vivere in una singola stanza e da mettere insieme il pranzo con la cena solo con molta fatica.

A soli 11 anni Andersen rimase orfano e si trasferì a Copenaghen per guadagnarsi da vivere come garzone di bottega. I suoi compagni di lavoro lo angariavano in continuazione, perché era brutto e goffo, e anche perché aveva un carattere introverso e modi effeminati. Oggi forse si chiamerebbe mobbing, o peggio.
Anche a scuola il preside lo disprezzava apertamente e gli diceva: “sei un ragazzo stupido, non combinerai niente di buono”.

Insomma, una vita apparentemente destinata alla solitudine e all'infelicità... non vi rammenta un po' la storia del brutto anatroccolo?

Però nella vita di questo ragazzo a un certo punto arrivò qualcosa. Oppure fu questo ragazzo che decise qualcosa e poi portò avanti questa determinazione: non si può dire.

O meglio, questo qualcosa c'era già da prima, perché vedete, quel povero ciabattino che lo aveva messo al mondo di pane in casa ne portava poco, però cercava di rallegrare il suo bambino raccontandogli storie e fiabe di ogni tipo.
Come un seme che gettiamo nel solco e che aspetta il suo tempo per germogliare.

Anche Andersen combatteva la tristezza raccontando fiabe ai più piccoli, che lo ascoltavano incantati. Poi un giorno decise di dedicarsi alla scrittura. E la scrittura divenne la sua vita.

Nel 1837 uscì La sirenetta. Hans Christian Andersen divenne una celebrità. Ma fu proprio Il brutto anatroccolo a consacrarlo grande scrittore. Un grande scrittore capace di consolare i brutti anatroccoli di tutto il mondo con Mignolina e la Principessa sul pisello, con il Soldatino di stagno e con la Regina della neve.

Sì, la vita di Andersen è stata proprio una fiaba. Una fiaba per rassicurarci che ogni bambino può diventare davvero uno splendido cigno. Sempre che non si sciupi il suo talento, che lo si coltivi come si farebbe con il più fragile, il più bello dei fiori.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...