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lunedì 20 aprile 2020

Birra e chiacchiere del Buster Keaton di Praga

Bohumil Hrabal è uno scrittore che mi piace fin dal nome e che in qualche modo riesco a immaginarmi nella vita di ogni giorno: ci sono scrittori per cui anche questo conta, non puoi prescinderne.
Lui faticava durante il giorno, però di sera si prendeva il suo tempo in una delle tante belle osterie di Praga e lì si metteva a scrivere pagine che mi immagino inzuppate da tanta birra e ingarbugliate da molte conversazioni sul niente e sul tutto.

Da tutto questo balzò fuori uno scrittore insolito, irresistibile sia nell’umorismo che nella dolcezza surreale e struggente.

Una sorta di Buster Keaton della letteratura, mi verrebbe da dire, anche se in effetti Hrabal non lo puoi paragonare a niente che non presupponga il suo essere in tutto e per tutto abitante di Praga.

Treni strettamente sorvegliati (E/O edizioni) è il primo libro che lo ha fatto conoscere in Italia, diversi anni fa, grazie anche a un film che da esso è stato tratto. Io me ne sono innamorato allora, ma in questi giorni sono tornato a sfogliarlo, indugiando su diverse pagine.

C'è già tutta la sua forza, la sua inventiva, la sua poesia sbilenca, la sua capacità di strappare un sorriso e un brindisi anche alle miserie che sono di tutti noi. Merita.

sabato 12 dicembre 2015

Dall'Afghanistan il coro greco delle madri straziate dalla guerra

Perché a raccontare le guerre sono solo gli uomini? E che cosa ricorderebbero invece le donne? Ne risulterebbe forse un'altra guerra, del tutto diversa?

Cosi si interrogava, già prima di essere un'autrice pubblicata, Svetlana Aleksievic, arrivata ora al Nobel la letteratura. Con il suo primo libro, molti anni fa, dette voce alle donne-soldato dell'Unione Sovietica, in una sconvolgente testimonianza della Seconda Guerra Mondiale. Libro che - senza spingersi fino a dare la parola al nemico - risultò troppo in contrasto con la retorica dell'allora stato socialista per non essere censurato e proibito per molto e molto tempo.

In Ragazzi di zinco (E/O edizioni) Svetlana si ripete. Punta l'attenzione in una guerra di cui ci ricordiamo assai meno anche se da essa sono discesi molti dei guai di cui ancora oggi soffre il nostro pianeta: il terribile conflitto che iniziò a fine 1979, con l'invasione sovietica dell'Afghanistan, per trascinarsi per un decennio, fino quasi alla caduta del Muro di Berlino.

Molti semi del fondamentalismo di oggi, molti orrori che allora non ebbero video postati in rete, appartengono proprio a quella guerra. Ma in queste pagine non si indulge alle descrizioni delle esecuzioni sommarie o dei corpi mutilati a spregio - anche se non mancano immagini terribili, come quella della bambina con le mani mozzate perché rea di aver accettato una caramella dal nemico.

Quello che conta è che Svetlana ancora una volta dà voce a chi non ha voce: alle reclute che partirono per una guerra a volte senza che nemmeno gli fosse detto, ai giovani idealisti che invece scelsero l'Afghanistan convinti di edificare così un pezzo di socialismo, ma soprattutto alle madri - chiamate semplicemente così: le madri - che da quella terra videro rimandare il corpo del proprio figlio sigillato in una cassa di zinco (di qui il titolo).

Bello, impressionante, straziante. La guerra raccontata come raramente è stato fatto. Con la moltitudine delle voci che si fa voce sola, unica, alta: la voce di un coro greco, potente e carico di dolore.

venerdì 30 ottobre 2015

Svetlana e le voci degli sconfitti della storia

Che cosa possedevano? Solo la fede in un avvenire radioso, e adesso non hanno neanche quella. Sono disposti a riuninciare a tutto, sono abituati a vedersi defraudare continuamente di qualche cosa. Ma c'è qui un mistero che inquieta: darebbero il loro ultimo pezzo di pane, la vita stessa, purché si rendesse loro la fede!

Con la mia stupefacente capacità di rimozione di titoli e nomi niente mi aveva rammentato l'annuncio a sorpresa del Nobel per la letteratura a Svetlana Alekviesic. E invece ecco qui, ci ho messo qualche giorno per mettere in fila tutto e per rammentarmi di un libro che anni fa un amico non solo mi aveva suggerito, ma anche regalato: come si fa con i libri veramente importanti, che si spera di condividere perché sono un pezzo di vita in cui riconoscersi.

