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venerdì 9 febbraio 2018

Scaldarsi con la legna è una lezione di vita

Non ci credo, come è possibile che un libro così mi abbia preso e tenuto stretto? E per la verità: cosa è che me la fatto comprare?

Non ci credo che non mi sia bloccato di fronte non dico al titolo, Norwegian Wood, che è un titolo che ci può stare (in fondo avrei potuto prenderlo per il romanzo di Murakami), ma di fronte al sottototitolo: Il metodo scandinavo per tagliare, accatastare e scaldarsi con la legna. Autore Lars Mytting, che anche lui non so quanto ci ha creduto, all'idea che persone come me potessero leggerlo, tranne ricredersi di fronte all'evidenza dei numeri.

Il fatto è che Norwegian Wood è stato tradotto in numerose lingue, passa per un best-seller e comunque è già un libro di culto. E questo benché racconti proprio ciò che fedelmenmte riporta nel titolo: ovvero come gli scandinavi si procurano la legna con cui si riscalderanno, come la tagliano, l'accatastano, l'essiccano.

Sembrerebbe un libro per cultori della materia, non dico per taglialegna che già queste cose dovrebbero saperle tutte a menadito, ma per appassionati di stufe o cose del genere. Senz'altro ce ne sono, come esistono i collezionisti di modellini ferroviari.

E invece, questo libro è stata tentazione cui ho ceduto volentieri. E quante cose ci ho trovato dentro, io che non ho mai usato la scure per abbattere un albero e che non ho una legnaia in giardino. Ho trovato poesia - Il profumo di legno fresco è una delle ultime cose che dimenticherai quando il velo si chiuderà - ho trovato la convinzione che il fuoco a legna è assai di più di una fonte di calore, che il taglio del bosco può essere un atto di amore. Ho scoperto che anche spaccare un ciocco è gesto che richiama il senso del lavoro ben fatto e che nei metodi c'è sentimento.

E certo mi sono immerso nel fascino del Grande Nord, da sempre radicato nel mio immaginario: i boschi di betulla, i silenzi della neve e i gorgoglii del disgelo, i profumi delle resine e il tepore delle case. La semplicità che non è solo Ikea e il rispetto che non è solo il politically correct.

Figurarsi, potrei perfino avventurarmi in azzardati paragoni tra il boscaiolo norvegese e il samurai nel tiro con l'arco. Però mi fermo prima, contento di ritornare a gesti che appartengono alla bellezza, al fluire del tempo e delle stagioni, al mondo degli affetti, sì, soprattutto a questo: perché si taglia la legna per riscaldarci insieme di inverno, lasciando fuori il buio e il ghiaccio.

Come l'anziano, al tramonto della vita, che per l'ultima volta taglia la legna. Consapevole che la legnaia sarà ciò che di lui rimarrà quando, con il nuovo freddo, lui non ci sarà più. Servirà per chi rimane. Servirà a tutti noi che almeno su una pagina lo abbiamo incontrato 




domenica 7 maggio 2017

Lungo i confini, per capire l'Europa che è e forse sarà

Comincia con un mappamondo in precario equilibrio nella stanza del figlio, assediato da pastelli colorati e da tante domande, ma diventa presto un lungo viaggio, anzi una sequenza di viaggi, non in Europa, ma intorno all'Europa.

Comincia interrogandosi sulla frontiera perduta - illusione di tutti coloro che, come il sottoscritto, hanno pensato a un'altra Europa dopo la caduta del Muro di Berlino - ma inevitabilmente si ritrova a fare i conti con i confini che da allora si sono persino moltiplicati e spesso sono anche diventati muro e filo spinato.

Ed è lì, ai margini dell'Europa, in luoghi che fino a qualche tempo fa era facile ignorare, che si può comprendere meglio cosa l'Europa è diventata, cosa siamo diventati noi.

Che bel libro che è Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere di Marco Truzzi, pubblicato da Exòrma, casa editrice che difficilmente sbaglia un colpo. Nonostante il titolo, che odora di saggio, è un libro di viaggio, un gran libro di viaggio. Dall'Europa che è in Africa, nell'enclave spagnola di Melilla, dove preme la disperazione di un intero continente, all'Europa che si sottrae all'Europa dell'ordinata e indifferente Svizzera. Dal nord della Scandinavia, dove davvero non è tutto oro quello che luccica e dove anzi il gioco delle identità e delle esclusioni si è fatto complesso, fino ai luoghi della disperazione di Calais e Idomeni. Lungo frontiere nuove e vecchie, confini dimenticati e poi ritornati di attualità, per raggiungere alla fine il luogo che non è frontiera segnata sulle mappe, ma che più di tutti è frontiera, anzi frattura, taglio netto tra un prima e dopo, luogo dove l'Europa è morta e da lì ha provato a rinascere: Auschwitz.

