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lunedì 18 luglio 2016

Emile Zola e le parole di cui un paese ha bisogno

Ed è volontariamente che mi espongo. Quando alle persone che accuso, non le conosco, non le ho mai viste, e non nutro contro di esse né rancore nè odio.... E l'atto che compio oggi non è che un mezzo rivoluzionario per sollecitare l'esplosione della verità e della giustizia. Non ho che una passione, quella della chiarezza, in nome dell'umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto ad essere felice

Che parole sono queste, parole da scolpire nei cuori, parole che non sono retorica, ma che piuttosto impongono scelte, esigono comportamenti, sottraggono la possibilità della quiete interessata, che sa ma preferisce non sapere, che piuttosto distoglie lo sguardo.

Non sono retorica, per lo meno non lo sono state, perché proprio queste parole un tempo sono state grido che ha smosso le coscienze, chiamato all'esercizio della responsabilità, ripristinato il sentimento della giustizia. Sono tratte dal J'accuse di Emile Zola, uno dei più grandi esempi della cultura che sceglie il coraggio e la verità. Di uno scrittore che scorge e riconosce il punto di svolta, il crinale oltre il quale le cose non saranno più come prima. Che scende in campo perché sa che salvare un uomo - nel caso Alfred Dreyfus, l'ufficiale francese vittima di un'atroce macchina accusatoria - significa salvare un'intera civiltà.

Mi sa che in un paese normale le pagine di Zola sarebbero coltivate come patrimonio universale, da insegnare nelle scuole, assieme per esempio alla lettera sulla compassione di Rosa Luxemburg. E invece, sarà un caso che in Italia da molti anni non fossero ristampate?

Ci ha pensato ora la Giuntina: e queste sono le cose che ti fanno pensare a quanto possano essere preziose piccole case editrici senza ambizioni da classifiche di best seller. Con la prefazione - sarà anche questo un caso? - di Roberto Saviano:

Esistono storie, come questa, che quando le incontri non puoi cacciarle da te. Emile Zola mi ha insegnato che quando una storia ti entra dentro, tutto cambia. E non puoi riferirla, raccontarla, scriverne senza che i tuoi lettori sappiano tu da che parte stai

Parole da tenere di conto. Parole buone per un intero paese.

martedì 22 ottobre 2013

Come andò l'ultimo incontro tra Stalin e Gorkij

Pare che ci fosse un buon rapporto tra Maksim Gorkij, il grande scrittore della rivoluzione, e Josif Stalin, il quale ci teneva a passare per un amante dei libri (apprezzava particolarmente Zola e Cechov, a parziale dimostrazione che non sempre la buona letteratura rende l'uomo migliore).

In vita non mancarono certo omaggi e riconoscimenti, ma Stalin lo andò a trovare anche negli ultimi giorni della sua malattia, nel giugno 1936. Come andò, lo apprendo in One on One di Craig Brown (Edizioni Clichy), raccomandabilissima raccolta di incontri sorprendenti. I dottori non fecero avvicinare al capezzale del moribondo nemmeno il grande Padre del socialismo. Che si dovette accontentare, obtorto collo, di far pervenire un biglietto.

I dottori non ci hanno permesso di entrare. Ci siamo arresi. Ciao da tutti noi, un abbraccio.

Possibile che uno come Stalin possa scrivere una riga così?

A ogni modo tornò nei suoi panni dopo la morte di Gorkij. I dottori vennero accusati di omicidio, uno fu giustiziato, l'altro condannato a 25 anni di carcere. Molto molto tempo più tardi quest'ultimo accusò Stalin di avere ucciso Gorkij, nel timore che lo scrittore raccontasse al mondo qualcosa delle purghe e dei processi farsa.