Eccolo qua, Incantati dalla morte, edizioni E/O. Quando praticamente nessuno in Italia aveva mai sentito nominare questa scrittrice  (e giornalista) di lingua russa che già ci aveva raccontato l'inferno bellico dell'Afghanistan e quello nucleare di Cernobyl.

Ho ripreso tra le mani questo libro, l'ho sfogliato con qualche inquietudine per la mia amnesia, mi ci si sono rituffato dentro. Questa volta l'inferno raccontato non è quello di una guerra o di un disastro ecologico, ma di una generazione a cui sono state strappate identità, orgoglio, futuro. Gli uomini e le donne che, nell'ex Unione Sovietica, sono stati seppelliti sotto le macerie del socialismo reale, rottamati - loro davvero - da una storia che ha sterzato in un'altra direzione. Altro che sole dell'avvenire.

In questo romanzo di voci si raccoglie il loro punto di vista di sconfitti a cui è stato tolto tutto. Non erano i dirigenti e i massimi funzionari, bravi a riciclarsi, a reinventarsi nel nuovo poderoso corso delle cose.

Romanzo verità, romanzo a più voci, romanzo che racconta la storia attraverso le storie. Appassionante fin dai titoli di ogni capitolo-testimonianza. Per esempio: Storia raccontata da un giovane il quale ha capito che la vita è più Fellini che Bergman. Storia sull'impossibilità di disamorarsi delle marce militari. Storia di un uomo che non poteva essere felice.

Da leggere a mio parere insieme a Una generazione che ha dissipato i suoi poeti di Jakobson Roman, straordinario libriccino che non mi sono dimenticato. Ma questo, come ho fatto? Sarà per il titolo buono più per un thriller dei peggiori?


venerdì 22 maggio 2015

L'uomo nell'ombra in un noir diverso

Per chi è stanco dei solito noir a menù fisso, ammazzamenti in dosi crescenti e rese di conti senza un sussulto. Per chi esige qualcosa di meno scontato anche nel raccontare i fatti di casa nostra, leggi mafia o 'ndrangheta, perché anche un romanzo di genere può essere una formidabile occasione per capirci qualcosa di più. Per chi sa che una buona trama non basta, perché bisogna entrare dentro i personaggi, scavare nei loro vissuti, nei tempi diversi della loro storia.

Beh, per tutto questo è davvero una buona lettura La firma del puparo di Roberto Riccardi (edizioni e/o), l'ultima inchiesta del tenente Rocco Liguori.

Dentro ci sono molte cose dentro, che sono anche pezzi di mosaico o piuttosto fili di una ragnatela che dovrebbero ricondurre al puparo, personaggio che vive nell'ombra e muove i fili di tutto.

Però c'è soprattutto il tempo, in questo libro. Il tempo dell'indagine, fiato sul collo per arrivare in fondo e salvare vite. Ma soprattutto il tempo della vita: tracce del passato che davvero galleggiano come sugheri in mare.

Perché poi questa è una storia che riporta a paese natio, alle radici, alla stagione dell'infanzia. A due ragazzini che hanno respirato la stessa aria e giocato gli stessi giochi, prima di incamminarsi su strade diverse: uomo di giustizia, l'uno, uomo di criminalità organizzata, l'altro.

Ci sarà possibile di ritrovarsi, per un atto di riparazione o almeno per un cenno di saluto?

sabato 29 novembre 2014

Un noir per la storia più nera dell'Argentina

Ormai arrivano spesso da lontano i gialli e i noir migliori, quelli con una voce più autentica, con storie che non sono scontate e che non hanno bisogno di troppi effetti speciali. Arrivano da lontano e a volte sono anche capaci di portarci lontano: dentro paesi di cui finalmente si raccontano le vicissitudini e i tormenti.
Di tutto questo sono ancora più convinto dopo aver letto Mapuche di Caryl Fèrey (edizioni E/O), poliziesco sui generis che ha per protagonista Jana, giovane figlia di un popolo massacrato, e Rubèn, uno dei pochi sopravvissuti alle carceri clandestine di una feroce dittatura. Jana e Rubèn, ma soprattutto l'Argentina: perché è di questo paese che sembra non finire più, per geografia e sofferenze, che in realtà parla questo libro.