Bello, bello davvero questo libro, che sa sfuggire alle tentazioni del discorso autoreferenziale, delle tesi precostituite, della dimostrazione di ciò che si voleva dimostrare. Che si fa occhi che non si stancano di guardare, dita che cercano su una carta una destinazione che non si era messa in conto, domande alimentate da una salutare curiosità.

E l'autore - insieme all'amico Angelo, fotografo e compagno di viaggio - non si tira mai indietro. E nella scrittura c'è con tutte le emozioni che in viaggio del genere può destare. Non solo infinita tristezza, ma anche capacità di raccontare e raccontarsi con umorismo. Se non ci credete, leggete le pagine sui due dispersi in una qualche strada di una Svezia che è quasi Norvegia: con la Volvo in panne e le renne che forse sono alci.....

Ci ho ritrovato tante delle cose che anch'io ho provato a scrivere, magari nei libri con Tito Barbini, da Caduti dal Muro a I sogni vogliono migrare. Ma questo non c'entra, quello che conta è che questo è un libro che fa bene leggere. 

venerdì 11 settembre 2015

In quella Svezia dove tutto era diverso

Questa non è una religione per fondatori di Stati, è qualcosa di privato, un pensiero; diamo un'idea, se viene recepita da altre comunità va tutto bene, possiamo scomparire, come la foschia del mattino al sorgere del sole.
Non ci siamo più. Ma siamo in tutti voi 


Questo era lo spirito che animava il pastore Lewi Pethrus, questa era la sua volontà. Mettersi in cammino, senza sapere dove sarebbe arrivato. E in quel cammino, rinnovarsi nel profondo. In quel cammino, deporre i semi di un'altra vita.

Fu un lungo viaggio, quello di Lewi, grande riformatore religioso nella Svezia dei primi del Novecento, quando la Svezia non era affatto la Svezia che oggi ci viene in mente, socialdemocrazia e welfare state, Abba e movida scandinava.

Viaggiò in un paese, viaggiò nella storia, viaggiò nel bene e nel male, non per costruire una Chiesa, perché solo il viaggio contava, alla fine. Non per obbedire alla Bibbia, perché anche la Bibbia era un'incompiuta e attendeva di essere rinnovata.

Per Olov Enquist, lo scrittore che noi conosciamo meglio per lo straordinario Il medico di corte, questa storia ce la racconta tutta ne Il viaggio di Lewi, in Italia pubblicato - è quasi scontato - da Iperborea. E ci regala così un altro libro a metà tra la biografia e il romanzo, con qualche dose di memoria personale.

E magari ci si può anche perdere, in questo libro troppo lungo e non sempre coinvolgente. Però che storia che è questa, che attraversa anche le prime lotte sociali in Svezia, i sindacati che cominciano a organizzarsi, la nobiltà e la miseria di un mondo intellettuale.

Poeti che si convertono, religiosi che tradiscono. Umiltà e ambizioni. Visioni celesti e mense per poveri. E alla fine, alla fine, la stessa immagine con cui comincia il libro, quel cimitero - anzi, quel campo di Dio - con le lapidi battute dal vento e le lettere ormai illegibili.

Anzi, con quell'unico epitaffio che ancora si legge:

Era umile, ma fece del suo meglio.

A futura memoria. E anche per ogni giorno che ci viene donato.

venerdì 1 giugno 2012

Non basta il Nobel per un giallo così e così

Insomma, insomma, lo sapete che questi gialli del Grande Nord mi stanno venendo un po' a noia? Non vorrei gufare - e spero proprio di no anche per i bilanci di case editrici nostrane come la Marsilio - però mi sa che la grande onda della Scandinavia si stia ormai ritraendosi.

Prendete Il testamento di Nobel di Liza Marklund, che non è nemmeno male e che non manca certo degli ingredienti giusti. Un incredibile delitto nel giorno del grande ricevimento per il Premio Nobel, cosa che ci permette di dare uno sguardo negli ambienti e nei riti che accompagnano uno dei più grandi riconoscimenti internazionali. Un killer spietato che si muove negli ambienti della ricerca scientifica. Il mondo del giornalismo svedese raccontato con attenzione e competenza. E anche altro....

Però che dire, alla fine di tante pagine mi sembra che rimanga poco. Non può bastare una protagonista come Annika, giornalista alle prese non solo con un delitto, ma anche con i problemi del lavoro e con diverse relazioni complicate (ma anche con la difficoltà di conciliare professione e figli, rompicapo quotidiano che in effetti ci aspetteremmo più in Italia che in Svezia). Non possono bastare nemmeno il racconto della vita di Alfred Nobel, il padre del premio, uomo di affari che avrebbe voluto di più dall'amore e dall'arte.