Dieci anni dopo la morte di Stalin fu proprio questo che raccontò anche la vedova del grande scrittore della rivoluzione che, evidentemente, non aveva smesso di divorare i suoi uomini di lettere.

sabato 3 dicembre 2011

Il coraggio delle parole di cui abbiamo bisogno

Ed è volontariamente che mi espongo. Quando alle persone che accuso, non le conosco, non le ho mai viste, e non nutro contro di esse né rancore nè odio.... E l'atto che compio oggi non è che un mezzo rivoluzionario per sollecitare l'esplosione della verità e della giustizia. Non ho che una passione, quella della chiarezza, in nome dell'umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto ad essere felice

Che parole sono queste, parole da scolpire nei cuori, parole che non sono retorica, ma che piuttosto impongono scelte, esigono comportamenti, sottraggono la possibilità della quiete interessata, che sa ma preferisce non sapere, che piuttosto distoglie lo sguardo.

Non sono retorica, per lo meno non lo sono state, perché proprio queste parole un tempo sono state grido che ha smosso le coscienze, chiamato all'esercizio della responsabilità, ripristinato il sentimento della giustizia. Sono tratte dal J'accuse di Emile Zola, uno dei più grandi esempi della cultura che sceglie il coraggio e la verità. Di uno scrittore che scorge e riconosce il punto di svolta, il crinale oltre il quale le cose non saranno più come prima. Che scende in campo perché sa che salvare un uomo - nel caso Alfred Dreyfus, l'ufficiale francese vittima di un'atroce macchina accusatoria - significa salvare un'intera civiltà.

Mi sa che in un paese normale le pagine di Zola sarebbero coltivate come patrimonio universale, da insegnare nelle scuole, assieme per esempio alla lettera sulla compassione di Rosa Luxemburg. E invece, sarà un caso che in Italia da molti anni non fossero ristampate?

Ci ha pensato ora la Giuntina: e queste sono le cose che ti fanno pensare a quanto possano essere preziose piccole case editrici senza ambizioni da classifiche di best seller. Con la prefazione - sarà anche questo un caso? - di Roberto Saviano:

Esistono storie, come questa, che quando le incontri non puoi cacciarle da te. Emile Zola mi ha insegnato che quando una storia ti entra dentro, tutto cambia. E non puoi riferirla, raccontarla, scriverne senza che i tuoi lettori sappiano tu da che parte stai

Parole da tenere di conto. Parole buone per un intero paese.

sabato 11 settembre 2010

Ma voi sapete cos'è un classico?

Quante volte c'è capitato di sentirlo e anche di dirlo: è un classico.  Come dire, su questo autore, su questa opera non si discute. E' un classico: e tanto basti.

Così perentoria, questa affermazione, da impedire qualsiasi ragionamento anche a monte: ma insomma, cosa si intende per classico?

Ecco, io non ho mai ben capito cosa sia un classico, anche se so che ci sono libri che per forza lo sono, che non riesco a non considerare tali, basta la parola per evocarli. Zola, Tolstoi, Dickens, Verga... I promessi sposi, ma anche Delitto e castigo...

Magari chi studia queste cose sa dare risposte fondate. Personalmente mi verrebbe da escludere che la definizione di classico abbia a che vedere automaticamente con la qualità e piuttosto la collegherei alla sua “durata”, alla sua capacità di parlare alle persone al di là delle epoche e delle circostanze. Cosa che tra l'altro aiuta a coltivare qualche legittima perplessità sull'etichetta di classico assegnata disinvoltamente a opere di ieri e dell'altro ieri.

Però non so, davvero.

Mi sa che un tempo era anche più facile capire quali libri potevano essere annoverati tra i classici (e che io abbia qualche idea a proposito dice qualcosa anche sulla mia anagrafe). Anche questo oggi è più complicato, sicuramente più complesso.

Per dire: possibile che i classici siano tutti francesi, o russi, o tedeschi, italiani naturalmente, sporadicamente inglesi o spagnoli?

La geografia della letteratura e quella della storia che vanno a braccetto, come quegli atlanti che ti mostrano due volte lo stesso pezzo di pianeta, il primo con i rilievi montuosi, il secondo con i colori che staccano uno Stato dall'altro.

Ma possibile che non mi venga in mente un classico che viene dalla Cina o dalla Turchia, e nemmeno dai paesi nordici? Possibile che ci debba perlomeno pensare? 

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