Colpi di scena a ripetizione, certo. Pagine da divorare una dietro l'altra, per scoprire come andrà a finire. Però è l'Argentina, soprattutto l'Argentina: non contesto, non fondale. Con le sue vicende che si dipanano tutte dietro le quinte della storia ufficiale, seguendo il filo ininterrotto della violenza e del crimine: dagli indios che nella pampa venivano presi a fucilate come conigli al giovani oppositori spinti giù dagli aerei, per non parlare della sorte di tanti figli di desaparecidos a cui sono è stato sottratto anche il nome...

E non l'Argentina qual era, piuttosto l'Argentina di oggi, restituita alla democrazia, ma ancora alle prese con i suoi fantasmi - fantasmi che spesso e volentieri non sono nemmeno fantasmi, ma persone in carne e ossa, in grado di rimettersi a nuovo per perseguire gli interessi di sempre...

 E mi fermo qui, perché un poliziesco è sempre un poliziesco, vietato scoprire le carte,

giovedì 17 ottobre 2013

Dentro la paura, come nessun altro

Ancora una volta ho riletto La paura di Federico De Roberto: uno dei più grandi racconti di tutto il Novecento e uno dei punti più alti della letteratura sulla Grande Guerra, recentemente ripubblicato da E/O.

Una storia tra le tante del mattatoio. Le trincee del fronte italo-austriaco, i primi colpi che spezzano una lungo periodo di inerzia, quasi una tacita tregua tra i due eserciti contrapposti. Un cecchino nemico, di cui non si saprà mai niente, fulmina uno dietro l'altro i soldati che tentano di raggiungere un posto di vedetta rimasto sguarnito. I comandi si succedono: bisognerà mandare avanti un uomo dopo l'altro, poco importa se lo si spedisce a morte certa.

Ce ne mandi tanti finché i caduti formino parapetto! urlano dal comando all'ufficiale sul posto. E tant'è, almeno fino a che un gesto estremo chiederà di rendere conto di questa follia.

Potrei scommetterci: non tirerete il fiato, fino in fondo. E' raro trovare pagine così tese, dure, vere, capaci di scavare nella paura come in quel coraggio che non è, non può essere assenza di paura.

E così De Roberto porta nel cuore ferito del Novecento la grande tradizione del verismo italiano, con il suo popolo di vinti senza riscatto. Un filo unisce i Malavoglia a questi soldati, mostrati anche attraverso le tante lingue di un'Italia che in trincea si ritrovava insieme per la prima volta.

E quei corpi abbattuti, colti nell'ultima agonia, sono forse il grido più alto di una letteratura che invoca la pace, senza nemmeno sapersi pacifista.

martedì 30 aprile 2013

Quando i morti hanno deciso di partire

Non ci si accorge che i morti se ne vanno, una volta che hanno deciso di partire. Non è previsto. Al massimo li si avverte come un sussurro o come l’onda di un sussurro che si placa piano piano. Lo paragonerei a una donna in fondo a una sala conferenza o a un teatro, che nessuno nota finché non sgattaiola fuori. E anche allora, solo quelli più vicini alla porta, come nonna Lynn, ci fanno caso, per gli altri è come una brezza inspiegabile in una stanza chiusa.

Quando era uscito mi era sfuggito, o forse, di istinto, lo avevo sottovalutato.

Mi è capitato tra le mani solo qualche tempo fa, quasi per caso, e non l'ho più mollato, meglio, sono state le sue pagine a non mollarmi più. Insomma, l'ho divorato.

E siccome so che un bel libro non si esaurisce con la sua ultima pagina, sono sicuro che a lungo mi risuonerà la voce di questa ragazzina, con tutto l'orrore subito e il suo dono di speranza, nonostante tutto.

E per un bel pezzo consiglierò Amabili resti di Alice Sebold (edizioni E/O) agli amici, a tutti coloro che possono raccogliere il piccolo grande dono di un consiglio per una buona lettura.

E di più non posso dire: perché solo ad anticipare il senso di questo libro mi sembra possa costituire un torto.

mercoledì 3 aprile 2013

La sua vita era laggiù, a Marsiglia

La sua vita era laggiù, a Marsiglia. Laggiù, dietro quelle montagne che, stasera, il sole al tramonto colorava di un rosso vivo. 

"Domani ci sarà vento" pensò Babette. 

Da quando, quindici giorni prima, era arrivata a Le Castellas, un villaggio delle Cévennes, alla fine della giornata saliva sul crinale. Percorrendo il sentiero dove Bruno portava le capre. 