Stringi stringi alla fine non rimane molto. Se non con qualche rimpianto, per un libro che prometteva di più e per il tempo che ci hai investito. Peccato.

martedì 27 dicembre 2011

Vivi o morti i poeti non scrivono gialli

Come lei stesso ha sottolineato, i poeti tendono più a impiccarsi che a essere impiccati. Perché? Non cercano forse anche loro la verità, come i giornalisti, gli scienziati e i poliziotti? E in questo caso non dovrebbero risultare più pericolosi di quello che sono?

I poeti morti non scrivono gialli, è la perentoria affermazione che dà il titolo all'ultimo libro di Bjorn Larsson, che per non equivocare tra tutti i Larsson della letteratura scandinava, è quello di La vera storia del pirata Long John Silver, libro che è distillato di piacere della lettura.

I poeti morti non scrivono gialli, ma verrebbe da dire che sono soprattutto i poeti vivi che non scrivono gialli: scelta oculata, in genere. Anche i grandi scrittori, come Larsson, quasi sempre riescono ad astenersi, e fanno bene, perché scrivere bene è condizione necessaria ma certo non sufficiente per un buon giallo.

Questo libro ne è la prova provata. Però è sincero fin dal sottotitolo: una specie di giallo. E si salva uguale: perché nel suo grembo racchiude alcune pagine preziose, sul lavoro di editore e soprattutto sul ruolo del poeta.

Ovvero sull'uomo che ci regala bellezza mentre se la deve vedere con il male che è di tutti. Sull'uomo che ha fatto uno strano patto con la verità, per poi capire che quasi sempre le sue parole cadranno a terra come foglie d'autunno.

Invece, i poeti venivano uccisi di rado. Erano così inoffensivi? Che fosse per questo che si toglievano la vita, perché a un certo punto scoprivano di non servire a molto?

giovedì 4 agosto 2011

Quel sangue versato nella civilissima Scandinavia

E allora, è giusto diffidarne, perchè quando è moda è moda, e da un pezzo si parla fin troppo di gialli scandinavi, sembra che per scrivere un bel giallo, soprattutto un giallo che aspiri a tirature ambiziose, si debba essere per forza nati in Svezia o in Norvegia, è così che funzionano le cose.

Un titolo da prendere con le molle - Il sangue versato. Una casa editrice - la Marsilio - che dagli scandinavi si è fatta portare lontano come un windsurf dal vento di quei mari. E poi un autore, Asa Larsson, che confondevo con un altro Larsson (Stieg), consacrato da tutti e da tutto (compreso la morte prematura). Autore, peraltro, che di mestiere fa (o faceva) l'avvocato fiscalista: non il primo mestiere che ti viene in mente per uno scrittore.

E invece che bel libro che è questo. Un libro dove c'è il sangue del titolo, certo, ma senza esagerare. Soprattutto c'è il grande Nord, quello delle brevi estati di straordinaria  luce e degli inverni che sono una notte che non finisce più. Distese di silenzio, di solitudine, di grandezza. Un altro mondo, rarefatto ma non necessariamente pacifico. Slanci mistici, bevute, zanzare. Un pastore protestante che è come nitroglicerina per gli equilibri di una comunità. Pacifiche tradizioni e diritti negati, anche qui.


E sapete, meglio, molto meglio del Larsson degli Uomini che odiano le donne. Anche se fa pensare, questa storia che si ripete, donne vittime, uomini carnefici, proprio nella civilissima Scandinavia.

mercoledì 22 luglio 2009

Il divano del Nord

More about Il divano del nord

Sarà che sono reduce da vacanze nel Salento e che inseguendo i miei "altrove" mi viene naturale compensare i mari del Sud con quelli del Nord. Ma quest'estate almeno per quanto riguarda libri è il Grande Nord che mi sta catturando.
Tra i tanti, vi suggerisco "Il divano del nord. Viaggio in Scandinavia" di Ennio Cavalli (Feltrinelli Traveller).
Più che il racconto di un viaggio questo è davvero un libro sul richiamo del Grande Nord che diventa più volte meta, incanto, scoperta. Dalla Lapponia a Copenaghen, dall'isola di Bornholm a Oslo. Libro originale, erratico, denso di curiosità, che a volte c'entrano e non c'entrano, vedi i due capitoli sui premi Nobel, ma che intrigano comunque.
Peccato per lo stile a volte troppo carico, enfatico: e il Nord a me richiama un'idea di semplicità, anche nella scrittura. Ma insomma, chi scrive è un italianissimo giornalista, glielo possiamo perdonare.

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