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lunedì 28 luglio 2014

Vivere il tempo al tempo dello zapping digitale

Forse sto cambiando anch'io, allo stesso modo di chi, fino a qualche tempo fa, trattavo con una certa sufficienza. Io, la persona che aveva sempre tre o quattro libri in lettura contemporaneamente. Uno per la colazione, uno da portarsi in giro tutto il giorno, un altro paio per la buona notte.

Parole scritte per il tè coi biscotti e parole scritte per i minuti alla fermata del bus. Parole scritte per stare a casa e parole scritte per viaggiare.

Ora sempre più spesso acquisto libri destinati a ingrossare le pile delle letture in attesa, come le chiamo con un pizzico di consapevole ipocrisia. Ospiti garbati, i libri. Sistemati sul ripiano della credenza, accanto al vassoio della frutta, aspettano in silenzio il loro turno. Magari non arriverà mai.

Piuttosto sempre più spesso metto via un libro, accendo il computer, mi collego al mio profilo su Facebook e posto la prima cosa che mi viene in mente. Notizie, curiosità, citazioni, battute, saluti. Oppure plano su Twitter, incantato dal suo ritmo, dalla velocità con cui scorrono le sue righe, altrettante finestre sul mondo.

 È come salire su un tappeto volante e lasciarsi portare via.  Il mio zapping digitale: dopo la tv il mondo incantato del Web 2.0.

Vero, sto cambiando anch'io, non solo il mondo. E solo di tanto in tanto avverto il tarlo del dubbio.

L'altro giorno ci ho riflettuto un po' di più. Non è quello che faccio, mi sono detto. In realtà ciò che conta, ciò che sta davvero cambiando, è  il mio sentimento del tempo.

Ed è questo che mi sembra di aver capito: queste immagini, queste parole che scorrono sugli schermi, che circondano la mia vita, mi illudono di vivere il mio tempo. Ma non è questo, vivere il tempo, così come non è nuotare abbandonarsi alla corrente di un fiume.

Non è una successione di istanti ancorati a un eterno presente, il tempo. Ha bisogno di profondità, ha bisogno di spessore, il tempo.

martedì 29 marzo 2011

Ma perché agli scrittori piace Facebook?

Facebook è la babysitter di noi scrittori persi nella rete, potenzialmente in grado di metterci nei guai

Interessante, davvero interesante, la riflessione che Elena Stancanelli fa sulle pagine di Repubblica (La nuova letteratura dei social network) nel tentativo di spiegare perché tanti scrittori si sono fatti catturare da Facebook, allo stesso tempo raccontando perché lei stessa si è costruita un profilo, l'ha cancellato (perseguitata dalla domanda: ma a che ti serve?) per poi aprirlo di nuovo.

E dunque, perché tanti scrittori dopo aver passato tanti ore a distillare parole per i loro libri poi non trovano niente di meglio che spendere altro tempo per macinare altre parole sul computer. Possibile sia solo per biechi motivi di autopromozione?

Dice la Stancanelli:

Invece ci colleghiamo a Facebook, scambiamo due frasi con qualcuno, sbirciamo le foto di un altro, scriviamo un mini pensiero nello spazio chiamato "cosa stai pensando". E' rilassante, e non incide sulla carta di credito. Ma a cosa serve? A niente

Forse è proprio questo niente una prima risposta. Questa possibilità di parola leggera, scorrevole, non impegnativa, non destinata a rimanere....

Chissà però che da questo niente non possa nascere qualcosa di incredibilmente importante. Non so niente dei romanzi che in America cominciano a essere scritti a forza di cinguettii di Twitter, non so se attraverso Facebook stanno nascendo la lingua e la capacità di racconto del domani, ma sono proprio contento di poter assistere a cosa sta succedendo. E cito ancora, sarà perché Internet è la grande macchina della citazione universale:


D'ora in poi quando i mormoni della letteratura mi chiederanno "sì, ma a che serve?", risponderò che i social network sono i libri del futuro. E potrei anche avere ragione.


La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...