Qui, aveva pensato il mattino del suo arrivo, nulla cambia. Tutto muore e rinasce. Anche se ci sono più villaggi morenti che vivi.

Sempre, prima o poi, un uomo reinventa i gesti più antichi. E tutto ricomincia. I sentieri, coperti della sterpaglia, ritrovano la loro ragione di esistere.

 «È questa, la memoria della montagna» aveva detto Bruno, servendole una gran tazza di caffè. 

Aveva conosciuto Bruno nel 1988. Il giornale aveva affidato a Babette la sua prima inchiesta importante. Vent'anni dopo il Maggio '68, che fine hanno fatto i militanti? 

Giovane filosofo, anarchico, Bruno si era battuto sulle barricate del Quartiere latino, a Parigi. Corri compagno, il vecchio mondo ti insegue era stato il suo unico slogan.

(da Jean-Claude Izzo, prime righe di Solea, E/O)

lunedì 19 novembre 2012

Una piazza e un ascensore per uno scontro di civiltà

Mi è piaciuto Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio di Amara Lakhous (E/O edizioni) un libro che ai tempi mi era sfuggito, che non aveva richiamato la mia attenzione nemmeno quando ne ers stato tratto un film, che forse ho finito per acquistare solo per ciò che mi evoca la piazza Vittorio del titolo - il melting pot musicale di un'orchestra e l'idea di una città dove le differenze non atterriscono e le identità arrichiscono.

Pensare che non ci sono mai stato in Piazza Vittorio, a Roma. Però forse è meglio così, perchè fa bene immaginare questo tessuto di voci, odori, colori. Per poi tuffarsi in queste pagine, che scivolano come acqua sulla pelle, senza doversi appesantire con l'urgenza della classificazione o qualche scomodo paragone.

Perchè è vero, questo libro è satira di costume e insieme romanzo giallo, e la storia desta perfino qualche suggestione letteraria che ha a che vedere con il Gadda del Pasticciaccio come con il mosaico di voci di Rashomon.

Però è meglio fermarsi qui, e per il resto scivolare via. Indugiando sulla piazza, sulle parole che si rincorrono intorno all'omicidio del "Gladiatore", sulle scene di vita quotidiana che girano intorno a un ascensore e a un condominio: che come in tutti condomini, si sa, richiede più capacità di diplomazia e inventiva di una crisi discussa al Palazzo di Vetro.

giovedì 31 maggio 2012

Se la paura ci racconta il coraggio in trincea


Finché la minaccia è imprecisata, nello scoppio d'una granata che non si vede arrivare, in una raffica di mitragliatrice o in una scarica di fucileria inaspettata, che possono e non possono colpire, il coraggio riesce ancora facile; ma se la morte è acquattata, vigile, pronta a balzare e a ghermire, se bisogna andarle incontro fissandola negli occhi, senza difesa, allora i capelli si drizzano, la gola si strozza, gli occhi si velano, le gambe si piegano, le vene si vuotano, tutte le fibre tremano, tutta la vita sfugge; allora il coraggio è lo sforzo sovrumano di vincere la paura; allora la volontà deve irrigidirsi, deve tenersi come una corda, come la corda del beccaio che trascina la vittima al macello.

E' questa la paura che racconta Federico De Roberto, in quello che è considerato uno dei più grandi racconti di tutto il Novecento e uno dei punti più alti della letteratura sulla Grande Guerra. La paura, appunto, recentemente ripubblicato da E/O.

Una storia tra le tante del mattatoio. Le trincee del fronte italo-austriaco, i primi colpi che spezzano una lungo periodo di inerzia, quasi una tacita tregua tra i due eserciti contrapposti. Un cecchino nemico, di cui non si saprà mai niente, fulmina uno dietro l'altro i soldati che tentano di raggiungere un posto di vedetta rimasto sguarnito. I comandi si succedono: bisognerà mandare avanti un uomo dopo l'altro, poco importa se lo si spedisce a morte certa: Ce ne mandi tanti finché i caduti formino parapetto! urlano dal comando all'ufficiale sul posto. E tant'è, almeno fino a che un gesto estremo chiederà di rendere conto di questa follia.

Potrei scommetterci: non tirete il fiato, fino in fondo. E' raro trovare pagine così tese, dure, vere, capaci di scavare nella paura come in quel coraggio che non è, non può essere assenza di paura.

