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lunedì 1 settembre 2014

La strada blu, in Canada, estremo Nord

Il Labrador. Avevo undici anni quando questo paese - la terra che Dio diede a Caino, come la chiamava il capitano Cartier - mi fece segno. Fu grazie a un libro e alle immagini che conteneva: indiani, eschimesi, montagne, pesci, e lupi bianchi che ululavano alla luna.

Ecco, non può essere per qualcosa del genere. Per le dita che frugano su un mappamondo fino a fermarsi su un colore e un contorno. Per la fantasia che galoppa a briglia sciolta sulle pagine di un libro. Per le scelte che solo a un'età tenera possono essere tanto pure e determinate da sentirsele come una pelle, che c'è ed è quella che è.

E' così che una terra diventa l'altrove, il tuo altrove. Te ne sei innamorato prima ancora di metterci piedi. Anzi, forse i piedi non ce li metterai mai. Non importa. Come, per quanto mi riguarda, non mi importa nemmeno capire se il mio autentico altrove è la Scozia di un viaggio adolescenziale e di alcuni film oppure il Sarawak di Emilio Salgari.

Per Kenneth White l'altrove è invece il Canada (un ottimo altrove, aggiungo io), anzi, più che il Canada il Labrador, l'estreno nord che anche per i canadesi non merita. Non c'è nulla, perché andarci?

Ma è proprio quel nulla che da sempre ha rapito Kenneth White. In quel nulla ci sono silenzi, spazi. In quel nulla, in effetti ci sono anche storie, persone.

Vite di ieri, come quelle dello scozzese che bruciò la Bibbia e si fece sciamano o del nobile francese che si confinò in un faro "lontano dagli imbecilli e, soprattutto, lontano dagli intellettuali". E vite di oggi come quelli di indiani che non si sa bene come vivano oggi, perché con loro il mondo è stato una corriera che non si è fermata e li ha abbandonati sul ciglio della strada. Però non rimangono solo bottiglie da scolare, ci sono segreti da conservare, orizzonti da scrutare, feste a cui invitare quello svitato di straniero.

Quante cose, davvero, in quel nulla. Silenzi da ascoltare, vuoti che non sono vuoti. E più si sottrae, più c'è. Più si può cogliere la possibilità di una poesia. La poesia definitiva che solo l'altrove personale, questo altrove, può davvero consentire.

Perché questo succede con la strada blu. Quella del titolo di un libro di viaggio, proposto da Amos edizioni, che e tra i più originali e intensi che mi siano capitati negli ultimi tempi.

Non ho capito bene cosa sia la strada blu. Però sto già indagando sulle parole che mi aiuteranno a designarla davanti ai miei passi...

lunedì 14 maggio 2012

Quando in giro per il mondo siamo noi l'altro

Qual è la loro visione del mondo? In che modo vedono gli altri? In che modo, ad esempio, vedono me? Perché se è vero che per me loro sono gli altri, è altrettanto vero che per loro l'altro sono io.

L'intera vita di Ryszard Kapuscinski, con il suo lavoro di inviato ai quattro angoli del mondo, in fondo non è stata che questo: il tentativo di dare una risposta a queste domande, inseguendo ovunque l'umanità.

Ed è l'altro il tema che viene affrontato in questo piccolo grande libro con cui Feltrinelli ha raccolto i testi di alcune conferenze. Tema affrontato, ma prima ancora accolto nella vita, fatto proprio, ricercato con curiosità, empatia, ostinazione.

Sono pagine importanti, queste. Importanti e intrigranti, soprattutto quando l'altro non è più l'altro, quando l'altro diventa colui che, perfino per professione, è chiamato a raccontarci l'altro.

 E allora il giornalista viaggiatore perde il suo nome,la sua identità. Diventa il bianco, il polacco, il cristiano. Diventa stereotipo e pregiudizio, a volte addirittura oggetto di investigazione e sorpresa. Come quando in Uganda i bambini lo toccano e poi si guardano le mani per vedere se non siano sbiancate.

 E forse, ridotto ad altro capisce meglio se stesso.

martedì 22 marzo 2011

L'unico motivo che non vale per viaggiare

Ci sono molti buoni motivi per viaggiare, ma solo uno è meglio lasciarselo una volta per tutte alle spalle: l'irragionevole convinzione che cambiando luogo si possa cambiare se stessi, ritrovare se stessi, o peggio ancora fuggire da se stessi.

Non c'è altrove per chi prova ad alimentare questa speranza macinando chilometri. E valgano allora le parole di uno dei più grandi scrittori viaggiatori dei nostri tempi, Cees Nooteboom, un nome che sembra uno scherzo, ma un lampo di luce in ognuna delle pagine del suo Hotel Nomade (Feltrinelli Traveller)

Chi viaggia di continuo è sempre da qualche altra parte, e questo vale per te stesso, e quindi sempre assente, e questo vale per gli altri, gli amici; perché è vero che per te sei sempre "in qualche altro posto", il che vuol dire che in qualche posto non ci sei, però in un posto ci sei sempre e comunque, ossia con te stesso. E per quanto semplice possa sembrare, ci vuole molto tempo prima che te ne renda completamente conto. 


Non so quante volte ho già dovuto ascoltare il detto di Pascal: "La sventura del mondo viene perché gli uomini non riescono a rimanere ventiquattr'ore nella stessa stanza", fin quando pian piano ho capito che io ero proprio quello che rimaneva a casa, vale a dire con se stesso.


Anche viaggiare è qualcosa che devi imparare, è una transazione continua con gli altri durante la quale nello stesso tempo sei solo.

lunedì 21 settembre 2009

Nel deserto dei tartari, sognando l'altrove


Figurarsi che la prima volta che mi capitò di leggere Il deserto dei tartari di Dino Buzzati fu tanti anni fa, per portarlo all'esame di terza media: lettura non dico sconsigliata per un adolescente, ma certo intempestiva, perché questo è un libro che è come il vino che invecchia acquistando un corpo diverso, arricchendosi di sfumature che fanno la differenza.

In seguito a lungo mi sono fatto accompagnare dalle sue domande metafisiche, dalla vertigine dell'attesa che inghiotte le sue pagine e la vita intera del tenente Drogo, magari anche dalla fame di un nemico, perché anche un nemico può regalarti un senso...

Solo più tardi ho capito che il senso è piuttosto abbandonare la fortezza e scommettere su un altrove... ma è da qui, è dal deserto dei tartari, che bisogna sempre partire... è il deserto dei tartari che pretende sempre da noi una risposta...

E ancora oggi torno alle pagine che mi raccontano di quell'attesa, del giorno della battaglia che forse sarà domani, o domani ancora, ma mai oggi, di quella vita che aspetta perennemente la sua chiamata, il suo banco di prova, il gesto che le attribuirà un senso, pure nella sconfitta... e tutto questo con il passo del romanzo di avventura (senza avventura), da ragazzino appunto...

Ci sono libri che fai fatica a catalogare anche come capolavori, perché devi andare oltre un giudizio sulla qualità, non ci sono stelle o voti o categorie di valutazione che esprimano quanto un libro è entrato nella tua vita, quanto ti è stato essenziale.

Per me un libro fondamentale. Credo per parecchi.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...