E così De Roberto porta nel cuore ferito del Novecento la grande tradizione del verismo italiano, con il suo popolo di vinti senza riscatto. Un filo unisce i Malavoglia a questi soldati, mostrati anche attraverso le tante lingue di un'Italia che in trincea si ritrovava insieme per la prima volta.

E quei corpi abbattuti, colti nell'ultima agonia, sono forse il grido più alto di una letteratura che invoca la pace, senza nemmeno sapersi pacifista.


mercoledì 12 ottobre 2011

Tra utopia e incubo, l'epoca degli eBook

Sarà più libera la società letteraria che si costruirà intorno agli eBook? Certo che lo sarà, senza le mediazioni e i condizionamenti di editori, librai e critici. Con la possibilità di pubblicare quello che si vuole, di metterlo a disposizione in rete, gratis o a pagamento, di pescare dalla stessa rete tutto quello che ci alletta o semplicemente ci incuriosisce. Più liberi, certo. 

Però mi sembra importante ciò che Sandro Ferri, fondatore delle edizioni E/O, scrive in I ferri dell'editore (c'è anche il gioco di parole...). Il supplemento domenicale de Il Sole 24 Ore  ne ha anticipato un brano:

Ma l'editore sa che la stragrande maggioranza delle opere che vengono scritte non valgono molto e che non sono in grado di soddisfare neppure l'esigenza di un singolo lettore. L'editore sa che la letteratura non è il terreno della democrazia, se non in un'accezione meritocratica: è giusto che tutti abbiano l'opportunità di creare.


E' questo il vero motivo per cui l'utopia dell'eBook che cancella gli ostacoli, il sogno della società senza editori, non potranno avverarsi se non nella forma dell'incubo della moltiplicazione della mediocrità, della confusione, della rinuncia a leggere

Un pugno di righe e un bel po' su cui riflettere. Compreso il fatto che per ora e perlomeno fino a fine ottobre I ferri dell'editore sarà disponibile, guarda un po', solo come eBook....


sabato 15 gennaio 2011

Sognando con la sognatrice di Ostenda

Non sarà un capolavoro, però racconti come questi ti restituiscono davvero il piacere della lettura.

Di Eric-Emmanuel Schmitt ho preferito altri libri - in particolare La parte dell'altro - però anche ne La sognatrice di Ostenda (che bello, il titolo di questo libro, pubblicato da E/O) ho ritrovato incanto e leggerezza, immaginazione e sentimenti senza effetti speciali.

A colpirmi, più ancora del racconto che dà il titolo alla raccolta, sono state soprattutto le pagine sul professore conquistato per la prima volta alla narrativa (e per di più alla narrativa di genere, quella che si legge divorando le pagine, con la voglia di sapere come andrà a finire, emozioni a briglia sciolta e senza sensi di colpa), eppure in tutti ho ritrovato la visione del mondo - o almeno della scrittura - di Schmitt.

Una visione dove la forza del sogno, dell'immaginare altro rispetto al qui e all'ora, trova molto spazio. E questo mi piace, e molto, come no.

martedì 30 novembre 2010

A lungo, la voce di quella ragazzina...

Non ci si accorge che i morti se ne vanno, una volta che hanno deciso di partire. Non è previsto. Al massimo li si avverte come un sussurro o come l’onda di un sussurro che si placa piano piano. Lo paragonerei a una donna in fondo a una sala conferenza o a un teatro, che nessuno nota finché non sgattaiola fuori. E anche allora, solo quelli più vicini alla porta, come nonna Lynn, ci fanno caso, per gli altri è come una brezza inspiegabile in una stanza chiusa

Quando era uscito mi era sfuggito, o forse, di istinto, lo avevo sottovalutato.

Mi è capitato tra le mani solo qualche tempo fa, quasi per caso, e non l'ho più mollato, meglio, sono state le sue pagine a non mollarmi più. Insomma, l'ho divorato.

E siccome so che un bel libro non si esaurisce con la sua ultima pagina, sono sicuro che a lungo mi risuonerà la voce di questa ragazzina, con tutto l'orrore subito e il suo dono di speranza, nonostante tutto.

E per un bel pezzo consiglierò Amabili resti di Alice Sebold (edizioni E/O) agli amici, a tutti coloro che possono raccogliere il piccolo grande dono di un consiglio per una buona lettura.

E di più non posso dire: perché solo ad anticipare il senso di questo libro mi sembra possa costituire un torto.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...